Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 26164 del 17/02/2015


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Penale Sent. Sez. 3 Num. 26164 Anno 2015
Presidente: SQUASSONI CLAUDIA
Relatore: FRANCO AMEDEO

SENTENZA

sui ricorsi proposti da
Podda Fabio, nato a Cagliari il 23.4.1978;
Cardinali Alfonso, nato a Torre del Greco il 29.10.1972,
Autiero Mario, nato a Torre del Greco il 23.3.1971,
Farris Massimo, nato a Cagliari il 3.5.1963;
Sulis Paolo, nato a Cagliari il 9.4.1952,
Sulis Salvatore, nato a Cagliari il 22.7.1984,
Cattafi Santi Antonino, nato a Milazzo il 13.6.1967;
avverso la sentenza emessa il 24 giugno 2014 dalla corte d’appello di Cagliari;
udita nella pubblica udienza del 17 febbraio 2015 la relazione fatta dal
Consigliere Amedeo Franco;
udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore Generale
dott. Mario Fraticelli, che ha concluso nei confronti di Sulis Salvatore e di Farris
per l’annullamento con rinvio limitatamente al trattamento sanzionatorio e per il
rigetto nel resto; nei confronti del Podda per l’annullamento senza rinvio in ordine alla aggravante di cui all’art. 74, comma 1, d.P.R. 309 del 1990 (costituzione
dell’associazione) e rideterminazione della pena, e per il rigetto nel resto; nei
confronti di tutti gli altri imputati per il rigetto dei relativi ricorsi;
uditi per il ricorrente Podda Fabio i difensori avv. Maurizio Frizzi e avv. Giovanni Ricco;
uditi per i ricorrenti Cardinali Alfonso e Autiero Mario, i difensori avv. Gio-

Data Udienza: 17/02/2015

vanni Aricò e avv. Mario D’Alessandro;

Svolgimento del processo

1. Da intercettazioni ambientali, effettuate nel 2008 in un altro procedimento, di conversazioni fra Fabio Podda, da un lato, e tali Massimo Atzeni e Franco
Mameli, dall’altro, emersero episodi di consegna da parte del primo di sostanze
stupefacenti. Queste indagini portarono, per quanto riguarda il presente proce-

ossia del reato di cui agli artt. 81 cod. pen., 73 e 80, comma 2, d.P.R. 309 del
1990,

«perché, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, de-

teneva illegalmente, a fini di spaccio, quantità imprecisate ma ingenti di sostanza
stupefacente del tipo hashish che acquistava in quattro occasioni diverse, nell’ultima delle quali il quantitativo ammontava a settanta chilogrammi di hashish, ed
inoltre offriva in vendita a Massimo Atzeni e Franco Mamelí imprecisati quantitativi di sostanza stupefacente del tipo cocaina, hashish e marijuana consegnandone una piccola parte quale “provino” in funzione della cessione di un quantitativo
maggiore» (in Cagliari il 27 giugno 2008 e in epoca anteriore).
Le indagini di polizia si svilupparono in seguito nel 2011 attraverso intercettazioni ambientali, fra cui quelle nella marmeria di Paolo Sulis, ed accertamenti
ed investigazioni di polizia giudiziaria. Nel settembre 2011 venne effettuato il
sequestro di stupefacente trasportato dalla Campania a Cagliari su un automezzo
guidato da Cattafi Santi Antonino ed all’arresto di quest’ultimo. Vennero poi,
anche in seguito ad ulteriori indagini, arrestati gli altri soggetti imputati nel presente procedimento. Cardinali Alfonso ed Autiero Mario si offrirono, in cambio
della attenuazione della misura cautelare applicata, di fare rivelazioni, purché
limitate alle cessioni di stupefacente in favore dei soggetti cagliaritani e con esclusione di domande relative all’acquisizione da parte loro della sostanza stupefacente ed ai rapporti con gli ambienti criminali campani. Successivamente dichiarazioni confessorie vennero rilasciate anche dagli altri imputati.
Sulla base di questi elementi si accertò, in sintesi: che nei primi mesi del
2010 Cardinali Alfonso, di Torre del Greco, in cerca di acquirenti di sostanza stupefacente di tipo hashish, si rivolse ad un narcotrafficante di Cagliari e poi, su
indicazione di costui che non aveva accettato, a Paolo Sulis. Con quest’ultimo intervenne un accordo in base al quale il Cardinali – coadiuvato da Mario Autiero,
anch’egli di Torre del Greco e che aveva conoscenze in Sardegna fatte da detenuto – avrebbe fornito al Sulis consistenti quantitativi di hashish reperiti sulla
piazza di Torre del Greco, che sarebbero stati recapitati col mezzo di trasporto di
un corriere alle sue dipendenze, tale Santi Antonino Cattafi. Dopo la prima fornitura, peraltro, Cardinali ed Autiero si resero conto che il Sulis era solo un inter-

2

dimento, alla contestazione, nei confronti del solo Fabio Podda, del capo A),

mediano e che il reale acquirente, dotato dei necessari mezzi finanziari per
l’acquisto, era Fabio Podda. Vennero effettuate alcune altre operazioni di vendita
di stupefacente ma l’attività si interruppe nel settembre 2011, quando venne arrestato il corriere Cattafi mentre era in procinto di consegnare una fornitura di
100 chili di hashish. A bordo dell’automezzo vennero trovati anche 500 gr. di cocaina.
A seguito di ciò vennero contestati a tutti gli imputati, i reati di cui:
capo B)

agli artt. 110, 81 cod. pen., 73 comma 1 e 1 bis, 80 comma 2

vano illegalmente, a fini di spaccio, facevano trasportare dal corriere Cattafi e
vendevano ingenti quantità di sostanza stupefacente del tipo hashish (un numero imprecisato di carichi per quantitativi oscillanti dai 50 ai 100 chilogrammi) e
cocaina a Sulis Paolo, Sulis Salvatore e Podda Fabio (con la collaborazione di Farris Massimo) i quali, sempre a fini di spaccio, le acquistavano, le detenevano e le
facevano custodire, a Murru Efisio (in almeno una occasione e ad altri non identificati) nelle more della successiva rivendita a terzi; in particolare, tra gli altri: uno di circa cento chilogrammi di hashish il 13 gennaio 2011 (il giorno 16 gennaio 2011, una parte del prezzo da pagare ai fornitori campani, pari a 64.000 euro,
più altri 6.000, sarà rinvenuta dalla P. G. nella disponibilità di Sulis Paolo mentre
si apprestava a consegnarla al Cardinali); – uno di circa quaranta/cinquanta chilogrammi nel primo trimestre dei 2011; – uno di ottanta chilogrammi di hashish
in data 28 aprile 2011 (compravenduto per euro 208.000, pari ad euro 2,60 al
grammo); – uno di circa cento chili di hashish ed oltre cinquecento grammi di cocaina in data 23 settembre 2011» (a partire dall’estate del 2010 e fino al 23 settembre 2011);
capo C) all’art. 74 comma 1 e 2 d.P.R. 309 del 1990, «perché anche insieme ad altre persone da identificare, si associavano tra loro allo scopo di commettere più delitti tra quelli previsti dall’art. 73 del citato d.P.R., in particolare, al fine di procurare, detenere, trasportare e rivendere ingenti quantitativi di sostanze
stupefacenti, in particolare hashish e cocaina; associazione che Podda Fabio e
Sulis Paolo, ai sensi del 10 comma sopraindicato, promuovevano, finanziavano
ed organizzavano, individuando e prendendo contatti con fornitori campani, contrattando e assicurandosi l’arrivo di ingenti carichi di stupefacente da far giungere con cadenza pressoché mensile, provvedendo ad organizzare le modalità d’arrivo, di custodia, di cessione e di vendita ai vari spacciatori locali; ed alla quale
partecipavano, ai sensi del 20 comma della citata disposizione: Autiero e Cardinali, quali stabili fornitori dello stupefacente (hashish e cocaina) che facevano arrivare, in quantità ingenti, in Sardegna per gli associati locali; Cattafí, con funzioni di corriere dalla penisola fino a Cagliari; Farris, quale soggetto a disposizione dell’associazione ed in particolare esecutore delle disposizioni di Podda, base

3

d.P.R. 309 del 1990, perché in concorso tra loro, «il Cardinali e l’Autiero detene-

logistica e punto di contatto per gli incontri con i predetti fornitori campani; Sulis
Salvatore, quale partecipe dell’associazione con la funzione di coadiuvare il padre
Paolo nelle varie operazioni di pesatura dello stupefacente, occultamento dello
stesso, raccolta del denaro da consegnare ai venditori o agli altri associati, occultamento del danaro, contatti con gli altri associati, ecc.» (nel corso del 2010 e
del 2011);
con la recidiva specifica e reiterata ai sensi dell’art. 99 comma 2 e 4 c.p.,

2. Il Gup del tribunale di Cagliari, a seguito di giudizio abbreviato, con sentenza del 18 luglio 2013, dichiarò:
– Fabio Podda colpevole dei delitti contestati ai capi A), B) e C), unificati
dal vincolo della continuazione, esclusa la recidiva contestata, e quindi lo condannò alla pena di 15 anni e mesi 6 di reclusione (pena base anni 21 per il capo
C), aumentata di mesi 9 per il capo A) e di un anno e 6 mesi per il capo B) = 23
anni e 3 mesi, ridotta per il rito);
Paolo Sulis colpevole dei delitti contestati ai capi B) e C), unificati dal vincolo della continuazione, con attenuanti generiche equivalenti alle aggravanti, e
quindi lo condannò alla pena di 14 anni di reclusione (pena base per il capo C,
anni 20, aumentata di un anno per il capo B), con la riduzione per il rito);
Santi Antonino Cattafi colpevole dei delitti contestati ai capi B) (escluso
l’episodio per il quale era stato già giudicato) e C), unificati dal vincolo della continuazione, con attenuanti generiche, e quindi lo condannò alla pena di anni 7 di
reclusione (pena base per capo C, anni 11 – attenuanti generiche = anni 8 e mesi 6, + continuazione = anni 10 e mesi 6, ridotta per il rito);
Mario Autiero colpevole dei delitti contestati ai capi B) C), unificati dal vincolo della continuazione, con attenuanti generiche, e quindi lo condannò alla pena di anni 11 di reclusione (pena base per capo C, anni 18 – attenuanti generiche = anni 14, + continuazione = anni 16 e mesi 6, ridotta per il rito);
Alfonso Cardinali colpevole dei delitti contestati ai capi B) e C), unificati
dal vincolo della continuazione, con attenuanti generiche, e quindi lo condannò
alla pena di anni 10 di reclusione (pena base per il capo C, anni 18, meno attenuanti generiche = anni 13 + continuazione = anni 15, ridotta per il rito);
Salvatore Sulis colpevole del delitto contestato al capo B con attenuanti
generiche prevalenti sull’aggravante contestata, e quindi lo condannò alla pena
di anni 5 di reclusione (pena base anni 7 e mesi 6 ed C 75.000, meno attenuanti
generiche = anni 5 e mesi 6 ed C 60.000, + continuazione = anni 7 e mesi 6 ed
C 75.000, ridotta per il rito);
Massimo Farris colpevole del delitto contestato al capo B), limitatamente
alla cessione del luglio 2011, con attenuanti generiche equivalenti alle aggravan-

4

per Paolo Sulis, Massimo Farris e Fabio Podda.

ti, e quindi lo condannò alla pena di anni 5 di reclusione ed C 50.000 di multa
(pena base anni 7 e mesi 6 ed C 75.000, ridotta per il rito).
Vennero applicate a tutti le pene accessorie ed al Podda e a Sulis Paolo la
misura di sicurezza della libertà vigilata.
Ai sensi degli artt. 240 cod. pen. e 12-sexies d.l. 306/1992, venne ordinata
la confisca di tutti i beni mobili in sequestro, del denaro (escluso quello sequestrato a Farris, lasciato sotto sequestro conservativo), degli assegni, degli stupefacenti (con la loro distruzione) e dei documenti, nonché di una serie di beni mo-

Infine, la sentenza del Gup assolse Massimo Farris e Salvatore Sulis dal
delitto ascritto al capo C) e Massimo Farris dalle altre condotte contestate al
capo B) per non aver commesso il fatto.

3. La corte d’appello di Cagliari, con la sentenza in epigrafe, rideterminò la
pena per Massimo Farris in anni 2 e mesi 8 di reclusione ed C 14.000 di multa;
gli revocò le pene accessorie e confermò nel resto la sentenza di primo grado.

4. Fabio Podda, a mezzo degli avv.ti Giovanni Ricco e Maurizio Frizzi, propone ricorso per cassazione esponendo preliminarmente come, a seguito di gravi
omissioni nelle indagini, la vicenda in esame sia stata parzialmente e malamente
ricostruita, con risultati chiaramente distorti, che hanno lasciato nell’ombra la
vera organizzazione di narcotraffico con base in Campania. In particolare, dopo
aver ricordato l’origine della vicenda e le confessioni di Cardinali, Autiero e Sulis
Paolo, sottolinea come nessun accertamento sia stato fatto sulle fonti di approvvigionamento dello stupefacente, sulla disponibilità dei mezzi di trasporto, sulle
risorse finanziarie per il pagamento dei carichi di hashish da parte dei campani,
sul reclutamento del corriere e, segnatamente, sulla natura dei legami tra il Cardinali, l’Autiero ed i fornitori di Torre del Greco. Osserva che a causa
dell’inconsueto accordo tra il PM e gli imputati partenopei, non si è valutato il rilievo giuridico del comportamento dei due campani che si erano attivati per reclutare potenziali acquirenti e che non sono stati nemmeno interrogati sul punto.
Rileva quindi che la corte d’appello, più che esaminare e contestare gli specifici
motivi di impugnazione, si è limitata ad una acritica condivisione della sentenza
di primo grado. Ciò posto, deduce i seguenti motivi:
1) manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione in relazione alla
sussistenza dell’associazione ex art. 74 d.P.R. 309 del 1990, così come contestata. Osserva che con l’appello aveva eccepito che non vi erano i requisiti giuridici
per ritenere provata l’esistenza dell’associazione cagliaritana ma, semmai, di
un’associazione campana rispetto alla quale esso ricorrente era, all’evidenza,
mero acquirente. La corte d’appello ha replicato a questa eccezione con la consi-

5

bili ed immobili registrati di proprietà di Fabio Podda.

derazione che il numero di imputati, la presenza di un’organizzazione e l’indeterminatezza del programma criminoso erano elementi presenti nella fattispecie
per cui poteva dirsi provata l’esistenza dell’associazione ex art. 74 d.p.r. 309/90.
Si tratta però di una osservazione non pertinente e che elude la questione proposta. Del resto la stessa corte d’appello descrive un’ipotesi associativa tutt’affatto diversa da quella della quale afferma l’esistenza. La corte invero ritiene che
Cardinali, Autiero e Cattafi concretavano «l’illecito sodalizio» dal quale Sulis e
Podda acquistavano lo stupefacente. In tal modo, in sostanza, si esclude l’ipotesi

proprio che non vi sia stata l’associazione campana o tra campani, e che il duo
Sulis-Podda non sia stato semplice acquirente. Vi è poi manifesta illogicità della
motivazione e travisamento della prova laddove si ritiene che costituiscano beni
strumentali dell’associazione il terreno del Murru (ritenuto estraneo al reato), la
marmeria del Sulis, il bar del Podda e gli automezzi predisposti con nascondigli
per occultare la droga. E difatti, i beni strumentali di un’associazione devono,
comunque, essere idonei, in concreto, a garantire in modo permanente il programma oggetto del vincolo associativo. Invece, il bar del Podda era di fatto utilizzato per sporadicissimi incontri, assolutamente insufficienti per dedurne la sua
funzionalità agli scopi dell’associazione. Nella marnneria, il Sulis e suo figlio lavoravano e trattavano ogni questione, lecita o illecita, e tale esercizio non aveva
alcuna funzionalità alla realizzazione degli scopi dell’associazione, essendo stato
l’uso utile agli scopi dell’associazione meramente occasionale. Il terreno del Murru dimostra proprio l’assenza di una qualunque forma di struttura in dotazione ai
cagliaritani per il deposito dell’hashish. Del resto, il pacifico ruolo di acquirenti di
Sulis e Podda non è incompatibile, con la dotazione di un sito per lo stoccaggio e
con un luogo dove contrattare gli acquisti di stupefacenti dai venditori campani.
Al contrario, la tipologia degli automezzi usati e l’installazione di un sistema per
l’occultamento dello stupefacente dimostra che si trattava di mezzi funzionali
all’illecita attività del narcotraffico e, pertanto, idonei astrattamente a concretare
la componente organizzativa di un sodalizio. Ciò però dimostra anche che l’associazione eventualmente ravvisabile nei fatti di causa era quella campana essendo il ricorrente del tutto estraneo a quelle dotazioni ed impossibilitato ad interferire con le modalità di trasporto e di consegna dello stupefacente.
2) violazione di legge con riguardo all’attribuzione a Podda Fabio della qualifica di «costitutore» del sodalizio criminoso per cui si procede; manifesta illogicità e, in alcuni casi, inesistenza grafica della motivazione su punti devoluti dalla
difesa. Ricorda che a Podda era stato contestato di aver «promosso, finanziato
ed organizzato» l’associazione di cui al capo C). E’ stato invece condannato per
l’unica condotta che non gli era stata contestata, ossia quella di costitutore
dell’associazione. La corte d’appello di Cagliari ha confermato tale statuizione

6

della associazione cagliaritana contestata. Il presupposto di questa, infatti, è

senza minimamente prendere in esame le doglianze difensive devolute sul punto, limitandosi ad affermare apoditticamente che la sua qualifica di costitutore è
incontestabile. Ciò sebbene la stessa sentenza impugnata abbia riconosciuto che
gli odierni imputati erano solo le ultime pedine di un più ampio aggregato plurisoggettivo operante nel traffico di stupefacenti. Del resto è ovvio che Cardinali
ed Autiero erano, già prima di mettersi alla ricerca di possibili compratori in Sardegna, stabili acquirenti dell’associazione torrese e ne facevano parte. Sulis e
Podda hanno solo acquistato da un’associazione già operante e su proposta di

Autieri, sono stati sanzionati come meri partecipi. Il Gup aveva escluso che il
Podda fosse stato promotore, finanziatore o organizzatore. Lo aveva invece ritenuto costitutore sull’erroneo presupposto che il capo di imputazione gli avesse
contestato di avere costituito l’associazione, condotta che invece non gli era stata mai contestata. Del resto, sono proprio le pacifiche e non contestate origini e
natura dell’accordo che dimostrano che il Podda non può essere stato costitutore,
dato che Cardinali ed Autiero proposero a Sulis di comprare stupefacenti, costui
accettò e, solo in un secondo momento, coinvolse Podda in quanto quest’ultimo
disponeva del denaro occorrente per gli acquisti. Le ragioni poi per le quali la
corte d’appello di Cagliari lo ha ritenuto costitutore sono graficamente inesistenti. Evidenzia anche che la corte d’appello lo ha più volte definito finanziatore del
sodalizio, veste motivatamente esclusa dal primo giudice e non contestata
dall’accusa, e poi lo ha condannato come costitutore.
In conclusione contesta: – la manifesta illogicità della motivazione per aver
definito associazione autonoma quello che semmai all’evidenza era solo uno
spezzone dell’associazione torrese; – la manifesta illogicità della motivazione nella parte in cui attribuisce a Podda la veste di costitutore del sodalizio, quando in
altre parti della sentenza lo stesso è più volte definito finanziatore ed essendo
comunque incontestato che chi ricercò, volle ed avviò il rapporto illecito fu Cardinali; – la mancanza grafica della motivazione sulle risultanze processuali che
consentivano di attribuirgli il ruolo di costitutore; – l’omessa confutazione delle
tesi difensive sul punto.
2.2) violazione di legge per mancata correlazione tra imputazione contestata
e sentenza. Lamenta che la corte d’appello ha ritenuto che la condanna per l’unico ruolo verticistico non indicato nella contestazione, non avrebbe pregiudicato
le possibilità di difesa perché «nel caso di specie, sin dall’inizio e sulla base degli
atti messi a disposizione delle parti, la responsabilità attribuita a Podda non poteva che comprendere, nella sostanza, anche il suo ruolo di costitutore del sodalizio». Sennonché il capo di imputazione, oltre alle tre funzioni operative (promuovevano, organizzavano e finanziavano), indica che la condotta si era sostanziata «individuando e prendendo contatto con i fornitori campani». Ora è pacifico

7

suoi membri. Per di più, quelli che semmai erano i veri iniziatori, Cardinali ed

che fu Cardinali ad individuare ed a prendere contatti con Sulis. Non si comprende, pertanto, come potrebbe desumersi la contestazione sulla base degli atti di
causa. E’ stato poi contestato col capo di imputazione: «Contrattando e assicurandosi l’arrivo di ingenti carichi di stupefacente da far giungere con cadenza
pressoché mensile, provvedendo ad organizzare le modalità di arrivo, di custodia, di cessione e di vendita ai vari spacciatori locali». Ma si tratta di condotte
che niente hanno a che vedere con il ruolo di costitutore. Inoltre, il giudice di
primo grado ha accertato che gli approvvigionamenti dì droga erano autonoma-

3) manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione risultante dal
travisamento della prova posta a fondamento dell’affermazione di responsabilità
sulla fornitura di 500 grammi di cocaina sequestrata il 23 settembre 2011. Ricorda che in proposito il Cardinali dichiarò che l’invio del mezzo chilo di cocaina
era stata una propria iniziativa, avendo voluto approfittare del suo viaggio a Cagliari, e della quale non era a conoscenza neppure il Cattafi. Nonostante tale dichiarazione e la mancanza di altri elementi, la corte d’appello ha ritenuto raggiunta la prova della sua responsabilità sulla base dei fatti indicati nel capo A) di
imputazione, relativi a cessione di imprecisati quantitativi di cocaina avvenuti tre
anni prima, nel giugno del 2008. Inoltre, la sentenza afferma, travisando le sue
dichiarazioni, che il Cardinali avrebbe detto di avere spedito al Podda anche 500
grammi di cocaina, mentre il Cardinali ha dichiarato che la spedizione era avvenuta all’insaputa del Podda. Pertanto, da un lato, manca la fase della negoziazione per poter ritenere il Podda acquirente e, dall’altro, manca, addirittura, la
consapevolezza dell’esistenza dello stupefacente per poterlo ritenere detentore.
Inoltre, la corte d’appello ha travisato la circostanza, chiarissima, che tra i partenopei ed i cagliaritani l’accordo sul prezzo del carico dei 100 chili oggetto del
sequestro del 23 settembre 2011 era di 2.600 euro al chilo. Sulla base di tale inequivoco dato, la difesa aveva rilevato che, essendo di 130.000,00 euro la
somma che i campani pretendevano dai cagliaritani a titolo di metà della perdita,
risultava chiaro che i 500 grammi di cocaina non dovessero essere rimborsati
non essendo parte «della fornitura concordata». Sul punto la corte ha risposto
con una affermazione meramente congetturale, secondo cui l’importo di euro
2.600 al chilo convenuto tra le parti «…doveva essere necessariamente inferiore,
altrimenti i campani, inverosimilmente, non avrebbero potuto trarre alcun guadagno dai loro traffici». Con ciò però non considerando che nell’importo di 2.600
euro era già compreso il guadagno dei campani e non prendendo atto che questi
ultimi concretavano un’associazione autonoma rispetto agli acquirenti cagliaritani.
4)

manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione e violazione

dell’art. 12 sexies d.l. 306/1992; mancanza di motivazione sulla rilevanza delle

8

mente organizzati proprio dai campani.

prove riguardanti le ingentissime vincite al gioco negli anni 2009-2011. Sostiene
che il Podda aveva dedotto e provato che non vi era alcuna sperequazione tra il
suo patrimonio e il suo reddito lecito e/o la sua attività economica. Aveva provato che era legittimo titolare di esercizi commerciali nel settore della ristorazione
grazie ai quali ricavava consistenti guadagni e che era verosimile che vi fosse
una consistente evasione fiscale. Il Gup aveva osservato che il Podda non aveva
giustificato nemmeno l’esborso di euro 70.000 necessario per rilevare il bar. Con
l’appello la difesa aveva eccepito che l’acquisto del bar e del circolo erano avve-

me d’affari era testimoniato dalla documentazione fiscale relativa all’acquisto di
derrate alimentari. La corte ha invece, tra l’altro, ritenuto che il bar era usato
come base dell’attività criminale. Si tratta di una ipotesi del tutto priva di fondamento e meramente congetturale. Era stato inoltre provato che egli aveva potuto iniziare una attività di compravendita di autovetture grazie alle somme ereditate dalla sua compagna, e che tale attività non aveva rappresentato un costo
ma una fonte ulteriore di reddito. Era poi documentalmente provato che il Podda
aveva conseguito consistenti vincite al lotto tra il 2009 e il 2010, nonché cospicue vincite al Casinò di Saint Vincent. Il Gup aveva affermato che il numero delle
vincite al lotto era inverosimile e che non era stata provata la provenienza delle
somme utilizzate per giocare. Parimenti non era stata giustificata la provenienza
delle somme giocate al casinò. Sul punto la difesa aveva replicato con uno specifico motivo di appello. La sentenza impugnata si è limitata ad affermare apoditticamente che le vincite erano finanziate attraverso l’autoriciclaggio dei proventi
illeciti derivanti dal narcotraffico, senza considerare che tra il 2009 e il 2011 il
Podda ha vinto al casinò un importo di oltre 3.000.000,00 di euro ma che, di tale
somma, oltre 1.000.000,00 è stata reinvestita nel gioco. Inoltre egli giocava a
chemin de fer e non alla roulette, per cui la componente fortuna non aveva una
incidenza risolutiva.
5) illogicità e contraddittorietà della motivazione derivante da travisamento
della prova in relazione all’ipotesi delittuosa di cui alla lettera A) del capo di imputazione. Osserva che la prova della sua responsabilità per tali fatti è stata desunta da una conversazione del 27.6.2008, nella quale Podda fece riferimento
all’acquisto di alcune partite di hashish ed offrì gratuitamente ai suoi interlocutori una dose di cocaina. E’ però rilevante la data di acquisto dello stupefacente in
considerazione del ripristino del previgente testo dell’art. 73 d.p.R. 309 del
1990. Infatti l’acquisto potrebbe essere avvenuto anche molti anni prima e quindi dovrebbe dichiararsi la prescrizione del reato in forza del principio in dubbio
pro reo. Inoltre, mentre per l’ultima spedizione si fa riferimento a 70 chili, per le
altre tre spedizioni non vi è nessun riferimento alla quantità, per cui non può essere applicata l’aggravante dell’ingente quantitativo di cui all’art. 80.

9

nuti con esborsi rateali e con i proventi degli esercizi commerciali; e che il volu-

6) assenza di motivazione in relazione alla mancata concessione delle attenuanti generiche. Ricorda che con l’appello aveva specificamente contestato i
motivi per i quali il Gup non aveva concesso le attenuanti generiche. La corte
d’appello ha totalmente omesso di esaminare questo motivo di impugnazione.

5. Sulis Paolo, a mezzo dell’avv. Marco Antonio Lisu, propone ricorso per
cassazione deducendo:
1) mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione e

d’appello non ha valutato se, a fronte di più transazioni, vi fosse un vero e proprio sodalizio criminale ovvero un reato continuato plurisoggettivo. In particolare
non ha tenuto conto della presenza di una riserva mentale nei diversi concorrenti. Invero, il 20 luglio 2011 il corriere effettuò una consegna all’insaputa del Sulis. Vi era quindi l’intenzione dei venditori di scavalcarlo, di estrometterlo e non
di sostituirlo. La corte d’appello ha omesso di valutare il punto. Quanto sopra
dimostra poi che l’accordo originario non era finalizzato al compimento di una
serie indeterminata di reati, quanto meno con il Sulis. I reati fine erano determinati, e programmati per esaurirsi in un tempo breve. Ciò mostra anche la mancanza del dolo specifico del reato associativo.
2) mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione e
violazione dell’art. 73, comma 2, d.P.R. 309 del 1990. Osserva che la stessa corte d’appello riconosce gli spazi vuoti nelle indagini, con riferimento al momento
iniziale della attività investigativa. La sentenza impugnata da un lato sostiene
che Autiero e Cardinali fossero i fornitori della droga e Podda l’acquirente,
dall’altro che Sulis sarebbe stato intermediario. Egli inoltre sarebbe stato considerato elemento scavalcabile. Si tratta perciò di una figura di secondo piano. La
sua posizione pertanto andrebbe posta nell’ambito del secondo comma dell’art.
74. Al di più si sarebbe trattato di una condotta di partecipazione.

6. Cardinali Alfonso e Autiero Massimo, a mezzo degli avv.ti Mario
D’Alessandro e Giovanni Aricò, propongono ricorso per cassazione deducendo:
1) violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’art. 74 d.P.R.
309 del 1990 ed all’art. 192, comma 2, cod. proc. pen. e con riferimento alla ritenuta sussistenza di un vincolo associativo. Ricordano gli elementi necessari per
aversi una associazione criminosa ai sensi dell’art. 74 cit., e la necessità che la
motivazione individui elementi ulteriori rispetto al concorso negli specifici episodi
integranti l’art. 73. Ricordano che con l’atto di appello avevano evidenziato come
difettassero tanto la prova dell’esistenza di un permanente vincolo associativo
quanto la prova di una struttura organizzativa adeguata allo scopo associativo
ulteriore rispetto a quella necessaria per i reati fine ed avevano altresì evidenzia-

10

violazione dell’art. 74, primo comma, d.P.R. 309 del 1990. Lamenta che la corte

to specifici dati di valenza antitetica alla sussistenza della stabilità del vincolo e
dell’affectio societatis. Si era anche rilevato come gli elementi addotti dalla sentenza di primo grado risultassero sostanzialmente inefficienti sotto il profilo probatorio rispetto al reato associativo. Fra l’altro si erano sottolineati una serie di
elementi contrastanti con l’ipotesi di un vincolo associativo, quali i plurimi contrasti tra i campani ed i sardi; i numerosi viaggi in costanza di traffico, che mostravano l’assenza di una sistematicità, lo svolgimento di trattative e l’organizzazione di ogni singolo affare; i contrasti tra gli stessi sardi; la sfiducia dei sardi

viaggio propedeutico all’importazione dei 100 kg conclusasi con l’arresto di Cattafi; il disinteresse dei sardi in occasione delle perdite derivanti da tale ultima
evenienza; l’assenza di una cassa comune; etc. La sentenza impugnata si è limitata a dare atto di volta in volta di tali elementi e ad affermare che il singolo elemento considerato non aveva rilievo. In particolare osservano che la stessa
corte d’appello dà conto di numerosi viaggi in Sardegna in costanza dei traffici,
parlando di «interventi e viaggi preparatori finalizzati alle trattative», il che mostra la presenza di negoziazioni estemporanee e di accordi in relazione ai singoli
affari nonché l’assenza del dolo tipico del reato associativo. Già il solo fatto che i
Sulis si interrogavano circa la necessità della prosecuzione degli affari dei campani in Sardegna esclude la sussistenza di un vincolo associativo di natura permanente destinato a perdurare anche dopo la consumazione dei singoli delitti
programmati e di un programma criminoso predeterminato volto al compimento
di una serie indeterminata di delitti. La difesa aveva invero sostenuto che
l’eccesso dei viaggi rispetto alle consegne era dimostrazione dell’assenza di un
accordo stabile, programmatico e continuativo. E’ poi contraddittorio rispetto alla
ritenuta esistenza di un accordo di conto corrente il fatto che alcuni carichi di
droga non furono consegnati perché gli acquirenti non avevano immediata disponibilità del corrispettivo, e che Paolo Sulis affermava che i napoletani non avrebbero portato più nulla se non fossero stati pagati prima nonché i contrasti
insorti sui pagamenti. Ciò dimostra l’assenza di stabilità e sistematicità ed un atteggiamento antitetico all’affectio societatis, mentre la durata del rapporto commerciale illecito e dell’affectio sono elementi caratterizzanti anche il concorso di
persone nel reato continuato. La stessa sentenza impugnata dà conto della inesistenza di una cassa comune e di interessi economici contrapposti, nonché di frequenti contrasti. Secondo la giurisprudenza è possibile che vi siano interessi contrapposti, ma occorre comunque che il rapporto tra i soggetti portatori di interessi contrapposti si configuri in termini di stabilità e sistematicità. Sono incompatibili con l’elemento strutturale della fattispecie: la volontà di estromettere colui che dovrebbe essere un proprio sodale, la volontà di un acquirente di addebitare all’altro la responsabilità di un debito con gli altri sodali, il disinteresse

11

nei confronti dei campani; il disinteresse e l’assenza del Podda in occasione del

dell’acquirente-finanziatore per uno dei carichi più rilevanti, l’indifferenza verso
la perdita conseguente all’arresto del Cattafi, la sfiducia degli acquirenti nei confronti dei fornitori, la mancata consegna da parte dei fornitori laddove gli acquirenti non avessero la possibilità di corrispondere il pagamento. Dalle conversazioni intercettate emerge l’assenza di un progetto indeterminato di commettere
un numero indefinito di reati in materia di stupefacenti e l’assenza di una previa
assunzione dell’impegno di apportare i reciproci contributi anche in futuro per attuare il piano criminoso permanente nonché l’assenza della consapevolezza in

buto nell’economia del fenomeno associativo. Ciò dimostra anche l’assenza del
dolo di partecipazione all’associazione, questione non esaminata dalla corte
d’appello. Dalla stessa sentenza impugnata emerge che non vi sono elementi per
affermare l’esistenza di una struttura che trascende quella necessaria per la
commissione dei singoli reati fine, ossia di una struttura organizzativa che si
ponga come autonoma rispetto alla commissione dei reati fine e sia strumentale
all’esistenza del vincolo associativo. Occorre poi, quanto all’elemento soggettivo,
che sia accertata la sicura volontà, e prima ancora la rappresentazione, di aver
aderito all’accordo di partecipazione, avente carattere stabile ed indeterminato
nella perpetrazione di fatti di cui all’art. 73 d.P.R. 309/90, e l’altrettanto consapevole volontà di porre in essere condotte che siano teleologicamente orientate
non già verso i reati fine, bensì al vincolo associativo. Il contenuto del dolo
dell’associazione non è certamente la volontà di porre in essere più fatti di cui
all’art. 73, bensì quello di partecipare ad una struttura organizzata che abbia
come oggetto la commissione di quei reati. Sul punto dell’elemento psicologico
del reato la sentenza è mancante di motivazione.
2) violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’art. 74, comma
7, d.P.R. 309 del 1990. Osserva che la corte d’appello ha escluso l’attenuante
perché l’aiuto non aveva portato ad una reale sottrazione di risorse rilevanti, cioè
cospicue, suscettibili di essere utilizzate mediante perpetrazione di ulteriori attività delinquenziali. La conclusione è manifestamente illogica perché nella stessa
sentenza impugnata si legge che i ricorrenti non si erano limitati alla mera indicazione del nome di qualche complice, ma avevano «rivelato anche contra sé episodi criminosi sino a quel momento ignoti agli inquirenti». Non è quindi vero
che avrebbero ammesso in sostanza soltanto ciò che non potevano negare. La
corte d’appello ha erroneamente interpretato la norma che prevede l’ipotesi
dell’essersi adoperato per assicurare le prove del reato come alternativa e non
cumulativa a quella della sottrazione di risorse rilevanti.

7. Cattafi Santi Antonino, a mezzo dell’avv. Marco Fausto Piras, propone
ricorso per cassazione deducendo:

12

capo agli stessi pretesi sodali della permanenza pro futuro del ruolo e del contri-

1) mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione in
ordine alla affermazione della sua responsabilità per il delitto di cui all’art. 74,
comma 1, d.P.R. 309 del 1990. Osserva che la sua estraneità al sodalizio criminoso emerge dalla stessa sentenza di primo grado e dalle dichiarazioni degli altri imputati, da cui risulta che il Cattafi era escluso da ogni ruolo attinente alla
trattativa sui quantitativi e sui prezzi o che anche conoscesse i soggetti coinvolti.
Dalla sentenza emerge che il Cattafi aveva contatto esclusivamente con il venditore campano, che non conosceva gli acquirenti sardi e che era un mero gregario

La corte d’appello dice che egli sicuramente sapeva che si trattava di cocaina in
base al tipo di confezionamento, ma senza considerare che non aveva alcuna esperienza in materia di stupefacenti. E’ emerso che egli era in contatto solo col
Cardinali, che gli consegnava la merce per poi riprenderla in Sardegna, dove i
due arrivavano con viaggi separati e dove la merce veniva caricata dal Cardinali
su una autovettura, senza che egli conoscesse gli acquirenti. Il fatto che i Sulis
avessero riconosciuto la foto del Cattafi sul giornale non significa che fra gli stessi vi fosse anche conoscenza personale. Non vi sono altri elementi di conforto alla tesi di contatti o di conoscenza tra il Cattafi e gli acquirenti sardi. La circostanza che il Cattafi conoscesse e fosse in contatto solo col Cardinali dimostra la
mancanza dello elemento psicologico del reato di cui all’art. 74, il quale richiede
la stabilità dei rapporti interpersonali e costante consapevolezza di ciascun associato di far parte del sodalizio. Manca la prova di un suo consapevole inserimento
in una associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti e la consapevolezza che il traffico del Cardinali coinvolgesse altri soggetti. Dalle conversazioni intercettate emerge che egli era soggetto fungibile ed estraneo agli accordi
associativi, chiamato e pagato di volta in volta quando necessario. Del resto, il
Cardinali si guardava bene dal creare situazioni in cui il Cattafi potesse autonomamente entrare in contatti commerciali con i sardi.
Lamenta infine che la pena è eccessiva, considerati la collaborazione,
l’incensuratezza, la marginalità del ruolo e i motivi a delinquere.

8. Sulis Salvatore, a mezzo dell’avv. Herika Dessi, propone ricorso per cassazione deducendo:
1) inosservanza ed erronea applicazione degli artt. 110 cod. pen. e 73
d.p.R. 309 del 1990; mancanza o manifesta illogicità della motivazione. Ricorda
che il Gup lo aveva condannato alla pena di anni 5 di reclusione per i reati contestati al capo B), il quale nella prima parte si riferisce ad un numero imprecisato
di carichi, fra i 50 e i 100 chili di hashish, e poi contesta in modo dettagliato
quattro episodi, i primi tre relativi alla detenzione di hashish e l’ultimo alla detenzione di 100 chili di hashish e di 500 grammi di cocaina. Il Gup ha ritenuto la

13

del Cardinali, tanto che non conosceva nemmeno il tipo di sostanza trasportata.

sussistenza, oltre che dei quattro episodi specificati, di altri due, uno del luglio
2011 e l’altro nel luglio 2010. In sentenza il Gup ha, da un lato, ritenuto provata
la responsabilità concorsuale di Salvatore Sulis in ordine al delitto continuato ascritto al capo B) e, dall’altro lato, ha sostenuto che il concorso dell’imputato si
manifestò in relazione alle cessioni di droghe accertate tra il maggio e il settembre 2011, cioè dopo l’inizio delle intercettazioni nella nnarmeria del padre. Con
l’atto di appello aveva eccepito che emergeva una sua partecipazione concorsuale solo dopo il maggio 2011 e quindi chiedeva l’assoluzione per i primi due epi-

anche l’assoluzione per l’episodio del luglio 2011, perché la sentenza di primo
grado aveva specificato che a quello i Sulis non avevano partecipato. La corte
d’appello, anziché verificare l’esistenza di una condotta concorsuale per ogni singolo episodio individuato dal Gup, dopo avere confermato il giudizio di responsabilità di Salvatore Sulis per il reato associativo (dal quale invece Salvatore Sulis
era stato assolto in primo grado), afferma che deve essere confermata la responsabilità dei due Sulis per le plurime cessioni di droga loro ascritte in concorso quali reati fine al capo B). Sostiene poi la corte che quelle cessioni perfezionate direttamente tra i campani ed il Podda senza l’intermediazione dei Sulis, non
rientranti tra quelle dettagliatamente descritte nel capo B), devono ritenersi essere state già escluse a carico dei due dal giudice di primo grado. La corte d’appello conclude affermando che Salvatore Sulis è stato riconosciuto colpevole solo
delle cessioni accertate tra maggio e settembre 2011. Ora, poiché le cessioni accertate tra maggio e settembre 2011 sono tre, di cui una è quella che coinvolge
Farris Massimo del luglio 2011 e che vede del tutto estranei i Sulis, è evidente
che Salvatore Sulis deve rispondere solo di due episodi: uno di 80 Kg di hashish
del 28.4.2011; ed uno di circa 100 Kg di hashish e 500 gr di cocaina del 23 settembre 2011, in occasione del quale venne tratto in arresto il Cattafi. Sul punto
però la motivazione è carente, perché, da un lato, non esclude in modo chiaro la
responsabilità del ricorrente per gli ulteriori episodi e, dall’altro, non risponde alle doglianze contenute nell’atto di appello circa l’assenza di prove sulla condotta
concorsuale per alcuni degli episodi contestati al capo B).
Con l’appello inoltre era stata chiesta la quantificazione degli aumenti di pena ai sensi dell’art. 81 cod. pen. Sul punto la corte, con una motivazione illogica
e carente, si limita a sostenere l’impossibilità di rispondere perché per molte
cessioni non sono noti i dettagli idonei a valutarne la gravità e sarebbe comunque impossibile suddividere l’aumento per i singoli episodi, stante la frequenza
mensile delle cessioni. L’affermazione è in palese contraddizione con quanto la
stessa sentenza sostiene circa l’evidente responsabilità del Sulis per le condotte
realizzate del maggio al settembre 2011, ben definite nella sentenza di primo
grado.

14

sodi specificati al capo B), avvenuti tra gennaio ed aprile 2011. Chiedeva inoltre

2) inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 81 cod. pen.; mancanza o
manifesta illogicità della motivazione. Osserva che con i motivi di appello aggiunti aveva evidenziato la necessità di rideterminare la pena a seguito della
sentenza della Corte costituzionale n. 22 del 2014, che ha comportato la reviviscenza del precedente testo dell’art. 73 e della distinzione tra droghe pesanti e
droghe leggere. La pena inflitta a Salvatore Sulis in relazione alla sostanza stupefacente hashish deve conseguentemente ritenersi illegale. La difesa aveva inoltre posto il problema della determinazione del reato più grave e quindi della

zo chilo di cocaina era reato più grave rispetto alla detenzione di hashish, anche
nell’ipotesi aggravata ex art. 80, comma 2. La corte d’appello non ha compreso
questo motivo di impugnazione e non ha risposto, limitandosi ad affermare che
la pena inflitta in primo grado doveva essere confermata in considerazione della
gravità dei fatti, che consente di ritenerla equa, nonché del fatto che il Gup aveva individuato il reato più grave nel traffico del 23 settembre 2011, avente ad
oggetto oltre che 100 chili di hashish anche 500 grammi di cocaina. La corte erroneamente non ha considerato che la detenzione di droghe leggere e quella di
droghe pesanti costituiscono due autonome ipotesi di reato, che concorrono tra
loro, e fra le quali è possibile ravvisare la continuazione. Ciò rileverebbe anche
se la pena inflitta dalla sentenza di primo grado fosse congrua. Infatti, essendo
ora il reato più grave la detenzione di 500 gr di cocaina, su tale pena devono essere apportati i singoli aumenti per la continuazione con gli ulteriori reati, ivi
compreso quello per i 100 chili di hashish sequestrati insieme alla cocaina. La
circostanza rileva in sede di esecuzione perché oggi il reato più grave non è inserito nell’elenco dell’art. 656 cod. proc. pen. tra quelli che non consentono la sospensione della pena anche se inferiore a tre anni, a differenza dell’art. 73,
comma 4, e art. 80 che nella sentenza di primo grado è individuato come reato
più grave.

9. Farris Massimo, a mezzo dell’avv. Paolo Giuseppe Pilia, propone ricorso
per cassazione deducendo:
1) violazione degli artt. 516 e 521 cod. proc. pen. Ricorda che con l’atto di
appello aveva eccepito che il Gup lo aveva condannato per il solo delitto di cui
all’art. 73 d.P.R. n. 309/90 (asseritamente contestato al capo B), limitatamente
ad un ipotetico episodio di cessione del 20 luglio 2011 (peraltro mai esplicitato
nel capo di imputazione). In realtà lo stesso giudice aveva specificato che le contestazioni a carico del Farris erano ascrivibili esclusivamente nell’ambito di un
addebito di partecipazione associativa, mentre nessuna incriminazione (sia pure
implicita) risultava riconducibile a dinamiche “monosoggettive”, mai ipotizzare
con riferimento a Massimo Farris. Con l’atto di appello aveva quindi eccepito la

15

pena base su cui applicare gli aumenti ex art. 81. Infatti, la detenzione del mez-

discrasia tra il fatto contestato e quello oggetto di sentenza, stante l’omessa inclusione nel capo di imputazione di un riferimento esplicito o implicito all’accadimento in parola. La corte d’appello ha respinto l’eccezione riconducendo la dedotta violazione ad una nullità relativa del capo di imputazione, per inosservanza
«dell’obbligo di precisa indicazione dei fatti ascritti all’imputato», ormai sanata in
quanto non eccepita prima della richiesta di rito abbreviato. In ogni caso, secondo la sentenza, non vi sarebbe violazione degli artt. 516 e 521 «dovendosi valutare l’imputazione nel suo complesso, nel capo C) relativo al reato associativo la

vento quale esecutore delle disposizioni di Podda». Sennonché l’episodio per il
quale Farris è stato condannato non è mai stato oggetto di imputazione (neppure
implicita e in fatto); sicché non se ne poteva (né doveva) rilevare la genericità.
Nel capo B) non si fa riferimento ad alcuna cessione di hashish dal Farris al Podda, tanto meno il 20 luglio 2011. Anche nel capo C) si individua un ruolo logistico del Farris, esecutore delle disposizioni del Podda, nell’ottica del pactum sceleris originariamente contestato. Il Farris, cioè, sarebbe rimasto estraneo a qualsiasi forma di contributo materiale e non avrebbe ceduto alcunché a nessuno, e
certo non al Podda, del quale sarebbe stato mero dipendente. Del resto, il minimo quantitativo di hashish mostrato al Podda sarebbe stato nella disponibilità
esclusiva dei campani, quindi la traditio illecita sarebbe addebitabile a questi
soggetti, dei quali non è stato mai da nessuno addebitato al Farris un ruolo collaterale. La corte d’appello, invece, ha ipotizzato ex se una continuità immediata
tra Farris e i due campani ed ha ritenuto che il Farris avesse ceduto i pochi
grammi di hashish al Podda quale sodale dei campani. Una siffatta condotta non
è mai stata oggetto di contestazione ed è sempre stata estranea al contraddittorio.
2) mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione; violazione dell’art. 192 cod. proc. pen., incongruità della motivazione. L’asserzione
che il ricorrente il 20 luglio 2011 avrebbe ceduto al Podda 20 grammi di hashish
è fortemente antinonnica all’assunto della sua posizione di subordine rispetto al
Podda, di cui si limitava ad eseguire le direttive. La stessa sentenza ammette
che il Farris non aveva mai detenuto stupefacente nella sua abitazione, dove il
provino di hashish era stato portato occultato dal Cardinali. Il successivo dialogo
avvenne solo tra il Cardinali e il Podda, mentre il Farris addirittura invitò i due ad
allontanarsi. Il Farris restò sempre estraneo alle dinamiche ed ai rapporti intessuti dal Podda. Anche in quella occasione, nella sua abitazione il Farris mantenne
sempre un comportamento meramente passivo. Non è nemmeno configurabile
un contributo morale perché il Farris invitò gli altri ad andarsene e la stessa sentenza ha evidenziato il suo sforzo per rimanere estraneo ai traffici illeciti.
3) mancanza o manifesta illogicità della motivazione; inosservanza ed erro-

16

condotta ascritta a Farris è ulteriormente specificata con riferimento al suo inter-

nea applicazione della legge penale in relazione alla mancata applicazione delle
attenuanti generiche, pur riconosciute dalla sentenza di primo grado, con violazione del divieto di reformatio in peius. Ricorda che il Gup aveva riconosciuto le
attenuanti generiche, ritenute equivalenti all’aggravante ex art. 80 ed alla recidiva. La corte d’appello ha riqualificato il fatto nell’autonomo reato di cui all’art.
73, quinto comma, d.p.R. 309 del 1990; ha escluso la recidiva e l’aggravante di
cui all’art. 80, ma poi ha escluso anche le attenuanti generiche in considerazione
dei precedenti penali dell’imputato, nonostante le attenuanti generiche fossero

pubblico ministero. Sussiste quindi violazione del divieto di reformatio in peius.

Motivi della decisione

1. I ricorsi sono fondati sotto i profili che seguono.
Innanzitutto sono fondate le diverse censure relative alla motivazione sulla
sussistenza del reato associativo di cui all’art. 74 d.P.R. 309 del 1990, essendo
la sentenza impugnata sul punto effettivamente viziata perché congetturale, assertiva e manifestamente illogica.
In estrema sintesi sembrerebbe che la sentenza impugnata, anziché esaminare e valutare la sussistenza di tutti gli elementi integrativi del reato associativo alla luce dei diversi elementi di fatto emersi nel processo, valutati unitariamente nel loro complesso, nonché alla luce di tutte le considerazioni e le eccezioni svolte dagli appellanti, sia partita già dall’assunto, già presupposto, di una
ritenuta acquisita sussistenza del reato associativo per poi limitarsi ad osservare
che nessuno dei diversi elementi evidenziati dalla difesa era idoneo di per sé ad
escludere la sussistenza del reato stesso. Sembrerebbe quasi che il criterio di
giudizio utilizzato sia stato non già quello della prova della sussistenza del reato
bensì quello della mancanza di prova della esclusione della sussistenza del reato
stesso («non può escludersi»), cioè quello della plausibilità anziché quello della
prova al di là di ogni ragionevole dubbio.
Effettivamente può riconoscersi che queste carenze di motivazione sembrerebbero ricondursi al fatto che tutta la vicenda appare caratterizzata da gravi inerzie investigative — di cui non spetta a questa Corte ipotizzare le possibili ragioni — per effetto delle quali sono rimasti inesplorati molti aspetti delle cessioni
di stupefacenti oggetto del giudizio ed è rimasta incompleta la ricostruzione di
molti fatti posti a fondamento delle contestazioni.
Le origini e gli aspetti essenziali della vicenda, che risultano in modo pacifico
dalle sentenze di merito e che sono ammessi dagli stessi ricorrenti, sono i seguenti.
Nei primi mesi del 2010, Cardinali Alfonso, di Torre del Greco, in ricerca di

17

state concesse dal giudice di primo grado e non vi fosse stata impugnazione del

possibili acquirenti di notevoli quantitativi di sostanza stupefacente, e in particolare di hashish, si rivolgeva, in Cagliari, ad un tale Marcello, a lui noto come narcotrafficante, e gli proponeva l’acquisto dello stupefacente. Il contatto non ebbe
esito, ma questo Marcello segnalò al Cardinali che un suo conoscente, tale Paolo
Sulis, poteva essere interessato ad acquistare ingenti quantitativi di hashish. Dai
contatti tra il Cardinali e quest’ultimo nell’estate del 2010, iniziarono le diverse
cessioni dello stupefacente da parte del primo, protrattesi fino al settembre del
2001, che costituiscono oggetto di questo processo. I termini dell’accordo col Su-

del Greco e che aveva conoscenze in Sardegna fatte quando era stato lì detenuto, avrebbe fornito al Sulis, che si era dichiarato disponibile ad acquistarli, consistenti quantitativi di hashish reperiti sulla piazza di Torre del Greco, potendo
contare su mezzi per il trasporto nonché sul corriere Santi Antonino Cattafi alle
sue dipendenze.
Peraltro, dopo la prima fornitura, emergeva che il Sulis era in realtà solo un
intermediario e che il reale acquirente, dotato dei necessari mezzi finanziari, era
tale Fabio Podda. Vennero quindi effettuate alcune operazioni di compravendita
di hashish; vi fu un tentativo di escludere il Sulis e quindi l’attività si interruppe
nel settembre 2011, quando venne arrestato il corriere Cattafi mentre era in
procinto di consegnare una fornitura dì 100 chili di hashish. A bordo
dell’automezzo peraltro vennero trovati anche 500 gr. di cocaina.
I fatti suesposti risultano anche dalle convergenti dichiarazioni confessorie
di tutti gli imputati. In particolare, dopo essere stati sottoposti a misura cautelare personale, Cardinali ed Autiero si offrirono di fare rilevazioni in cambio della
attenuazione della misura e purché venissero loro rivolte domande limitate alle
cessioni fatte ai cagliaritani e non fossero invece fatte domande relative alla provenienza dello stupefacente da loro alienato ed ai rapporti con i loro fornitori e in
genere con gli ambienti criminali campani. L’accordo sembra essere stato accettato dagli inquirenti perché non risulta che sia stata fatta alcuna indagine sulla
provenienza degli ingenti quantitativi di sostanza stupefacente in possesso di
Cardinali ed Autiero e venduta in Sardegna oltre che sui rapporti dei due indagati con le organizzazioni criminali campane. Successivamente anche gli altri imputati rilasciarono dichiarazioni confessorie.

2. Esattamente i ricorrenti ricordano che per la sussistenza di una associazione per delinquere ex art. 74 d.P.R. 309 del 1990, occorre che vi sia la prova di
un vincolo associativo di natura permanente fra tre o più persone, qualificato da
un minimo di organizzazione, anche non strutturata gerarchicamente ma comunque a carattere stabile, che sia destinata a perdurare anche dopo la consumazione dei singoli delitti programmati, nonché da un programma criminoso vol-

18

lis prevedevano che il Cardinali, coadiuvato da Mario Autiero, anch’egli di Torre

to al compimento di una serie indeterminata di delitti previsti dalla legge sugli
stupefacenti, senza che, peraltro, occorra l’effettiva consumazione degli stessi.
Occorre inoltre, sotto il profilo soggettivo, la consapevolezza di far parte del sodalizio criminoso, con l’ulteriore aspetto volontaristico del perseguimento della
finalità associativa di commissione di una serie indeterminata di delitti (essendo
l’elemento psicologico a «dolo specifico»). Sotto il profilo partecipativo occorre
altresì, come in tutte le specie di associazione per delinquere, come condotta tipica un contributo stabile alla vita dell’associazione ed alla realizzazione dei suoi

scenda dall’episodica commissione di reati fine e che integri invece un perdurante contributo all’attività del sodalizio criminoso. Stante poi l’autonomia intercorrente tra la fattispecie associativa e i reati fine, è necessario individuare due distinte condotte, sorrette da altrettanto distinti coefficienti psicologici, ossia occorre motivatamente individuare elementi concreti da cui inferire, oltre alla
commissione di episodi specifici integranti l’art. 73 d.P.R. 309/90, elementi probatori ulteriori rispetto a quelli ovvero individuare negli stessi dati di univoca significatività rispetto alla partecipazione all’associazione. Poiché l’esistenza del
sodalizio associativo criminoso non è ovviamente consacrata in atti costitutivi o
con altre condotte formali, la sua prova dovrà basarsi su indizi costituiti da dati
certi e dotati di univoca significatività.
La sentenza impugnata richiama il principio costantemente affermato da
questa Corte, secondo cui «Al fine della configurabilità di un’associazione per delinquere finalizzata al narcotraffico è necessaria la presenza di tre elementi fondamentali: a) l’esistenza di un gruppo, i membri del quale siano aggregati consapevolmente per il compimento di una serie indeterminata di reati in materia di
stupefacenti; b) l’organizzazione di attività personali e di beni economici per il
perseguimento del fine illecito comune, con l’assunzione dell’impegno di apportarli anche in futuro per attuare il piano permanente criminoso; c) sotto il profilo
soggettivo, l’apporto individuale apprezzabile e non episodico di almeno tre associati, che integri un contributo alla stabilità dell’unione illecita»

(Sez. I,

18.2.2009, n. 10758, Uno, Rv. 242897; Sez. IV, 2.10.2013, n. 44183, Alberghini, Rv. 257582).
Effettivamente, però, questi principi risultano solo formalmente enunciati
ma poi non applicati puntualmente, essendo appunto carente e assertiva la motivazione sulla sussistenza degli elementi costitutivi del reato associativo. La
sentenza impugnata, comunque, non ha adeguatamente risposto alle diverse
specifiche eccezioni difensive proposte con gli atti di appello. Con le impugnazioni, gli appellanti avevano eccepito che mancava la prova tanto dell’esistenza di
un permanente vincolo associativo quanto di una struttura organizzativa adeguata allo scopo associativo ulteriore rispetto a quella necessaria per i reati fine

19

fini. E perciò necessario che sia accertata la sussistenza di una condotta che tra-

ed avevano evidenziato sia che erano presenti specifici dati di valenza antitetica
alla sussistenza della stabilità del vincolo e dell’affectio societatis, sia che al contrario gli elementi utilizzati dalla sentenza di primo grado erano sostanzialmente
inefficienti sotto il profilo probatorio rispetto al reato associativo, non spiegando
alcuna inferenza autonomizzante rispetto ai reati fine. In particolare avevano evidenziato, tra gli altri elementi, i plurimi contrasti insorti tra i campani ed i sardi
non solo sul pagamento del prezzo delle forniture; i numerosi viaggi in costanza
di traffico, atti ad evidenziare l’assenza di una sistematicità e piuttosto, lo svol-

stessi sardi; la sfiducia dei sardi nei confronti dei campani; il disinteresse e l’assenza del Podda in occasione del viaggio dei campani propedeutico all’importazione dei 100 kg conclusasi con l’arresto di Cattafi; il disinteresse dei sardi in occasione delle perdite derivanti da tale ultima evenienza; l’assenza di una cassa
comune; l’assenza di una struttura organizzativa; e così via.
La corte d’appello, invece di esaminare tutti questi elementi nel loro complesso, si limita ad affermare che il singolo dato di volta in volta considerato non
sarebbe idoneo ad incidere negativamente sulla possibile esistenza di un rapporto associativo.

3. I ricorrenti avevano, in primo luogo, rilevato che, fra gli elementi costitutivi della fattispecie, rientra l’esistenza di una struttura organizzativa che si ponga come autonoma rispetto alla commissione dei reati fini e sia strumentale
all’esistenza del vincolo associativo. Il vincolo associativo, difatti, deve estrinsecarsi anche attraverso la predisposizione di mezzi, sia pure rudimentali, finalizzati al perseguimento dei comuni scopi illeciti che si collochino in maniera autonoma ed «ulteriore», appunto, rispetto a quelli utilizzati per la commissione dei
singoli reati fine. E’ infatti evidente che per l’organizzazione di un traffico di sostanza stupefacente è necessaria l’organizzazione di una logistica che impone a
sua volta la predisposizione di mezzi finanziari e strumentali. Occorre quindi che
vi sia la prova dell’esistenza di una struttura organizzativa che si ponga come
autonoma rispetto alla commissione dei reati fine e sia strumentale all’esistenza
del vincolo associativo. In altre parole, i beni strumentali dell’associazione, pur
se non necessariamente capaci di concretare un’articolata e complessa organizzazione devono, comunque, essere idonei, in concreto, a garantire in modo permanente il programma oggetto del vincolo associativo.
Ora, la sentenza impugnata, innanzitutto indica quale bene strumentale
dell’associazione il terreno di proprietà di Efisio Murru, benché costui sia stato ritenuto estraneo al reato associativo, osservando che ciò non valeva ad escludere
che il terreno fosse a disposizione, e noto agli associati come luogo ove poteva
essere portata e tenuta al sicuro la droga. Sennonché non è spiegato perché il

20

gimento di trattative e l’organizzazione di ogni singolo affare; i contrasti tra gli

terreno del Murru fosse a disposizione degli associati e dell’associazione nonostante che dalle stesse sentenze di merito risulti che il Murru si era reso disponibile, soltanto in un’unica occasione, a mettere a disposizione un terreno di sua
proprietà per ricoverare, temporaneamente, una partita di hashìsh fornita dai
campani salvo, poi, rifiutarsi per ulteriori analoghe condotte. Fondatamente i ricorrenti eccepiscono che la sentenza impugnata non motiva sulla ragione per la
quale questa circostanza non dimostrerebbe invece che gli acquirenti non disponevano di un luogo stabile per lo stoccaggio dello stupefacente, dovendo ricorre-

tà di ricoveri strutturalmente funzionali allo scopo, alla marmeria del Sulis. Non
si è poi tenuto presente che anche gli acquirenti di rilevanti quantitativi, pur se
non partecipanti ad una associazione, necessitano di un luogo per lo stoccaggio.
Costituisce invece bene strumentale all’illecita attività di narcotraffico
l’automezzo usato per il trasporto dello stupefacente, soprattutto per
l’installazione di un sistema di occultamento. Si trattava però di un bene nella
disponibilità esclusiva dei venditori campani, tanto che la sentenza impugnata
non afferma che gli acquirenti sardi potessero interferire con la predisposizione e
la struttura dell’automezzo e con le modalità di trasporto e di consegna dello
stupefacente. Non è pertanto spiegato come mai tale bene, utilizzato solo dai
campani per la consegna delle sostanze vendute (e non è stato accertato che
non fosse utilizzato anche per vendite ad altri soggetti) sarebbe stato strumentale e finalizzato all’esistenza di un vincolo associativo con i sardi.
Quanto alla marnneria del Sulis, si trattava del luogo dove il Sulis e il figlio
lavoravano quotidianamente e dove entrambi trattavano ogni questione, lecita o
illecita che fosse. La motivazione della sentenza impugnata è pertanto carente,
perché non spiega le ragioni per cui l’esercizio economico dei Sulis sarebbe stato
funzionale alla realizzazione degli scopi dell’associazione, sebbene risulterebbe
che solo in un paio di occasioni presso la nnarmeria venisse occultato lo stupefacente o il denaro necessario per pagare i campani. Non è spiegato, cioè, perché
si tratterebbe di un uso non solo occasionalmente utile agli scopi
dell’associazione e, quindi, qualificabile come componente della sua struttura organizzativa. Nemmeno è spiegato perché la marmeria avrebbe avuto una utilizzazione diversa ed ulteriore rispetto a quella di un luogo di deposito utilizzato
occasionalmente dagli acquirenti del carico.
Analoga considerazione va fatta per il bar del Podda, dove, a quanto risulta,
non si svolgevano con una qualche abitualità incontri tra i componenti
l’associazione, ma dove i campani si recarono solo in un paio di occasioni perché,
volendo conferire con il Podda, andarono a cercarlo nel suo posto di lavoro. Anzi
dalla sentenza impugnata risulta che, quando si rese necessario trovare un posto
dove discutere di questioni illecite, gli imputati ricorsero all’abitazione del Farris,

21

re, dopo la defezione del Murru, ad altri siti tra i quali, proprio per l’indisponibili-

ritenendo evidentemente inidoneo allo scopo, proprio per la sua destinazione
d’uso, il bar del Podda (pag. 105 sentenza).
Del tutto immotivata, poi, è l’inclusione, tra i beni strumentali
dell’associazione, anche delle «numerose utenze telefoniche» (pag. 90 sentenza).
La stessa sentenza impugnata, del resto, richiama espressamente (pag. 91)
il principio giurisprudenziale secondo cui «è sufficiente anche un’elementare predisposizione di mezzi, pur occasionalmente forniti da taluno degli associati o

permanente il programma delinquenziale oggetto del vincolo associativo»

(Sez.

VI, 13.2.2009, n. 25454, Marnrnoliti, Rv. 244520).
Nella specie manca, appunto, nella sentenza impugnata una adeguata e
congrua motivazione sulla idoneità in concreto, dei beni indicati come strumentali dell’associazione a realizzare in modo permanente il programma delinquenziale oggetto del vincolo associativo, così come manca la distinzione tra tali beni
e quelli pertinenti non alla associazione ma soltanto ad alcuni limitati soggetti e
quelli utilizzati per realizzare singole operazioni di compravendita.

4. Per il resto, occorre ricordare che la sentenza impugnata ha ritenuto esistente una associazione stabile comprendente sia i due venditori campani Cardinali ed Autiero ed il trasportatore da loro utilizzato Cattafi e sia i due acquirenti
cagliaritani Sulis e Podda. La sentenza impugnata afferma (pag. 98) che tale associazione «era un sodalizio di dimensioni e con potenzialità e volume di affari
inferiore rispetto a tanti altri operanti sulla Penisola, fra cui quello o quelli dai
quali i primi, in Campania, acquistavano la droga destinata al mercato sardo».
Sostiene poi, apoditticamente (ed in evidente contraddittorietà con le quantità di
cui al capo di imputazione), che Cardinali ed Autiero «in Campania erano spacciatori di piccola levatura». Afferma che «il fatto che vi fosse altrove una struttura assai più articolata e potente non esclude la rilevanza della assai più piccola,
meno temibile, e più rudimentale organizzazione costituita fra i Sardi ed i Campani». Afferma anche (pag. 89) che il caso di specie sarebbe caratterizzato
dall’incontro di volontà dei campani e dei due cagliaritani,

«costantemente e

consapevolmente disponibili all’acquisto delle sostanze stupefacenti di cui l’illecito sodalizio faceva traffico…. con la coscienza e volontà di farne parte e di
contribuire al suo mantenimento».
Sembrerebbe quindi che la corte d’appello abbia riconosciuto che esisteva, o
almeno che era molto probabile (sulla base degli elementi acquisiti) che esistesse, una organizzazione delinquenziale campana, assai più articolata e potente, di
cui erano partecipi Cardinali ed Autiero (che del resto avevano evidentemente
disponibilità di ingenti quantitativi di sostanza stupefacente da vendere, se erano

22

compartecipi, sempre che gli stessi siano in concreto idonei a realizzare in modo

andati a ricercare acquirenti in Sardegna), e della quale invece i due cagliaritani
non facevano parte e rispetto alla quale quest’ultimi erano semplici acquirenti.
Se così è, allora appare contraddittoria la ricostruzione adottata dalla sentenza
impugnata secondo cui vi sarebbe stata una associazione campano-sarda, perché essa sembra basarsi sul presupposto che non vi fosse una associazione campana, cui partecipavano Cardinali ed Autiero, che si procurava e vendeva ingenti
quantità di sostanze stupefacenti, anche di tipo diverso, e che i sardi non fossero
dei semplici acquirenti. D’altra parte, la sentenza impugnata omette di motivare

già una associazione dedita all’acquisto e allo spaccio di ingenti quantitativi di
sostanze stupefacenti, ed omette anche di motivare sulle ragioni per le quali si
dovrebbe escludere l’ipotesi che i tre venditori facessero già parte di una più articolata e potente associazione per delinquere finalizzata all’acquisto ed alla rivendita.
Sembra probabile, come eccepito da alcuni ricorrenti, che queste incertezze
motivazionali dipendano dalle lacune investigative che hanno lasciato assolutamente ignota tutta l’attività del procacciamento delle sostanze stupefacenti oggetto del processo da parte dei venditori campani. Quel che solo qui rileva, però,
è che si rinviene una carenza ed una manifesta illogicità della motivazione in ordine alla sussistenza dell’associazione ritenuta in sentenza, specialmente per
quanto riguarda la presenza di una stabilità del vincolo e dell’affectio societatis.

5. Gli imputati avevano eccepito che l’esistenza di un accordo associativo
era smentita innanzitutto dai numerosi viaggi compiuti dai campani in Sardegna
in costanza dei traffici. La corte d’appello (pag. 93) ha osservato che effettivamente nel periodo preso in considerazione dai capi di imputazione la PG aveva
accertato ben 31 viaggi in Sardegna compiuti dal Cardinali, da solo o in compagnia di Autiero, il che costituiva un riscontro della cadenza mensile delle consegne, ed ha quindi affermato che il fatto che i viaggi complessivi dei tre fossero
stati più numerosi rispetto alle consegne non valeva a dimostrare che i medesimi
si spostavano in Sardegna anche per altre ragioni illecite oltre che per trafficare
con i coimputati, dato che anche dalle intercettazioni ambientali e dalle stesse
ammissioni degli imputati, era emerso che nella stragrande maggioranza dei casi
i campani si erano recati in Sardegna proprio per incontrarsi con i Sulis e Podda.
La motivazione è illogica e inconferente perché gli imputati, con gli appelli,
non avevano tanto eccepito che l’eccesso dei viaggi rispetto alle consegne avrebbe dimostrato il rifornimento di altri soggetti diversi dai coimputati, ma soprattutto che il rilevante numero dei viaggi era, al contrario, un elemento sintomatico proprio dell’assenza di accordo stabile, programmatico, continuativo ed
indeterminato, posto che, come ricorda la sentenza impugnata (pag. 32) che la

23

sulle ragioni per le quali i due campani ed il loro corriere Catafi non costituissero

richiama, la sentenza di primo grado aveva dato atto che «se i viaggi per il trasporto dello stupefacente erano stati diversi (non meno di sei), i viaggi degli associati comunque funzionali al traffico – per il trasporto della droga, le trattative,
la consegna di campioni, la riscossione del denaro – erano stati assai più numerosi». La corte d’appello, nel ricordare il numero e le date di quei viaggi, riconosce che si era trattato di numerosi interventi e viaggi «preparatori e finalizzati
alle trattative» ovvero esecutivi e finalizzati alla riscossione del corrispettivo, ossia anche da due a quattro viaggi al mese, per un numero di consegne certa-

cadenza mensile.
Non si è data pertanto risposta all’eccezione secondo cui proprio il cospicuo
numero di viaggi aveva un significato antitetico all’esistenza di un accordo e di
un’organizzazione stabile, perché se le consegne fossero avvenute nel quadro di
un accordo stabile, programmatico e continuativo, sarebbero ben presto andate
a regime e non avrebbero comunque richiesto continui viaggi «preparatori e finalizzati alle trattative». Da un altro lato, atteso che la stessa sentenza impugnata sostiene sia che si trattava di viaggi preparatori finalizzati alle trattative e
sia che Cardinali e Autiero si erano sempre recati in Sardegna soltanto per incontrarsi con Sulis e Podda, risulta immotivata e manifestamente illogica la conclusione che le singole consegne non fossero frutto di negoziazioni specifiche ed estemporanee, stipulate di volta in volta.
La sentenza impugnata, nel ritenere che le consegne sarebbero state frutto
di un accordo stabile, programmatico, continuativo, richiama anche due intercettazioni telefoniche: la conversazione del 29 settembre 2011, in cui i Sulis, parlando tra loro dell’arresto di Cattafi, avevano fatto conto sulle prosecuzione dei
traffici criminosi perché i campani avrebbero dovuto continuare a portare droga
se avessero voluto recuperare la perdita; e la conversazione del 13 settembre
2011, in cui Paolo Sulis aveva spiegato al figlio che per poter pagare il resto del
debito che aveva accumulato personalmente nei confronti dei campani, doveva
poter continuare a trafficare droga.
Fondatamente, però, i ricorrenti deducono che la sentenza impugnata non
spiega perché si dovrebbe ragionevolmente escludere l’ipotesi alternativa prospettata dalla difesa, secondo cui il solo fatto che i Sulis si interrogassero sulla
necessità o meno della prosecuzione degli affari dei campani in Sardegna, avrebbe invece dovuto escludere la sussistenza di un vincolo associativo di natura
permanente destinato a perdurare anche dopo la consumazione dei singoli delitti
programmati e di un programma criminoso predeterminato volto al compimento
di una serie indeterminata di delitti previsti dalla legge sugli stupefacenti.
Analogamente, la sentenza impugnata esclude la valenza di elemento di
prova negativo circa la sussistenza di un vincolo associativo del contenuto della

24

mente molto minore, che la stessa sentenza impugnata assume essere al più a

intercettazione del 17 maggio 2011, senza rispondere all’eccezione secondo cui,
al contrario, la frase «se ritorna» avrebbe indicato l’assenza di una stabilità nella
fornitura, la frase «l’altra volta» avrebbe indicato un rapporto impostato in termini di singoli affari, e la frase «non gliene dovevo prendere glielo dovevo lasciare», avrebbe indicato un accordo che si realizzava di volta in volta per la singola
fornitura.

6. Secondo la corte d’appello, a favore dell’esistenza di un rapporto duraturo

militerebbe la circostanza che talora le forniture sarebbero state pagate in un
momento successivo alla consegna, dal che si desumerebbe l’esistenza di un
«accordo di conto corrente a tempo indeterminato tra fornitori ed acquirenti»
(pag. 92). L’affermazione è apodittica oltre che contraddittoria rispetto al fatto
che più volte la sentenza impugnata dà conto che in alcuni casi i carichi di droga
non erano stati consegnati agli acquirenti perché questi non avevano immediata
disponibilità del corrispettivo (pag. 93); che Paolo Sulis aveva affermato che i
napoletani non avrebbero portato più nulla se non fosse stato pagato un corrispettivo per la precedente fornitura; che dal complesso delle intercettazioni erano emersi plurimi contrasti tra acquirenti e fornitori proprio sul tema dei pagamenti. Risulta pertanto anche manifestamente illogica l’affermazione di

«un

quadro complessivo di relazioni caratterizzato da affidamento in conto corrente»
(pag. 93) a tempo indeterminato tra fornitori ed acquirenti, fondata sul dato che
in talune occasioni i pagamenti furono successivi alle consegne, in presenza altresì dell’espresso richiamo di ulteriori occasioni nelle quali nessuna consegna fu
effettuata per mancanza del pagamento. Si tratta, in ogni caso, di un dato biunivoco, per il quale non è motivata la valenza di prova dell’esistenza di un rapporto duraturo fra gli associati che andasse oltre le singole consegne.
D’altra parte, la sentenza impugnata afferma la stabilità del rapporto e
l’affectio societatis, richiamando elementi di fatto che invece indicano chiaramente trattative per il singolo affare, l’assenza di stabilità e sistematicità, ed un
atteggiamento dissonante rispetto ad una affectio societatis, senza considerare
che la sola frequenza e durata del rapporto, in assenza di ulteriori indicatori, sono elementi che caratterizzano anche il concorso di persone nel reato continuato.
La sentenza impugnata (pag. 94) ammette l’inesistenza di una cassa comune e la presenza, al contrario di frequenti contrasti in ordine ai pagamenti, ma
anche in questo caso, invece di valutare unitariamente questo elemento in un
quadro generale, afferma che esso di per sé «non esclude il sodalizio criminoso»
perché, secondo la giurisprudenza, una associazione qualificata può sussistere
anche in presenza, e tra soggetti portatori, di interessi economici diversi ed addirittura antagonisti.

25

fra gli associati che andava oltre le singole consegne programmate in precedenza

E’ esatto che questa Corte, in materia di sussistenza di un sodalizio qualificato fra il fornitore di droga e gli acquirenti che la ricevono per immetterla nel
consumo, ritiene che «La diversità di scopo personale non è ostativa alla realizzazione del fine comune, che è quello di sviluppare il commercio degli stupefacenti per conseguire sempre maggiori profitti; né l’associazione criminosa è esclusa dalla diversità dell’utile che i singoli partecipi si propongono di ricavare, o
da un contrasto degli interessi economici di essi, posto che né l’una, né l’altro
sono di ostacolo alla costituzione ed alla persistenza del vincolo associativo»

in

caso di condotte parallele di persone accomunate dall’identico interesse di realizzazione del profitto societario mediante il commercio di droga, ma anche nell’ipotesi del vincolo che accomuna, in maniera durevole, il fornitore di droga agli acquirenti, che in via continuativa, la ricevono per immetterla al consumo» (Sez. V,
23.9.1997, n. 10077, Bruciati, Rv. 208822; Sez. III, 9.1.2014, n. 6990, Pirola).
Tuttavia, occorre altresì che il rapporto tra i soggetti, anche se organizzati in
gruppi, portatori di interessi contrapposti, si configuri in termini di stabilità e di
sistematicità, ossia che «in concreto il compendio probatorio sia effettivamente
in grado di dimostrare perché i rapporti … siano effettivamente caratterizzati da
un coefficiente di stabilità tale da rispecchiare la situazione in relazione alla quale
il suddetto principio è stato affermato. Infatti la ratio dell’attrazione “di fatto” …
dell’abituale acquirente nell’area che perimetra il sodalizio dedito al commercio di
stupefacenti, risiede nella reciproca consapevolezza … che la stabilità del rapporto così instaurato garantisce l’operatività dell’associazione in quanto tale, rivelando così l’affectio societatis» (Sez. V, 26.11.2013, n. 51400, Abbondanza, Rv.
257991, in motiv.).
Con gli atti di appello gli imputati avevano evidenziato la presenza di una
serie di dati di fatto ritenuti incompatibili con l’elemento della fattispecie costituito dal «perseguimento del fine illecito comune, con l’assunzione dell’impegno di
apportarli anche in futuro per attuare il permanente piano criminoso»

che è il

presupposto per la configurabilità dell’ipotesi associativa in presenza di interessi
economici antagonisti, quali possono essere quelli dello stabile fornitore e dello
stabile acquirente dedito alla distribuzione. Secondo gli appellanti, dalle stesse
conversazioni intercettate emergeva come i rapporti, per come vissuti ed interpretati dagli stessi propalanti, non rivestissero alcun coefficiente di stabilità e
come mancasse l’assunzione dell’impegno di apportare il proprio contributo per il
perseguimento del fine comune per il futuro. In particolare, si erano evidenziate
le seguenti circostanze: – la conversazione con la quale i Sulis parlando tra loro
convenivano che se i campani avessero voluto recuperare la perdita, avrebbero
dovuto continuare a portare droga, dal che si desumerebbe che non vi era un accordo e un impegno per continuare a portarla; – la conversazione nella quale Pa-

26

quanto «l’associazione di cui all’art. 74 d.P.R. n. 309/1990 sussiste non solo nel

olo Sulis spiegava al figlio che per pagare il resto del debito che avena accumulato personalmente nei confronti dei campani, doveva poter continuare a trafficare droga, dal che si desumerebbe la mancanza di un impegno per il futuro; – la
conversazione tra Podda e Paolo Sulis, con la quale il primo si esprimeva in termini dubitativi circa il ritorno dei campani, che mostrerebbe come l’accordo si
formasse liberamente di volta in volta; – la conversazione nella quale Paolo Sulis
spiega al figlio che fino a quando non fosse stato pagato un corrispettivo per
precedente fornitura e lui non avesse restituito una somma che doveva ai vendi-

sentenza impugnata difetta di congrua ed adeguata motivazione.
Gli appellanti avevano anche evidenziato sia che quando i campani si recarono a Cagliari nell’agosto 2011 in vista di uno dei due carichi più cospicui (quello in esito al quale venne arrestato Cattafi) per parlare con Podda, quest’ultimo,
non si fece neanche trovare, essendo in vacanza; sia che in precedenza i campani avevano cercato di aggirare ed estromettere il Sulis per proseguire le venite
con il solo Podda; sia che Podda aveva cercato di scaricare su Sulis la responsabilità per un debito con i campani. La sentenza impugnata (pag. 102 — 103) anche in questo caso si limita a valutare isolatamente queste circostanze osservando, con motivazione meramente assertiva, che di per sé esse non erano «idonee ad escludere» l’ipotesi associativa, potendosi spiegare con il ruolo defilato
e di finanziatore del Podda.
Le difese avevano inoltre messo in evidenza che tra venditori ed acquirenti
non erano solo sorte controversie quanto ai pagamenti, ma anche un vero e proprio contrasto dopo l’arresto del Cattafi, quando Podda rifiutò la richiesta di Autiero di partecipare alla perdita derivata dal sequestro dello stupefacente a carico
del corriere. La corte d’appello in sostanza elude anche l’esame di questa circostanza limitandosi a rilevare che per la sussistenza del sodalizio criminoso, non è
essenziale una clausola di ripartizione delle perdite. Non si trattava, però
dell’essenzialità o meno di una clausola di ripartizione delle perdite, bensì di circostanza che oggettivamente aveva una valenza contraria alla presenza di una
affectio societatis e che andava valutata nel complesso di tutti gli altri elementi.
La sentenza impugnata ha anche ritenuto irrilevante — non rispondendo però
all’effettivo contenuto dell’eccezione e cercando una spiegazione del fallimento
dell’incontro tra acquirenti e venditori — il fatto che il Podda nella conversazione
del 21.7.2011, aveva manifestato al Sulis il timore che i campani, cui aveva consegnato una somma rilevante, fossero spariti.
In sostanza la corte d’appello si è limitata a richiamare in astratto il principio giurisprudenziale che l’ipotesi associativa è configurabile pur in presenza di
interessi economici antagonisti e a ritenere che le singole circostanze evidenziate
non fossero idonee ad escludere la configurabilità di una associazione, mentre

27

tori, questi ultimi non avrebbero portato più nulla. Su queste osservazioni la

avrebbe dovuto valutare se il complesso delle circostanze evidenziate forniva
una prova certa del perseguimento di un fine illecito comune e dell’assunzione di
un impegno permanente. Ossia avrebbe dovuto valutare se tale prova certa emergeva da una valutazione complessiva e rigorosa delle suddette circostanze,
quali la volontà di un acquirente di addebitare all’altro la responsabilità di un debito con gli altri sodali; il disinteresse dell’acquirente-finanziatore per uno dei carichi più rilevanti; l’indifferenza verso la perdita, che avrebbe dovuto essere perdita per il gruppo, conseguente al sequestro dello stupefacente in occasione

mancata consegna della merce da parte dei fornitori laddove gli acquirenti non
avessero la possibilità di corrispondere il pagamento (quando, in ottica associativa, la consegna nonostante il mancato pagamento sarebbe stata funzionale al
raggiungimento degli scopi dell’associazione).

7. Manca poi nella sentenza impugnata una motivazione sulla sussistenza
del dolo di partecipazione ad una associazione, con il quale le suddette circostanze sembrano porsi in contrasto. Secondo la giurisprudenza il vincolo associativo tra soggetti che si pongono in posizioni contrattuali contrapposte nella catena del traffico di stupefacenti ed anche tra soggetti che agiscono in gruppi separati, eventualmente in concorrenza tra di loro, può sussistere a condizione che
i fatti costituiscano espressione di un progetto indeterminato volto al fine comune del conseguimento del lucro da essi derivante, e che gli interessati siano consapevoli del ruolo svolto nell’economia del fenomeno associativo. Nella specie
manca una adeguata e specifica motivazione sull’esistenza, in concreto, di tutti
gli elementi costitutivi della fattispecie associativa. Nelle pagg. 91 e 92 della
sentenza impugnata è presente una motivazione per la gran parte apodittica ed
assertiva, e che comunque oblitera, anche sul piano dell’elemento psicologico, di
individuare, delineare e specificare gli elementi che consentano di affermare la
sussistenza di una struttura che trascenda quella necessaria per la commissione
dei singoli reati fine, assistita sul piano del coefficiente soggettivo dal dolo specifico richiesto per l’associazione de qua.
Ci si limita invero ad evidenziare gli elementi atti a ritenere che le spedizioni
di droga fossero più numerose delle quattro di cui al capo B) dell’imputazione e
ad affermare una continuità di azione del sodalizio. Sennonché, come chiarito
dalla giurisprudenza, al fine della sussistenza dell’ipotesi associativa di cui all’art.
74 d.P.R. 309/90 il vincolo associativo deve estrinsecarsi anche attraverso la
predisposizione di mezzi, sia pur rudimentali, finalizzati al perseguimento dei
comuni scopi illeciti che si collochi in maniera autonoma ed «ulteriore», appunto,
rispetto a quelli utilizzati per la commissione dei singoli reati fine. Il collante di
tutti quegli elementi, in chiave associativa, va allora individuato nell’accordo ille-

28

dell’arresto del Cattafi; la sfiducia degli acquirenti nei confronti dei fornitori; la

cito permanente, teso alla realizzazione di un numero indeterminato di reati, essenziale e distintivo rispetto al concorso di persone nel reato, indipendentemente
dall’assetto organizzativo e quindi nel coefficiente soggettivo che deve sorreggere l’agire rilevante in prospettiva associativa. Per affermare la sussistenza del reato associativo, pertanto, non ci si poteva limitare, come invece è avvenuto nel
caso di specie, alla mera elencazione degli strumenti indefettibili per la mera
commissione dei reati, individuando automaticamente nei medesimi anche la
prova della struttura dell’associazione, ma si doveva invece dimostrare

noma rispetto alla commissione dei reati fine e fosse strumentale all’esistenza
del vincolo associativo.
In particolare, sotto il profilo dell’elemento soggettivo del delitto di cui
all’art. 74 cit., doveva essere accertata la sicura presenza di elementi indicatori
dimostrativi della volontà, e prima ancora della rappresentazione, di aver aderito
all’accordo di partecipazione, avente appunto carattere stabile ed indeterminato
nella perpetrazione di fatti di cui all’art. 73 d.P.R. 309/90, nonché dell’altrettanto
consapevole volontà di porre in essere condotte che siano teleologicamente orientate non già verso i reati fine, bensì al vincolo associativo. Il contenuto del
dolo non è la volontà di porre in essere più fatti di cui all’art. 73, bensì quello di
partecipare ad una struttura organizzata, sia pure a livello embrionale, che abbia
come oggetto la commissione di quei reati. Il soggetto deve operare poi con
l’ulteriore scopo di far parte di un sodalizio criminoso che abbia come scopo
quello di commettere più fatti di quelli previsti dall’art. 73.
La sentenza impugnata non ha motivato sulla sussistenza del necessario elemento soggettivo.
In conclusione, la sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio in
ordine al riconoscimento della sussistenza di una associazione per delinquere di
cui all’art. 74 d.P.R. 309 del 1990.

8. Di conseguenza, il secondo ed il terzo motivo del Podda sono allo stato
assorbiti. Appare tuttavia opportuno esaminarli ugualmente.
I motivi sono fondati.
Con il capo C) dell’imputazione era stato contestato a Podda Fabio ed a Sullis Paolo di avere «promosso, finanziato ed organizzato» l’associazione in questione. La sentenza di primo grado ha condannato il Podda non già per la condotta di promotore, o di finanziatore o di organizzatore dell’associazione, bensì
per l’unica condotta che non gli era stata contestata, ossia per quella di costitutore dell’associazione stessa. La corte d’appello si è limitata a confermare la statuizione senza prendere in esame le specifiche doglianze difensive dedotte con
l’impugnazione.

29

l’esistenza della prova di una struttura organizzativa che si ponesse come auto-

L’imputato, con l’appello aveva eccepito mancanza di correlazione tra imputazione contestata e sentenza. La corte d’appello ha invece ritenuto (pag. 103)
che la condanna per l’unico ruolo verticistico non indicato nella contestazione
non avrebbe violato l’art. 521 cod. proc. pen. e non avrebbe pregiudicato le possibilità di difesa, in quanto «nel caso di specie, sin dall’inizio e sulla base degli
atti messi a disposizione delle parti, la responsabilità attribuita a Podda non poteva che comprendere, nella sostanza, anche il suo ruolo di costitutore del sodalizio».

sub C), infatti, oltre all’elencazione delle tre astratte funzioni operative (promuovevano, organizzavano e finanziavano), contiene la seguente illustrazione delle
condotte in cui si sarebbero sostanziate dette funzioni «individuando e prendendo contatti con i fornitori campani», addebito di cui non si comprende il significato se riferito al Podda, essendo pacifico nel processo che era stato il Cardinali ad
individuare ed a prendere contatti con un narotrafficante cagliaritano e poi, su
indicazione di questi, con il Sulis. Il capo di imputazione prosegue poi con
l’indicazione «contrattando e assicurandosi l’arrivo di ingenti carichi di stupefacente da far giungere con cadenza pressoché mensile, provvedendo ad organizzare le modalità di arrivo, di custodia, di cessione e di vendita ai vari spacciatori
locali». Si tratta di condotte che non hanno a che vedere con il ruolo di costitutore, attenendo semmai al versante dell’operatività. In ogni caso già la sentenza di
primo grado aveva chiarito che gli approvvigionamenti di droga erano autonomamente organizzati proprio dai campani, ai quali però non è stato contestato
nessuno dei ruoli di cui al primo comma dell’art. 74. Pertanto costituisce motivazione meramente apparente e manifestamente illogica affermare che, «sulla base degli atti messi a disposizione delle parti», il Podda avrebbe dovuto comprendere che gli fosse stato contestato anche il ruolo di costitutore.
Sussiste quindi la violazione dell’art. 521 cod. proc. pen.

9. In ogni caso, quand’anche non si volesse concordare con l’avvenuta violazione dell’art. 521 cod. proc. pen., la qualifica di costitutore dovrebbe comunque escludersi anche in accoglimento del secondo motivo del Podda. La sentenza
di primo grado (pag. 44) aveva riconosciuto che doveva escludersi l’attribuzione
al Podda (e al Sulis) del ruolo di promotore, di finanziatore e di organizzatore,
perché in effetti si era trattato di «un accordo su basi paritarie, in cui gli approvvigionamenti di droga erano autonomamente organizzati dai Campani con il loro
corriere, e nel quale le somme erogate da Podda non integravano altro che i pagamenti delle singole partite di stupefacenti». Aveva però condannato il Podda
nella veste di costitutore, per la ragione che nel capo di imputazione sarebbe
stato contestato a Podda e a Sulis di aver costituito l’associazione, e che tale

30

L’affermazione è apodittica e manifestamente illogica. Il capo di imputazione

ruolo era «incontestabile». Si tratta di una affermazione chiaramente erronea
perché nel capo di imputazione non è stato affatto contestato al Podda di avere
costituito l’associazione, bensì di averla promossa, finanziata ed organizzata.
Con l’appello la difesa aveva lamentato l’erroneità e la manifesta illogicità di
questa motivazione, giustificata col rimando a «quanto detto sull’origine e la natura dell’accordo», dal momento che proprio l’origine e la natura dell’accordo dimostravano che il Podda non poteva essere considerato costitutore. Difatti, era
pacifico che furono Cardinali ed Autiero a proporre a Sulis di comprare stupefa-

quanto quest’ultimo disponeva del denaro occorrente per gli acquisti. La corte
d’appello ha confermato la statuizione di primo grado senza prendere in considerazione le doglianze della difesa, limitandosi (pag. 99) a richiamare la motivazione della sentenza di primo grado e ad affermare apoditticamente che il Podda
era «perlomeno» costitutore.
Si tratta di motivazione meramente apparente perché le frasi «è incontestabile» e «perlomeno» non costituiscono motivazione.
L’affermazione è peraltro manifestamente illogica perché dagli elementi emergenti dalla sentenza impugnata risulta che il Podda non era stato il promotore, non essendosi reso, da solo o con altri, iniziatore dell’eventuale associazione,
dal momento che egli venne coinvolto solo dopo che i campani si erano già accordati con il Sulis e su invito di costui.
Inoltre, la sentenza di primo grado ha escluso esplicitamente che il Podda
avesse rivestito ruoli organizzativi o direttivi. Il ruolo di costitutore del resto non
gli è stato nemmeno contestato. La sentenza impugnata, inoltre, definisce più
volte (pagg. 101-102) il Podda come finanziatore del sodalizio, sebbene tale ruolo fosse stato motivatamente escluso dalla sentenza di primo grado.
In conclusione, sia per la mancanza della contestazione, e sia comunque per
la mancanza nelle sentenza di merito di qualsiasi elemento di prova (ed anzi per
la chiara presenza di elementi di segno contrario), il ruolo di costitutore del Podda deve comunque essere escluso (al pari degli altri ruoli di cui all’art. 74, comma 1, d.P.R. 309 del 1990). Di conseguenza, nell’ipotesi in cui nel giudizio di
rinvio dovessero essere eventualmente rinvenute prove concrete, al di là di ogni
ragionevole dubbio, di una sussistenza degli elementi costitutivi di una associazione per delinquere, il reato configurabile sarebbe semmai quello di cui al secondo comma dell’art. 74 cit.

10. Le medesime considerazioni appena svolte per il Podda in ordine alla
non configurabilità del ruolo di costitutore della pretesa associazione, valgono allo stesso modo anche per Paolo Sulis. Anche a costui con il capo di imputazione
non è stato contestato di avere «costituito» bensì di avere «promosso, finanziato

31

centi, che costui accettò e, in un secondo momento, coinvolse anche Podda in

ed organizzato» l’associazione in questione. Anche per lui la sentenza di primo
grado ha escluso, con congrua ed adeguata motivazione, che egli avesse svolto il
ruolo di promotore, o di finanziatore, o di organizzatore. Anche per lui deve ravvisarsi la violazione dell’art. 521 cod. proc. pen., perché dalla documentazione in
atti a disposizione della difesa non si poteva affatto comprendere che gli fosse
stato contestato il ruolo di costitutore. Anche per lui, comunque, dalla sentenza
impugnata – la cui motivazione sul punto è meramente assertiva – non emerge
alcun elemento che possa far ritenere che Paolo Sulis fosse stato costitutore del-

11. I ricorrenti Podda, Paolo e Salvatore Sulis e Cattafi hanno contestato il
loro concorso nel reato di cui al capo B), relativo alla fornitura di 500 gr. di cocaina sequestrata (insieme ai 100 kg. di hashish) il 23.9.2011 a bordo del camion
condotto dal Cattafi, reato che, per effetto della sentenza della Corte costituzionale n. 32 del 2014, deve continuare ad essere considerato come una ipotesi autonoma rispetto al reato relativo all’hashish, con il quale si pone eventualmente
in continuazione.
Da tutti gli elementi acquisiti al processo risulta che le forniture di sostanza
stupefacente effettuate dai due campani ai sardi hanno avuto sempre per oggetto esclusivamente hashish. L’unica occasione in cui si è avuta notizia della presenza anche di cocaina è stata appunto quella del sequestro effettuato il 23 settembre 2011. In merito a tale fornitura il Cardinali, nel corso dell’interrogatorio
reso al PM il 25.10.2012, dichiarò che l’invio della cocaina aveva costituito una
sua iniziativa personale, della quale non era a conoscenza neppure il Cattafi, il
quale se l’avesse saputo non sarebbe stato d’accordo, e che egli decise di spedire
anche la cocaina come campione per un eventuale accordo sulla cessione della
stessa, approfittando del fatto che anch’egli quella volta si sarebbe recato in
Sardegna.
La corte d’appello ha ritenuto responsabile di questo reato anche il Cattafi,
per il motivo che era «inverosimile che Cattafi non fosse a conoscenza del fatto
che parte della droga sequestrata a suo carico al momento del suo arresto fosse
cocaina, poiché essa, destinata sempre agli stessi acquirenti al pari dell’hashish,
era stata però confezionata a parte, in foggia di “disco” caratteristica per la cocaina».
Si tratta di una motivazione congetturale, perché il fatto che era improbabile
la mancata conoscenza non comporta anche la prova, al di là di ogni ragionevole
dubbio, della conoscenza della natura della sostanza trasportata per la prima
volta. D’altra parte, nella sentenza impugnata, non vengono fornite ulteriori specificazioni sulle modalità di confezionamento, di carico e di trasporto, sulle caratteristiche di quel tipo di confezionamento, o su altri elementi che possano fornire

32

la ritenuta associazione.

la prova che il Cattafi avesse sicuramente avuto la consapevolezza e la volontà
di trasportare anche cocaina o solo che il Cattafi avesse esperienza tale in materia di sostanze stupefacenti dal riconoscere una sostanza solo dal suo confezionamento.

12. Per quanto riguarda il Podda, in mancanza di altri elementi da cui inferire la riconducibilità di quel carico di cocaina anche a pregressi accordi o trattative dei campani col Sulis o col Podda, la corte d’appello ha ritenuto raggiunta la

particolare ai fatti descritti nel capo A) di imputazione relativi alla

«offerta in

vendita», nel giugno del 2008, a tali Massimo Atzeni e Franco Mameli, di «imprecisati quantitativi di sostanza stupefacente del tipo cocaina, hashish e marijuana consegnandone una piccola parte quale “provino” in funzione della cessione di quantitativi maggiori (da realizzare nei giorni successivi)». In sostanza, per
la corte d’appello di Cagliari, la ritenuta offerta in vendita e poi la cessione da
parte del Podda ad altri soggetti di imprecisati quantitativi di cocaina (insieme ad
hashish e marijuana), avvenuta oltre tre anni prima, concreterebbe una prova
indiretta, ma certa, al di là di ogni ragionevole dubbio, anche dello specifico acquisto dai campani dei 500 grammi di cocaina sequestrati il 23 settembre 2011.
Ciò perché anche in seguito al 2008 il Podda avrebbe continuato a trattare anche
cocaina, circostanza quest’ultima però meramente congetturale e sfornita di
qualsiasi prova, essendo desunta solo dal fatto che il Cardinali aveva detto che il
Podda a volte gli avrebbe chiesto di portare cocaina. Si tratta di motivazione meramente apparente e congetturale, perché il fatto che nel 2008 il Podda avesse
offerto in vendita cocaina e che in seguito avesse mostrato a Cardinali interesse
a trattare tale sostanza, non fornisce di per sé alcuna prova, tanto meno al di là
di ogni ragionevole dubbio, che tre anni dopo egli avesse negoziato col Cardinali
lo specifico acquisto dei 500 grammi di cocaina sequestrati il 23.9.2011 e che
avesse consapevolezza della spedizione e volontà di acquistarli.
La difesa aveva evidenziato come non solo non vi fosse alcuna prova di una
negoziazione e della stessa consapevolezza della spedizione della cocaina, ma
che anzi vi fosse un elemento che dimostrava il contrario. Invero, era provato
che tra i campani ed i cagliaritani l’accordo sul prezzo per il carico di 100 chili di
hashish sequestrato il 23 settembre 2001 era stato di 2.600 euro al chilo, e
quindi in totale di 260.000 euro. Era anche provato che i campani pretesero poi
dai cagliaritani, a titolo di metà della perdita, la somma di 130.000 euro, ossia la
somma pari alla metà del valore dell’hashish. Ne derivava che dei 500 grammi di
cocaina non era preteso il rimborso, il che dimostrava appunto che non facevano
parte della «fornitura concordata».
La corte d’appello ha risposto a questa eccezione osservando che effettiva-

33

prova della responsabilità di quest’ultimo in base ai trascorsi dell’imputato, e in

mente era emerso «come il prezzo da loro dovuto ai campani per l’acquisto
dell’hashish fosse di 2,6 euro al grammo, però da ciò non potrebbe in ferirsi
che la perdita di cui i campani avevano chiesto il rimborso per la metà … dovesse riferirsi ai soli 100 chili di hashish e non anche alla cocaina». Ciò perché i
campani volevano la metà della perdita, ossia 130.000 euro («il danno è duecentosessantamila euro e lo dovevamo dividere»). Ora, «se 2,60 euro era il prezzo
dell’hashish offerto dai fornitori al grammo, non poteva coincidere con la misura
della perdita, che doveva essere necessariamente inferiore, altrimenti i campani,

Nulla pertanto impedisce di ritenere che la metà della perdita, quantificata da
Autiero in 130.000,00 euro, comprendesse anche il valore alla fonte della cocaina
spedita assieme all’hashish». Si tratta ancora una volta di una motivazione meramente congetturale fondata su una mera ipotesi secondo cui «nulla impedisce
di ritenere» e in mancanza di un qualche elemento oggettivo che provasse che i
130.000 euro comprendessero anche la perdita per la cocaina. Non è del resto
spiegato perché non si possa invece ritenere che nell’importo di 2.600 euro al
chilo per l’hashish era già compreso il guadagno dei campani (e che il dato
semmai contrasti con l’ipotesi di una unica associazione con gli acquirenti). Del
resto, il capo di imputazione indica il medesimo prezzo di euro 2,60 al grammo
anche per gli 80 chili di hashish venduti il 28 aprile 2011. Nemmeno è spiegato
come mai, se davvero la perdita reclamata per il solo hashish fosse stata inferiore, la perdita totale per hashish e cocaina nel loro insieme sarebbe stata esattamente proprio la metà del prezzo di vendita del solo hashish.

13. Devono ora essere esaminati gli altri motivi dei diversi ricorsi.
Con il secondo motivo i ricorrenti Cardinali ed Autiero denunciano vizio di
motivazione e violazione dell’art. 74, comma 7, d.P.R. 309 del 1990, per
l’omessa concessione dell’attenuante ivi prevista. Lamentano che la corte d’appello ha errato applicando un principio che si riferisce più propriamente all’art.
73, comma 7, ed inoltre si è fondata su una motivazione contraddittoria.
Il motivo è allo stato assorbito, in quanto la sentenza impugnata viene annullata nella parte in cui ha ritenuto sussistente il reato di cui all’art. 74 d.P.R.
309 del 1990.
Appare peraltro opportuno ricordare che la giurisprudenza ha affermato i
principi di diritto secondo cui: «Ai fini della configurabilità della circostanza attenuante prevista dall’art. 74, comma settimo, d.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309, stante la formulazione disgiuntiva della norma, non è richiesto che le condotte in essa indicate siano tenute congiuntamente, ma è necessario che, quanto meno,
l’una o l’altra di esse abbiano realizzato l’effetto rispettivamente indicato (assicurazione delle prove del reato di associazione finalizzata al traffico illecito di stu-

34

inverosimilmente, non avrebbero potuto trarre alcun guadagno dai loro traffici.

pefacenti ovvero sottrazione all’associazione di risorse decisive per la commissione dei delitti)» (Sez. I, 30.6.1999, n. 9152, Marroccu, Rv. 214015); l’attenuante
de qua si applica «a colui che si sia efficacemente adoperato per assicurare le
prove del reato previsto dall’art. 74 stesso d.P.R., o per sottrarre al traffico illecito di sostanze stupefacenti risorse decisive per la commissione dei delitti» (Sez.
VI, 11.3.2010, n. 29626, Capriati, Rv. 248194); per l’attenuante in esame «è richiesta l’assicurazione delle prove del reato, oppure è necessario un contributo
efficace per il sequestro di “risorse decisive”» (Sez. I, 14.7.2009, n. 36069, Ana-

D’altro lato, però, il contributo offerto non deve consistere nel «fornire semplici indicazioni su alcune operazioni di spaccio o cessione cui essi stessi o altre
persone erano interessati, ma non anche sulla specifica organizzazione del sodalizio criminale, in modo da consentire l’acquisizione di elementi specifici ed efficaci per la prova del reato associativo» (Sez. VI, 24.10.2006, n. 22196 del 2007,
Autunno, Rv. 236762, cit.); occorre che il «contributo conoscitivo offerto dall’imputato sia utilmente diretto ad interrompere non tanto il traffico della singola
partita di droga, bensì l’attività complessiva del sodalizio criminoso» per cui era
«immune da censure la decisione di merito che aveva escluso l’attenuante con
riferimento a dichiarazioni il cui contenuto concerneva circostanze già acquisite
agli atti attraverso l’attività di intercettazione e di monitoraggio dei rapporti tra i
vari soggetti coinvolti»

(Sez. VI, 17.6.2014, n. 7995 del 2015, Demiri, Rv.

262624).

14. Con il quinto motivo il Podda lamenta vizio di motivazione per travisamento della prova in ordine ai reati di cui al capo A). In sintesi deduce: a) che la
corte d’appello ha omesso di accertare la data dei quattro acquisti di hashish da
lui effettuati «in epoca anteriore al 27 giugno 2008», circostanza rilevante ai fini
della prescrizione; b) che in uno solo dei quattro acquisti si fa riferimento al peso
di 70 chili, mentre per le operazioni anteriori, mancando qualsiasi riferimento al
quantitativo acquistato, non può riconoscersi l’aggravante dell’ingente quantitativo di cui all’art. 80.
Con il capo A) sono stati contestati al Podda cinque reati, e precisamente di
avere effettuato, in diverse occasioni, quattro acquisti a finì di spaccio di sostanza stupefacente di tipo hashish per quantità imprecisate ma comunque ingenti,
essendo stato nell’ultima occasione il quantitativo pari a 70 Kg., acquisti avvenuti in epoca anteriore al 27 giugno 2008, nonché di avere il 27 giugno 2008 offerto in vendita a tali Massimo Atzeni e Franco Mameli imprecisati quantitativi del
tipo cocaina, hashish, e marijuana consegnandone un piccolo quantitativo a titolo di provino.
Ora, la sentenza impugnata trascrive la conversazione intercettata il 27 giu-

35

stasio, Rv. 244745; Sez. I, 25.5.2006, n. 28596, Puggioni, Rv. 234920).

gno 2008, nella quale il Podda fa riferimento a 70 chili di hashish in relazione
all’ultima operazione di acquisto effettuata «in epoca anteriore». Per questo reato, quindi, risulta motivata e corretta l’applicazione dell’aggravante di cui all’art.
80. Per le altre tre operazioni dì acquisto di hashish effettuate in epoca anteriore
e per il reato di offerta in vendita di cocaina, hashish e marijuana, commesso il
27 giugno 2008, non risultano invece dalla sentenza impugnata gli elementi da
cui si dovrebbe dedurre che fosse stata superata la soglia, normalmente richiesta per l’ingente quantitativo. Inoltre, quanto al reato di offerta in vendita del 27

sentenza costituzionale n. 32 del 2014), avrebbero dovuto ormai essere configurati due distinti ed autonomi reati, per ognuno dei quali andava accertata la eventuale sussistenza dell’aggravante. Pertanto, ad esclusione dell’ultimo dei
quattro reati di acquisto di 70 Kg. di hashish commesso in epoca anteriore, per
gli altri reati di cui al capo A) nella sentenza impugnata difetta la motivazione
circa la sussistenza dell’aggravante in esame, mancando ogni riferimento al
quantitativo acquistato e offerto in vendita.
E’ fondato anche il primo profilo del motivo. Difatti, qualora per gli altri tre
reati di acquisto di hashish commessi in epoca antecedente al 27 giugno 2008 si
dovesse escludere l’aggravante di cui all’art. 80, essendo stata esclusa la recidiva, la pena legittimamente vigente (ex sentenza n. 32 del 2014 della Corte costituzionale) era della reclusione da due a sei anni, e quindi il termine di prescrizione sarebbe stato di sette anni e mezzo. La corte d’appello avrebbe pertanto
dovuto accertare l’epoca di commissione di detti reati (essendo assolutamente
generica l’indicazione «in epoca anteriore») o, se non fosse stato possibile accertare l’epoca precisa, eventualmente applicare il principio del favor rei.
Per quanto concerne i reati di cui al capo A), pertanto, la sentenza impugnata deve essere annullata sia in ordine all’accertamento della sussistenza
dell’aggravante di cui all’art. 80 e alla determinazione della pena (anche alla luce
della sentenza costituzionale n. 32 del 2014) sia in ordine all’accertamento della
data di commissione degli stessi ai fini dell’eventuale avvenuta prescrizione di
alcuni dei medesimi reati.

15. Con il primo motivo del ricorso di Sulis Salvatore si deduce che il giudice
di primo grado lo aveva dichiarato colpevole dei reati contestati al capo B). Questa imputazione, nella prima parte, si riferiva ad un numero imprecisato di carichi, per quantitativi oscillanti tra i 50 e i 100 Kg. di hashish, mentre nella seconda parte individuava quattro specifici episodi, e precisamente uno del 13 gennaio
2011 (100 Kg di hashísh), uno nel primo trimestre 2011 (circa 40/50 Kg di hashish), uno del 28 aprile 2011 (80 kg di hashish) ed infine uno del 23 settembre
2011 (100 kg di hashish e 500 gr di cocaina) in occasione del quale venne arre-

36

giugno 2008, trattandosi di sostanze comprese in tabelle diverse (a seguito della

stato il Cattafi. La sentenza di primo grado, peraltro, ha ritenuto la sussistenza,
oltre che dei detti quattro episodi, anche di altri e due, uno verificatosi nel luglio
2010 e l’altro verificatosi nel luglio 2011 (pag. 28). La stessa sentenza di primo
grado, poi, con specifico riferimento al concorso di Salvatore Sulis, ha specificato
che tale concorso «si manifestò in più occasioni in relazione alle cessioni di droga
accertate tra il maggio e il settembre 2011 (cioè dopo l’inizio delle intercettazioni
nella marmeria)» (pag. 46). Però, il giudice di primo grado aveva poi condannato
Salvatore Sulis per il reato continuato di cui al capo B), senza alcuna esclusione.

vazione, perché la stessa sentenza aveva accertato una partecipazione
dell’imputato solo successivamente al maggio del 2011, e quindi chiedeva l’assoluzione per i primi due episodi specificati nel capo B) dell’imputazione, avvenuti
tra il gennaio e l’aprile del 2011, nonché l’assoluzione per l’episodio del luglio
2011, perché la sentenza aveva ritenuto che a questo «i Sulis non avevano partecipato».
La corte d’appello, in sostanza, non risponde al motivo di impugnazione perché, invece di verificare la responsabilità di Salvatore Sulis in un concorso per i
singoli episodi del capo B), come individuati dal Gup, afferma innanzitutto che va
«confermato il giudizio di responsabilità di Paolo Sulis e di Salvatore Sulis in ordine al reato associativo» (pag. 109) – senza considerare che da questo reato
Salvatore Sulis era stato assolto dalla sentenza di primo grado, non impugnata
dal PM – e poi sostiene che deve essere confermata anche la responsabilità dei
due imputati, padre e figlio, «in ordine alle plurime cessioni di droga loro ascritte
in concorso quali reati fine al capo B), aventi ad oggetto in genere hashish, ma
anche, in occasione dell’ultima operazione culminata con l’arresto in flagranza di
reato del corriere Cattafi, dei circa 500 grammi di cocaina sequestrati nell’occasione» (ibidem). Afferma poi la sentenza impugnata che «le poche cessioni di
droga perfezionate direttamente fra i Campani e Podda senza l’intermediazione
dei Sulis, non rientranti fra quelle specificamente e dettagliatamente descritte
nel capo B) di imputazione, devono ritenersi essere state già escluse a carico di
Paolo e Salvatore dal primo giudice», aggiungendo poi che «correttamente il
giudice di primo grado non ha considerato a carico dell’imputato alcun episodio
criminoso … anteriore all’inizio delle intercettazioni ambientali all’interno della
marmeria … in particolare, non ne ha ritenuto la responsabilità in ordine all’acquisto della partita di 100 chilogrammi di hashish avvenuto nel mese di gennaio
del 2011». Conclude poi la corte d’appello che Sulis Salvatore «è stato riconosciuto responsabile soltanto delle cessioni accertate tra il maggio e il settembre
2011, dopo l’inizio delle intercettazioni nella marmeria».
Sennonché, la sentenza di primo grado, con il dispositivo, ha espressamente
e testualmente dichiarato Salvatore Sulis «colpevole del delitto continuato conte-

37

Con l’atto di appello la difesa aveva lamentato la contraddizione della moti-

stato al capo B)», ossia colpevole di tutti i reati compresi in questo capo, senza
alcuna esclusione, e la corte d’appello si è limitata a confermate tale statuizione,
senza alcuna limitazione o precisazione.
Emerge quindi la manifesta illogicità della sentenza impugnata che ha dichiarato Sulis Salvatore colpevole anche per dei reati di cui la stessa sentenza,
in motivazione, ammette che egli non è responsabile.
Inoltre, va anche rilevato che poiché le cessioni tra maggio e settembre
2011, secondo quanto accertato dalla sentenza di primo grado, sarebbero tre, di

esattamente il ricorrente lamenta che egli di conseguenza dovrebbe rispondere
solo di due episodi, quello del 28 aprile 2011 e quello del 23 settembre 2011.
Fondatamente pertanto il ricorrente lamenta che la motivazione della sentenza
impugnata è carente sia sulla specificazione dei singoli episodi di cui è responsabile Sulis Salvatore sia sul motivo di appello con cui si lamentava la mancanza di
prove sulla condotta concorsuale per alcuni degli episodi inquadrabili nel capo
B).
Con l’appello la difesa aveva anche chiesto la quantificazione degli aumenti
di pena operati ai sensi dell’art. 81 cod. pen. La corte d’appello si è limitata ad
affermare che «in ordine a parte significativa delle cessioni non sono noti i dettagli necessari per valutarne la gravità ove presi uno per uno, sarebbe impossibile
suddividerlo per ciascuno dei singoli episodi per i quali l’imputato é stato ritenuto
responsabile, considerata la frequenza delle cessioni, che avvenivano con modalità analoghe a cadenza mensile». L’affermazione è manifestamente illogica ed in
contraddizione con quanto sostiene la stessa sentenza impugnata in ordine alla
responsabilità del Sulis Salvatore per le sole condotte realizzate tra maggio e
settembre 2011, ben definite nella sentenza di primo grado.

16. E’ fondato anche il secondo motivo di Salvatore Sulis, relativo alla determinazione della pena.
Va innanzitutto qui rilevato che anche nei confronti di Sulis Salvatore valgono, allo stesso modo, le considerazioni dianzi svolte in ordine al Podda e a Paolo
Sulis, circa la mancanza di prova sulla consapevolezza della presenza nel carico
sequestrato il 28 settembre anche di 500 grammi di cocaina e sulla volontà di
concorrere nell’acquisto anche di tale tipo di droga, e pertanto sulla responsabilità per il relativo reato.
In ogni caso, va rilevato che, in conseguenza della sentenza n. 32 del 2014
della Corte costituzionale, innanzitutto la cessione di hashish e di cocaina, riguardando sostanze incluse in tabelle diverse, integra due reati autonomi fra loro concorrenti. La corte d’appello, pertanto, essendo già pubblicata in G.U. la citata sentenza costituzionale all’epoca dell’emissione della sentenza impugnata,

38

cui una è quella del luglio 2011, alla quale i Sulis sono estranei, ne deriva che

avrebbe dovuto comunque stabilire quale era il reato più grave, anche ai fini
dell’aumento per l’aggravante di cui all’art. 80.
In ogni caso, per l’acquisto di hashish la pena edittale legale era della reclusione da due a sei anni.
Sul punto, la corte d’appello ha in realtà eluso il senso del motivo di gravame sul punto, limitandosi ad affermare che la pena inflitta dal giudice di primo
grado era comunque equa. Anche a non voler considerare l’immotivato ritenuto
concorso nell’acquisto di cocaina, la motivazione sulla pena è comunque manife-

mente la motivazione sulle ragioni per le quali una valutazione di congruità della
pena fatta dal giudice di primo grado alla stregua di un parametro che andava
da sei a venti anni di reclusione, doveva continuare a ritenersi ugualmente congrua alla stregua del parametro legale da applicare della reclusione da due a sei
anni.

17. Farris Massimo deduce, con il primo motivo, violazione degli artt. 516 e
521 cod. proc. pen., perché nel capo di imputazione non gli è stato mai contestato un episodio di cessione del 20 luglio 2011.
Ora, nel capo B) dell’imputazione vengono contestati agli imputati diversi
episodi di concorso nella cessione di ingenti quantitativi di sostanza stupefacente
venduti da Cardinali e Autiero «a Sulis Paolo, Sulis Salvatore e Podda Fabio (con
la collaborazione di Farris Massimo)». Lamenta il ricorrente che nel capo di imputazione non si fa alcun riferimento o cenno ad una cessione di hashish da parte
di Massimo Farris in favore di Fabio Podda, che lo stesso capo C)
dell’imputazione qualifica come «esecutore delle disposizioni di Podda», e che
dalle sentenze di merito appare come un suo dipendente. In realtà dalla stessa
sentenza di primo grado emerge come le contestazioni a carico del Farris fossero
ascrivibili esclusivamente in seno ad una tesi accusatoria incardinata
sull’addebito di partecipazione associativa e che mai, nemmeno nella requisitoria
del PM, erano state ipotizzate condotte di detenzione, acquisto o cessione direttamente riferibili all’imputato.
Osserva ancora il ricorrente che con l’atto di appello aveva ribadito
l’eccezione di violazione dell’art. 521 cod. proc. pen. ma la corte d’appello ha ritenuto che si tratterebbe semmai di una nullità del capo di imputazione ormai
sanata dalla richiesta di giudizio abbreviato.
Il ricorrente impugna questa statuizione, deducendo che nel capo B) non si
fa riferimento ad alcuna sostanza stupefacente di tipo hashish da parte di Massimo Farris in favore di Fabio Podda; che nel successivo capo C) si delinea solo
un

«ruolo logistico»

quale

«esecutore delle disposizioni di Fabio Podda»,

nell’ottica del pactum sceleris originariamente contestatogli e dal quale è stato

39

stamente illogica e apparente per gli acquisti di hashish, perché manca total-

assolto; che in ogni caso egli non avrebbe mai ceduto alcunché ad alcuno; che
semmai la traditio illecita sarebbe addebitabile ai due campani, rispetto ai quali
nessuno ha mai individuato un ruolo collaterale del Farris. La corte d’appello avrebbe perciò stravolto il capo di imputazione, ipotizzando una contiguità immediata tra lui e i due campani, che lo collocherebbe accanto al Cardinali invece che
braccio destro del Podda.
Rileva il Collegio che la sentenza di primo grado (pag. 54) aveva affermato
che, anche a causa del rapporto fiduciario illecito tra Podda e Farris, sussisteva

cente de/luglio 2011». Quindi, a parte la partecipazione all’associazione illecita,
dalla quale il Farris è stato poi assolto, il giudice di primo grado aveva ritenuto
che (solo) in quella occasione il Farris aveva anche concorso nella condotta del
Podda di acquisto di tutta la sostanza stupefacente.
La corte d’appello ha invece parlato di condanna del Farris per un episodio di
«concorso nella cessione di un «provino» di droga a Fabio Podda» posto in essere il 20.7.2011.
Ora, non si comprende bene cosa abbia inteso la corte d’appello, perché effettivamente, esclusa la partecipazione ad una associazione criminosa tra venditori ed acquirenti, l’attività soggettiva di concorso con il Cardinali nella cessione
del provino è differente dall’attività di concorso con il Podda nell’acquisto, differenza che rileva anche ai fini della prova dell’elemento materiale e di quello soggettivo dell’una o dell’altra attività.
L’equivocità della motivazione risale probabilmente all’originaria contestazione al Farris di una partecipazione associativa e dalla mancata considerazione
che per il Farris, a seguito della assoluzione da tale reato, dal punto di vista del
reato di cui al capo B) andavano distinte le diverse condotte criminose. Allo stato
pertanto non può né dichiararsi infondato il motivo né accoglierlo e dichiarare la
nullità per l’eccepita violazione dell’art. 521 cod. proc. pen. Difatti, se il giudice
del rinvio dovesse accertare che vi è la prova che la condotta per il quale il Farris
viene ritenuto responsabile è un concorso nella condotta del Podda di ricezione
dal Cardinali del provino di 20 grammi di hashish, allora potrebbe, forse, ritenersi questa condotta contenuta nella contestazione di concorso nell’acquisto
dell’intero carico e quindi congrua ed adeguata la motivazione con la quale la
corte d’appello ha ritenuto che in ordine ad essa l’imputato avrebbe avuto modo
di difendersi. Qualora invece dovesse ritenersi che vi è la prova di una condotta
del Farris di concorso nella condotta del Cardinali di cessione del provino di 20
grammi di hashish al Podda, allora la motivazione della sentenza impugnata sulla mancata lesione del diritto di difesa non sarebbe più valida, perché non risulta
che tale condotta sia stata mai prima ipotizzata, nemmeno dalla sentenza di
primo grado.

40

la responsabilità concorsuale di quest’ultimo «in ordine all’acquisto di stupefa-

18. Le osservazioni appena svolte comportano anche l’accoglimento del secondo motivo del ricorso del Farris, risultando non congrua ed adeguata la motivazione con la quale è stata ritenuta sussistente la prova del reato per il quale il
Farris è stato condannato. Va innanzitutto rilevato che la corte d’appello ha espressamente affermato che la condotta per la quale il Farris veniva condannato
era costituita esclusivamente dalla «cessione di un provino di droga a Fabio Podda posta in essere in data 20.7.2011», e non anche da un concorso materiale o

di hashish. Sono quindi irrilevanti le considerazioni della sentenza impugnata
circa il fatto che il Farris avrebbe messo a disposizione di venditori ed acquirenti
una base logistica per le future forniture; che aveva ospitato fornitori ed acquirenti agevolandoli per i futuri accordi e rafforzandoli nel proposito criminoso. Si
tratta di una motivazione contraddittoria perché non tiene conto che il Farris non
viene condannato per un concorso nelle cessioni in quella sede eventualmente
concordate e che pertanto ciò che rileva è solo il concorso nella cessione al Podda ovvero nella ricezione del Cardinali del provino di 20 grammi di hashish.
In ogni caso, fondatamente il ricorrente eccepisce che non sono stati valutati gli elementi evidenziati dalla difesa, e in particolare il fatto che il Farris non
aveva mai detenuto nella sua abitazione sostanza stupefacente; che il provino
mostrato al Podda era stato portato dal Cardinali che l’aveva occultato in un sacchetto; che il Cardinali si era allontanato in ciclomotore con il Podda per andare
a prendere il provino, che era detenuto dal medesimo Cardinali altrove; che il
Cardinali aveva dichiarato che quando il Farris vide i due discutere con l’hashish
in mano li invitò ad andarsene; che se davvero vi fosse stata una attività di mediazione del Farris nella cessione o nell’acquisto del provino, egli avrebbe dato
un contributo anche alle successive operazioni di vendita e di acquisto della fornitura, ipotesi questa esclusa dalle sentenze di merito.
In sostanza, nella sentenza impugnata non è nemmeno indicato quale sarebbe stata la specifica e concreta condotta posta in essere dal Farris per concorrere nella cessione al Podda di un provino di 20 gr di hashish, ossia non si comprende bene per quale specifica condotta è stato condannato. L’avere messo a
disposizione l’appartamento per la negoziazione delle future cessioni, l’aver fornito un contributo logistico, l’avere agevolato venditori ed acquirenti per i futuri
accordi e l’averli rafforzati nel loro proposito criminoso, sono tutte condotte che
potrebbero semmai integrare un concorso nell’acquisto o nella vendita della intera fornitura, condotte dalle quali però il Farris è stato assolto. Il fatto per cui il
Farris è stato condannato è costituito solo dal concorso nella cessione al Podda di
un provino di 20 grammi di hashish e quindi occorreva una specifica, congrua ed
adeguata motivazione sulla specifica e concreta condotta posta in essere dal Far-

41

morale alla condotta di vendita o di acquisto del successivo ingente quantitativo

ris per concorrere, materialmente o moralmente, in tale limitato evento.

19. E’ infine fondato il terzo motivo del ricorso del Farris. All’imputato sono
state riconosciute dalla sentenza di primo grado le attenuanti generiche. La corte
d’appello ha qualificato il fatto come ipotesi lieve ai sensi dell’art. 73, quinto
comma, d.p.R. 309 del 1990, con esclusione della recidiva e dell’aggravante di
cui all’art. 80. La sentenza di primo grado aveva valutato le attenuanti generiche
come equivalenti alle due aggravanti contestate. La corte d’appello ha invece e-

dell’imputato. Si tratta di una chiara violazione del divieto di reformatío in peius
dal momento che, in mancanza dell’impugnazione del pubblico ministero, non
potevano essere escluse dal giudice di appello le attenuanti generiche già concesse in primo grado.
La sentenza impugnata è inoltre viziata per mancanza di motivazione in ordine alla determinazione della pena. Trattandosi dell’ipotesi lieve di cui all’art.
73, comma 5, e di sostanza stupefacente di tipo hashish, la pena edittale da applicare era della reclusione da sei mesi a quatto anni e della multa da C 1.032 ad
C 10.329. La corte d’appello ha invece determinato la pena base in anni quatto
di reclusione (ossia in una misura corrispondente al massimo edittale) e in C
21.000 di multa (ossia in una misura addirittura superiore al massimo edittale).
Si tratta di pena illegale e comunque assolutamente priva di motivazione considerando che il reato ritenuto consisteva unicamente nel concorso nella cessione
(o nell’acquisto) di 20 grammi di hashish, ed essendo stato escluso ogni concorso nella trattativa di future maggiori cessioni. Sembra evidente che la corte
d’appello abbia applicato limiti edittali diversi da quelli vigenti oppure abbia applicato la pena per un fatto diverso da quello per cui è intervenuta condanna.

20. Per quanto concerne il ricorso di Cattafi Santi Antonino, deve innanzitutto osservarsi che le considerazioni dianzi svolte sulla mancanza di prova della
sussistenza degli elementi integrativi di una associazione per delinquere ex art.
74 d.P.R. 309 del 1990 si riflettono anche sul motivo con cui il Cattafi eccepisce
la mancanza di prova di una sua partecipazione alla suddetta presunta associazione.
In particolare il ricorrente deduce, tra l’altro, che manca la prova di una sua
volontaria partecipazione ad una associazione finalizzata al compimento di indeterminati reati di cessione di sostanze stupefacenti e della stessa consapevolezza
di farne parte, dal momento che era escluso da ogni ruolo attinente alle trattative sui quantitativi o sui prezzi; che non gli era stata comunicata neppure la spedizione del campione di cocaina; che anche nelle consegne non aveva contatti
con gli acquirenti sardi che neppure conosceva; che era fungibile ed estraneo a-

42

spressamente escluso le attenuanti generiche per i precedenti penali

gli accordi associativi; che l’aspetto quantitativo non dimostra la stabilità del
vincolo; che era dimostrata la sua incapacità di commercializzazione della droga.
Poiché la sentenza impugnata viene annullata in ordine alla stessa esistenza
di una associazione per delinquere ex art. 74 d.P.R. 309 del 1990, il ricorso del
Cattafi circa la sua partecipazione a tale associazione resta assorbito (ma non
precluso).
Quanto al concorso del Cattafi anche nel reato, contestato al capo B), di
cessione di 500 grammi di cocaina sequestrati il 28 settembre 2011, si è dianzi

sulla prova della consapevolezza anche del Cattafi (oltre che dei sardi) del fatto
che nel carico trasportato vi fosse anche cocaina e quindi della sua volontà di
concorrere in questo reato.

21. Deve essere accolto anche il quarto motivo del Podda, con il quale deduce violazione di legge e manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione in ordine alla statuizione di confisca disposta ai sensi dell’art. 12 sexies,
comma 1, d.l. 8 giugno 1992, n. 306, convertito in I. 7 agosto 1992, n. 356, in
quanto effettivamente la sentenza impugnata, anche su questo capo, contiene
una motivazione apparente, congetturale ed assertiva.
Esattamente la sentenza impugnata ricorda che le Sezioni Unite hanno riaffermato che «per la confisca ex art. 12 sexies, che prevede che il requisito della
sproporzione debba essere confrontato con il “reddito dichiarato” o con la “propria attività economica”, si possa tener conto dei redditi, derivanti da attività lecita, sottratti al fisco (perché comunque rientranti nella propria “attività economica”)» (Sez. Un., 29.5.2014, n. 33451, Repaci, Rv. 255082), confermando il
principio enunciato dalla precedente giurisprudenza, secondo cui «In tema di sequestro preventivo finalizzato alla confisca ai sensi dell’art. 12 sexies L. n. 356
del 1992, il giudice, qualora l’imputato dimostri la lecita titolarità di beni e di attività economiche non denunciati al fisco, è obbligato a tenerne conto nel suo libero convincimento fornendo adeguata e puntuale motivazione in ordine alle giustificazioni fornite dall’interessato» (Sez. I, 21.2.2013, n. 13425, Coniglione, Rv.
255082); «In tema di sequestro e confisca ai sensi dell’art. 12 sexies D.L. n. 306
del 1992, la presunzione di illegittima provenienza delle risorse patrimoniali oggetto di ablazione, deve escludersi in presenza di fonti lecite e proporzionate di
produzione, sia che esse siano costituite dal reddito dichiarato ai fini fiscali sia
che provengano dall’attività economica svolta benché non evidenziata, in tutto o
in parte, nella dichiarazione dei redditi ed il giudice ha l’obbligo di prendere in
considerazione tutta la documentazione prodotta, in merito dalla difesa, fornendo
adeguata motivazione in ordine alle giustificazioni fornite dagli interessati in ordine alla lecita provenienza dei beni»

(Sez. I, 5.11.2013, n. 9678 del 2014,

43

già rilevato che tale statuizione deve essere annullata per vizio di motivazione

Creati, Rv. 259468); «La presunzione di illegittima provenienza delle risorse patrimoniali accumulate da un soggetto condannato per determinati reati di cui
all’art. 12 sexies legge 7 agosto 1992, n. 356 deve escludersi in presenza di fonti
lecite e proporzionate di produzione, sia che esse siano costituite dal reddito dichiarato ai fini fiscali, sia che provengano dall’attività economica svolta, benché
non evidenziate, in tutto o in parte, nella dichiarazione dei redditi»

(Sez. I,

22.1.2013, n. 6336, Mele, Rv. 254532).
La difesa aveva sostenuto, fornendo elementi di prova al riguardo, che non

o la sua attività economica, ancorché non dichiarata al fisco. In particolare, aveva dedotto che all’epoca dei fatti, e ancor prima, il Podda era titolare di esercizi
commerciali nel settore della ristorazione grazie ai quali ricavava consistenti
guadagni. Più precisamente, allegava documentazione che il Bar Caffè La Perla 2
di Podda Fabio & C. s.n.c. introitava 600.000 euro all’anno mentre il circolo privato La Perla, anch’esso riferito al Podda, non meno di 500.000 euro. Aggiungeva che, stante la natura giuridica di circolo privato di quest’ultimo e la, verosimilmente consistente, evasione fiscale sui redditi del bar, tali attività commerciali gli consentivano un elevato tenore di vita aldilà di eventuali guadagni dai
fatti illeciti oggetto del processo. Il giudice di primo grado – dichiarando peraltro
di preferire l’interpretazione diversa rispetto a quella dianzi ricordata circa la rilevanza dei redditi non dichiarati al fisco – aveva risposto che comunque non era
stata data una puntuale e precisa dimostrazione dei redditi dei due esercizi
commerciali; che il tenore di vita del Podda non era giustificato dai proventi
dell’attività del bar; che lo stesso acquisto del bar non era giustificato dai redditi
dell’epoca e che non era stata provata la provenienza degli almeno 70.000 euro
corrisposti per rilevare il bar.
Con gli appelli la difesa aveva dedotto sul punto specifici e puntuali motivi di
impugnazione osservando, tra l’altro, che l’acquisto del bar, ed ancor più, quello
del circolo, non erano avvenuti con esborso in unica soluzione ma ratealmente e,
in larga misura, con i proventi degli esercizi commerciali; mentre in relazione al
reddito realmente disponibile insisteva sul rilievo che la reale consistenza del volume d’affari e dei conseguenti redditi era testimoniata anche dal redditometro
utilizzato dalla stessa Agenzia delle entrate (anche perché il circolo privato non
era soggetto ai normali obblighi di documentazione fiscale) nonché dalla documentazione, anche fiscale, relativa all’acquisto di derrate alimentari ed al consumo di energia.
La corte d’appello, invece di applicare i principi di diritto dianzi ricordati, rispettando l’obbligo di prendere in considerazione tutta la documentazione prodotta dalla difesa e di fornire adeguata e puntuale motivazione sulle giustificazione fornite dall’interessato in ordine alla lecita provenienza dei beni, si è limi-

44

vi sarebbe alcuna sperequazione tra il patrimonio del Podda e il suo reddito lecito

tata ad affermare, genericamente ed assertivamente, che la documentazione relativa alle forniture degli esercizi commerciali e i parametri del redditometro utilizzato dalla Agenzia delle entrate per l’accertamento induttivo dei redditi, non
sarebbero idonei a ricostruire i redditi stessi in mancanza di specifica allegazione
in ordine ai servizi resi ed ai relativi corrispettivi. Ciò senza nemmeno esaminare
specificamente e valutare la documentazione prodotta, di cui nella sentenza non
si parla, e senza dare risposta all’eccezione secondo cui risultava che il prezzo di
acquisto del bar era stato pagato a rate con i proventi dell’attività commerciale.

menti importanti «che non potrebbero che ritenersi compiuti avvalendosi comunque di proventi di reato». L’affermazione è congetturale ed apodittica, sia
perché non spiega perché i redditi di un bar e di un circolo privato presupporrebbero necessariamente importanti investimenti piuttosto che attività lavorativa e
capacità di gestione, e nemmeno perché gli investimenti necessari per la gestione dei due locali (di cui resta assolutamente indeterminato l’ammontare rispetto
a quello indicato dalla difesa) deriverebbero necessariamente da reati. La corte
d’appello poi sostiene che le bollette elettriche e la documentazione sull’acquisto
di derrate alimentari da parte di un bar non sarebbero idonee a fornire alcuna
indicazione sul volume di affari leciti «tanto più in quanto il bar di Podda, come
emerso con chiarezza dagli atti, fino al momento del suo sequestro veniva usato
dal titolare come bene dell’azienda criminale, luogo di incontro cioè per le trattative e gli affari concernenti la compravendita di droga». Non sono però indicati i
motivi per i quali il consumo di energia e di prodotti alimentari da parte di un bar
non avrebbe nessuna idoneità a fornire indicazioni sul suo volume di affari. E’ poi
meramente apodittica e presuntiva l’affermazione che il bar venisse abitualmente usato dal titolare in modo strumentale come luogo di incontro per il traffico di
sostanze stupefacenti, dal momento che di tale circostanza non viene fornito alcun elemento di prova e tanto meno si specifica da quali atti la circostanza stessa emergerebbe «con chiarezza».
La difesa aveva anche eccepito e dimostrato che la compagna di Podda, Clara Tronci, aveva ereditato dal padre nel 2004, un compendio di 56.353 euro il
cui utilizzo, attraverso successive operazioni di compravendita, giustificava il cospicuo numero di autovetture compravendute dal Podda nel periodo esaminato.
Aveva altresì eccepito che gli acquisti e le vendite di tali autovetture avevano
rappresentato una fonte ulteriore di ricavi e non solo un costo da cui inferire una
sproporzione tra reddito lecito e patrimonio. La corte d’appello risponde affermando che «si era trattato di una acquisto risalente nel tempo rispetto al periodo
in esame»; che non vi era prova dell’alienazione e del prezzo di realizzo del
compendio; che pur essendo verosimile che al momento dell’acquisto di ciascun
veicolo nuovo il Podda avesse venduto dei veicoli precedenti, tuttavia, trattando-

45

La corte d’appello aggiunge che gli elevati guadagni presupporrebbero investi-

si di acquisti frequenti e di auto e moto di prezzo rilevante, «aveva senz’altro ecceduto di moltissimo le capacità di reddito lecito dell’imputato, ed ancor più della
sua compagna». L’affermazione è manifestamente illogica e meramente congetturale, perché non spiega il motivo per cui il fatto che i veicoli venduti ed acquistati avessero un valore rilevante e non fossero economici dimostrerebbe che le
vendite e gli acquisti non avrebbero prodotto alcun guadagno e che anzi avrebbero «ecceduto di moltissimo» il reddito dell’imputato, e ciò senza nemmeno esaminare i tempi, l’oggetto, il valore e le relazioni delle diverse vendite ed acqui-

La difesa aveva anche dedotto di aver provato (come riconosciuto dalla sentenza di primo grado a pag. 76 in base agli accertamenti della guardia di finanza) che il Podda, tra il 9.2.2005 e 111.1.2011, aveva riscosso 99 vincite al lotto
per un totale complessivo di 518.370.79 euro (circa 23.000 nel 2005, 50.000 nel
2006, 79.000 nel 2007, 104.000 nel 2008, 141.000 nel 2009, 108.000 nel 2010
e 12.000 nel mese di gennaio del 2011), mentre, sempre sulla base di accertamenti effettuati dalla Guardia di Finanza era emerso che il Podda aveva riscosso
dal Casinò di Saint Vincent euro 850.000 di cui 342.000 versati in banca e gli altri utilizzati per l’acquisto di fiche nel 2009, euro 1.787.00 di cui 722.500 incassati in banca nel 2010 ed euro 524.000 di cui 297.000 versati in banca nel 2011.
Il Gup aveva ritenuto che si trattava di un numero di vincite inverosimile e
che comunque, poiché il Podda ha dichiarato di giocare 100/150 euro ad estrazione avrebbe dovuto giustificare la provenienza delle somme utilizzate per giocare. Circa le vincite al Casinò di Saint Vincent aveva ritenuto che un simile volume di vincite richiede un volume di giocate proporzionato, se non uguale o superiore, e che il Podda non aveva fornito giustificazione della provenienza delle
somme giocate.
Con gli appelli il ricorrente aveva, tra l’altro, eccepito che i proventi della attività imprenditoriale del Podda, unitamente al pacifico ed accertato reimpiego di
parte delle vincite, costituivano la legittima provenienza della provvista utilizzata.
La corte d’appello ha rigettato il motivo affermando che le vincite al gioco
dovevano ritenersi finanziate attraverso l’autiriciclaggio dei proventi illeciti derivanti dal narcotraffico, per il motivo che: – dalla nota della GdF emergeva che il
2.2.2011 era stato sequestrato al Podda un notevole quantitativo di denaro (C
83.180 nel bar e C 72.750 a casa) e che questi aveva appena prelevato dal suo
conto in banca 250.000 euro in contanti; – che l’attività del bar stava andando
male; – che quindi doveva ritenersi che l’imputato avesse tratto il denaro necessario per giocare proprio dalla attività di spaccio; – che attraverso il gioco il Podda autoriciclava i proventi illeciti, – che ciò emergeva anche da una conversazione tra Atzeni e Mameli intercettata il 26.6.2008; – che l’imputato faceva nume-

46

sti.

rosi acquisti in contanti di fiche ma sempre per importi inferiori ai 5.000 euro.
Deve però osservarsi che la riportata conversazione tra Atzeni e Mameli appare del tutto generica e quindi irrilevante, anche perché anch’essa era risalente
nel tempo rispetto all’inizio delle vincite al Casinò, così come il compendio ricevuto in eredità dalla compagna del Podda, ritenuto infatti dalla corte d’appello
irrilevante proprio per questa ragione.
La motivazione peraltro, oltre ad essere congetturale, non risponde
all’eccezione proposta con l’appello ed omette completamente di considerare e

anni 2009/2011 aveva vinto al casinò un importo di oltre 3.000.000,00 di euro
ma che, di tale somma, oltre 1.000.000,00 era stata reinvestita nel gioco. Ciò
costituiva quanto meno un indizio, se non la prova, che il denaro per giocare il
Podda potesse ricavarlo dalle vincite, le quali avrebbero potuto avere una origine
in giocate di valore non rilevante. La sentenza impugnata non ha dato risposta
nemmeno all’eccezione secondo cui bisognava considerare che il Podda giocava a
chemin de fer e non alla roulette, per cui la componente fortuna non aveva una
incidenza risolutiva come testimoniato dalla vincita di due orologi (un Paul Picot
ed un Bulgari, anch’essi sequestrati) proprio in tornei di chemin de fer.
E’ poi immotivata l’affermazione che il prelivo in banca di 250.000 euro effettuato dal Podda il 2.2.2011 sarebbe una prova del finanziamento del gioco con
illeciti traffici e non invece, come sostenuto dalla difesa, una prova della legittima provenienza delle risorse utilizzate per il gioco dal momento che, come verbalizzato dalla G. di F. nell’informativa del 3.2.2011, la maggior parte delle vincite al casino il Podda le versava in banca. Nemmeno è indicato perché si dovrebbe ritenere che il Podda versasse proprio nel suo conto corrente in banca i
proventi di un traffico illecito di sostanze stupefacenti.

22. Il sesto motivo del ricorso Podda con cui si deduce difetto di motivazione sul motivo di appello relativo alla mancata concessione delle attenuanti generiche resta assorbito (ma non precluso).
E’ comunque opportuno osservare che sullo specifico e argomentato motivo
di appello in questione, nella sentenza impugnata manca totalmente ogni motivazione anche dal punto di vista grafico.

23. In conclusione la sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio
ad altra sezione della corte d’appello di Cagliari.

Per questi motivi
La Corte Suprema di Cassazione

47

valutare che dagli accertamenti della GdF era emerso che il Podda nel corso degli

annulla la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della corte d’appello di Cagliari.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte Suprema di Cassazione, il 17

febbraio 2015.

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA