Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 26130 del 09/04/2015


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 26130 Anno 2015
Presidente: LAPALORCIA GRAZIA
Relatore: LIGNOLA FERDINANDO

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
PUGLISI ANTONINO N. IL 15/09/1966
avverso la sentenza n. 1397/2010 CORTE APPELLO di CATANIA, del
20/06/2014
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. FERDINANDO
LIGNOLA;

Data Udienza: 09/04/2015

RILEVATO IN FATTO

– che con l’impugnata sentenza, in parziale riforma di quella di primo grado, la
Puglisi Antonino fu ritenuto responsabile della formazione di una falsa carta di
identità, fatto commesso il 6 febbraio 2007;
– che avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, con
atto sottoscritto personalmente, con il quale deduce violazione falsa applicazione
dell’articolo 157 cod. pen., poiché alla data del 20 giugno 2014 il reato doveva

delle attenuanti generiche;

CONSIDERATO IN DIRITTO

– che il ricorso va dichiarato inammissibile per manifesta infondatezza, poiché ai
sensi dell’articolo 161, comma 2, cod. pen. “Salvo che si proceda per i reati di
cui all’articolo 51, commi 3-bis e 3-quater, del codice di procedura penale, in
nessun caso l’interruzione della prescrizione può comportare l’aumento di più di
un quarto del tempo necessario a prescrivere, della metà nei casi di cui
all’articolo 99, secondo comma, di due terzi nel caso di cui all’articolo 99, quarto
comma, e del doppio nei casi di cui agli articoli 102, 103 e 105”,

per cui il

termine complessivo di prescrizione dei reati di bancarotta fraudolenta è pari a
12 anni e sei mesi e non a 10 anni;
– che pertanto la prescrizione del reato è intervenuta il 6 agosto 2014, salvo
sospensioni, in epoca successiva alla decisione di appello;

che anche la motivazione del trattamento sanzionatorio deve ritenersi

complessivamente adeguata, poiché il diniego delle attenuanti generiche tiene
conto dello scopo dell’imputato di rendersi latitante e dell’assenza di elementi da
valutarsi in senso positivo;
– che in generale deve ricordarsi che il giudizio sul riconoscimento e sul
bilanciamento delle attenuanti generiche, come quello sulla dosimetria della
pena, è rimesso alla discrezionalità del giudice di merito, per cui non vi è
margine per il sindacato di legittimità quando la decisione sia motivata in modo
conforme alla legge e ai canoni della logica;
– che la linea argomentativa del giudice di appello non presta il fianco a censura,
rendendo adeguatamente conto delle ragioni della decisione adottata; d’altra
parte non è necessario, a soddisfare l’obbligo della motivazione, che il giudice
prenda singolarmente in osservazione tutti gli elementi di cui all’art. 133 c.p.,
essendo invece sufficiente l’indicazione di quegli elementi che nel discrezionale
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ritenersi estinto per prescrizione, e vizio di motivazione in relazione al diniego

giudizio complessivo, assumono eminente rilievo;
– che anche la semplice affermazione dell’assenza di elementi positivi da
valorizzare allo scopo, a fronte di una deduzione generica come quella del
ricorrente, deve ritenersi adeguata, in linea con la più recente giurisprudenza di
questa Corte, secondo la quale (Sez. 3, n. 44071 del 25/09/2014, Papini, Rv.
260610) il diniego può essere legittimamente giustificato con l’assenza di
elementi o circostanze di segno positivo, a maggior ragione dopo la modifica
dell’art. 62 bis, disposta con il D.L. 23 maggio 2008, n. 92, convertito con

concessione della diminuente non è più sufficiente lo stato di incensuratezza
dell’imputato;
– che l’inammissibilità del ricorso comporta la preclusione per questa Corte della
possibilità di rilevare l’esistenza di cause di non punibilità ex art. 129 del codice
di rito e le conseguenze di cui all’art. 616 cod. proc. pen., ivi compresa, in
assenza di elementi che valgano ad escludere ogni profilo di colpa, anche
l’applicazione della prescritta sanzione pecuniaria, il cui importo stimasi equo
fissare in euro mille;
– che la ritenuta inammissibilità del ricorso comporta le conseguenze di cui
all’art. 616 cod. proc. pen., ivi compresa, in assenza di elementi che valgano ad
escludere ogni profilo di colpa, anche l’applicazione della prescritta sanzione
pecuniaria, il cui importo stimasi equo fissare in euro mille;

P. Q. M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e al versamento della somma di mille euro alle cassa delle
ammende.
Così deciso in Roma, il 9 aprile 2015
Il consigliere es ensore

Il presidente

modifiche nella legge 24 luglio 2008, n. 125, per effetto della quale, ai fini della

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