Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 2614 del 06/11/2013


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 2614 Anno 2014
Presidente: SQUASSONI CLAUDIA
Relatore: ORILIA LORENZO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
SAIBENE VALTER N. IL 06/01/1947
avverso la sentenza n. 2994/2011 CORTE APPELLO di MILANO, del
17/04/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 06/11/2013 la relazione fatta dal
Consi gliere Dott. LORENZO ORILIA
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per
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Udito, per la parte civile, l’Avv
Udit i difensor Avv.

(9

Data Udienza: 06/11/2013

RITENUTO IN FATTO
La Corte d’Appello di Milano con sentenza 17.4.2012 ha confermato la
colpevolezza di Saibene Valter per il reato di cui all’art. 10 ter D. L.vo n. 74/2000
rilevando, per quanto interessa:
– che l’erronea indicazione della data di consumazione del reato (25.7.2006) in
luogo del 27.12.2006) non integrava alcuna nullità del capo si imputazione perché,
trattandosi di condotta contestata in fatto, il termine per la presentazione della

quella del 27.122006 prevista dalla legge;
– che, quanto alla censura riguardante l’assenza dell’elemento soggettivo, la
dedotta difficoltà nel pagamento del debito non aveva rilievo atteso che il soggetto
passivo dell’imposta ha solo l’obbligo di versare l’IVA; pertanto, nel caso di specie, vi è
stata destinazione a scopi diversi degli importi dovuti.
Il difensore ricorre per cassazione con due motivi.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Col primo motivo il ricorrente denunzia, ai sensi dell’art. 606 lett. b) e c) cpp, la
nullità del capo di imputazione in ordine alla determinazione del tempus commissi
delicti,

dolendosi della mancata assoluzione ex art. 129 cpp o della mancata

trasmissione degli atti al PM in considerazione dell’errore della data di consumazione
del reato contenuta nel capo di imputazione.
La censura è infondata.
Il reato di omesso versamento dell’imposta sul valore aggiunto (art. 10-ter D.Lgs.
n. 74 del 2000), entrato in vigore il 4 luglio 2006, che punisce il mancato
adempimento dell’obbligazione tributaria entro la scadenza del termine per il
versamento dell’acconto relativo al periodo di imposta dell’anno successivo, è
applicabile anche alle omissioni dei versamenti relativi all’anno 2005, senza che ciò
comporti violazione del principio di irretroattività della norma penale (Sez. U, Sentenza
n. 37424 del 28/03/2013 Ud. dep. 12/09/2013 Rv. 255758).
Per il perfezionamento del reato in esame è necessario che il contribuente ometta
di versare l’IVA dichiarata a debito per l’anno precedente entro il termine per il
versamento dell’acconto relativo al periodo d’imposta dell’anno successivo, e cioè entro

il 27 dicembre dell’anno successivo, giusta la previsione dell’art. 6, comma 2, legge 29
dicembre 1990, n. 405, come modificato dall’art. 3 d.l. 28 giugno 1995, n. 250,
convertito dalla legge 8 agosto 1995, n. 349.
Nel caso in esame, il capo di imputazione contiene, effettivamente, un errore nella
data di commissione del reato (indicata come 25.7.2006), che però – contrariamente a
quanto sostenuto dal ricorrente – non incide assolutamente sulla validità della
contestazione (cfr. in proposito art. 429 lett. c cpp) perché nel capo di imputazione il
fatto viene descritto nelle sue linee essenziali anche con l’indicazione delle norme

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dichiarazione (e quindi la data di consumazione del reato) non poteva che essere

violate (viene infatti addebitato il reato di cui all’art. 10 ter del D. Lvo n. 74/2000, per
omesso versamento, in qualità di legale rappresentante di società, nei termini previsti
per la presentazione delle dichiarazioni annuali relativi al 2005, dell’Iva dovuta in base
alle dichiarazioni annuali per l’ammontare complessivo di €. 61.401,00): così
contestato il fatto, è evidente che la data di commissione dell’illecito deriva dalla legge,
come del resto ammette lo stesso ricorrente a pag. 3.
Una attenta lettura della contestazione consentiva dunque all’imputato di
comprendere senz’altro il fatto addebitato e di svolgere adeguatamente la propria

2. Col secondo motivo, denunziandosi la violazione dell’art. 606 lett. b) cpp, si
ripropone la questione della mancanza dell’elemento soggettivo del reato di omesso
versamento. Dopo avere proceduto ad una ricostruzione del quadro normativo, il
ricorrente per-viene alla conclusione secondo cu occorreva considerare la mancanza del
fine di evadere l’imposta, trattandosi di una società che svolge attività ben definite e
non già di una mera “cartiera”, ma purtroppo in un momento di crisi economica.
Anche questo motivo è infondato.
Con la citata sentenza 37424/2013 le sezioni unite hanno ribadito che il reato in
esame è punibile a titolo di dolo generico. Mentre, invero, molte delle condotte
penalmente sanzionate dal d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, richiedono che il
comportamento illecito sia dettato dallo scopo specifico di evadere le imposte, questa
specifica direzione della volontà illecita non emerge in alcun modo dal testo dell’art.
10-ter d.lgs. n. 74 del 2000.
Per la commissione del reato, basta, dunque, la coscienza e volontà di non versare
all’Erario le ritenute effettuate nel periodo considerato. Tale coscienza e volontà deve
investire anche la soglia di Euro cinquantamila, che è un elemento costitutivo del fatto,
contribuendo a definirne il disvalore. La prova del dolo è insita in genere nella
presentazione della dichiarazione annuale, dalla quale emerge quanto è dovuto a titolo
di imposta, e che deve, quindi, essere saldato o almeno contenuto non oltre la soglia di
Euro cinquantamila, entro il termine lungo previsto. Il debito verso il fisco relativo ai
versamenti IVA è collegato al compimento delle operazioni imponibili. Ogni qualvolta il
soggetto d’imposta effettua tali operazioni riscuote già (dall’acquirente del bene o del
servizio) VIVA dovuta e deve, quindi, tenerla accantonata per l’Erario, organizzando le
risorse disponibili

in

modo da poter adempiere all’obbligazione tributaria.

L’introduzione della norma penale, stabilendo nuove condizioni e un nuovo termine per
la propria applicazione, estende evidentemente la detta esigenza di organizzazione su
scala annuale.
Non può, quindi, essere invocata, per escludere la colpevolezza, la crisi di liquidità
del soggetto attivo al momento della scadenza del termine lungo, ove non si dimostri
che la stessa non dipenda dalla scelta (protrattasi, in sede di prima applicazione della

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difesa.

norma, nella seconda metà del 2006) di non far debitamente fronte alla esigenza
predetta (per l’esclusione del rilievo scriminante di impreviste difficoltà economiche in
sé considerate v., in riferimento alla parallela norma dell’art. 10-bis, Sez. 3, n. 10120
del 01/12/2010, dep. 2011, Provenzale).
Nel caso in esame, la deduzione riguardante la crisi economica è generica e in
fatto e non reca, in particolare, indicazioni specifiche né concrete atte a ravvisare una
reale impossibilità incolpevole all’adempimento ovvero a ricondurre la causa esclusiva

s.u. cit.).
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 6.11.2013.

dell’inadempimento a condotte tenute prima del secondo semestre del 2006 (cfr. cass.

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