Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 26128 del 09/04/2015


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 26128 Anno 2015
Presidente: LAPALORCIA GRAZIA
Relatore: LIGNOLA FERDINANDO

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
MOSCATO FABIO N. IL 03/11/1972
avverso la sentenza n. 1754/2013 CORTE APPELLO di MILANO, del
20/05/2014
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. FERDINANDO
LIGNOLA;

Data Udienza: 09/04/2015

RILEVATO IN FATTO

– che con l’impugnata sentenza, in parziale riforma di quella di primo grado,
Moscato Fabio fu ritenuto responsabile del delitto di cui all’articolo 455 cod. pen.,
previa declaratoria di estinzione per prescrizione di altri reati contestati;
– che avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, con
atto sottoscritto dal difensore, avv. Davide Pozzi, con il quale si deduce vizio di
motivazione e violazione di legge in relazione all’affermazione di responsabilità,

la consapevolezza dell’imputato della falsità delle banconote indicate nel capo di
imputazione, non potendosi accettare una motivazione che fa leva
esclusivamente sui precedenti penali del Moscato e non avendo la Corte
affrontato le questioni prospettate nell’atto di appello; si contesta inoltre il
diniego delle attenuanti generiche, fondato sui precedenti penali e sulla
mancanza di una confessione, con ciò ignorando che l’imputato ha del tutto
mutato la propria condotta di vita ed iniziato una regolare attività lavorativa;

CONSIDERATO IN DIRITTO

– che il ricorso va dichiarato inammissibile per genericità, poiché entrambe le
decisioni di merito si fondano su una serie di intercettazioni, meglio descritte
nella decisione di primo grado (pag. 18-20), la cui motivazione (espressamente
riprodotta nel testo) integra quella di appello, essendo basata sugli stessi
elementi di prova e pervenendo alle medesime conclusioni in ordine allo specifico
reato, dalle quali emerge la piena consapevolezza della falsità delle banconote,
ed il ruolo di fornitore di banconote false che questi svolgeva;
– che la mancanza di specificità del motivo, invero, dev’essere apprezzata non
solo per la sua genericità, come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di
correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste
a fondamento dell’impugnazione, non potendo questa ignorare le esplicitazioni
del giudice censurato, senza cadere nel vizio di aspecificità, conducente a mente
dell’art. 591 cod. proc. pen., comma primo, lett. c), all’inammissibilità;
– che anche in riferimento al diniego delle attenuanti generiche il ricorso va
dichiarato inammissibile, poiché va rimarcato che il riconoscimento delle
attenuanti generiche, e il connesso giudizio di bilanciamento con le aggravanti,
sono statuizioni che l’ordinamento rimette alla discrezionalità del giudice di
merito, per cui non vi è margine per il sindacato di legittimità quando la
decisione sia motivata in modo conforme alla legge e ai canoni della logica. Nel
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con riferimento all’elemento soggettivo del reato, poiché non sarebbe dimostrata

caso di specie la il Tribunale (la cui motivazione richiamata) non ha mancato di
motivare la propria decisione, sottolineando la pletora di precedenti e pregressi
ed il non collaborativo comportamento processuale, gli elementi giudicati
prevalente rispetto al percorso di recupero da ultimo approcciato;
– che siffatta linea argomentativa non presta il fianco a censura, rendendo
adeguatamente conto delle ragioni della decisione adottata; d’altra parte non è
necessario, a soddisfare l’obbligo della motivazione, che il giudice prenda
singolarmente in osservazione tutti gli elementi di cui all’art. 133 c.p., essendo

complessivo, assumono eminente rilievo;
– che la ritenuta inammissibilità del ricorso comporta le conseguenze di cui
all’art. 616 cod. proc. pen., ivi compresa, in assenza di elementi che valgano ad
escludere ogni profilo di colpa, anche l’applicazione della prescritta sanzione
pecuniaria, il cui importo stimasi equo fissare in euro mille;

P. Q. M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e al versamento della somma di mille euro alle cassa delle
ammende.
Così deciso in Roma, il 9 aprile 2015
Il consigliere estensore

invece sufficiente l’indicazione di quegli elementi che nel discrezionale giudizio

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