Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 26111 del 09/04/2015


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 26111 Anno 2015
Presidente: LAPALORCIA GRAZIA
Relatore: SAVANI PIERO

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
CIOTTA BENIAMINO N. IL 12/09/1969
avverso la sentenza n. 3852/2013 CORTE APPELLO di PALERMO,
del 15/05/2014
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. PIERO SAVANI;

Data Udienza: 09/04/2015

IN FATTO E DIRITTO
Con la sentenza in epigrafe la Corte d’appello di Palermo, riqualificati i fatti come ingiurie e minacce e ridotta la pena, ha confermato nel resto la sentenza emessa in data 21 novembre 2012 dal
locale Tribunale, appellata da CIOTTA Beniamino, in origine dichiarato responsabile del delitto
di maltrattamenti in famiglia, commesso fino al febbraio 2009.
Propone ricorso per cassazione l’imputato deducendo vizio di motivazione sulla mancata applicazione del disposto di cui all’art. 599 c.p. quanto alle ingiurie e, quanto alle minacce, sulla mancata individuazione di elementi a fondamento dell’affermazione di responsabilità.
Osserva il Collegio che il ricorso è inammissibile in quanto manifestamente infondato.
Quanto alla pretesa applicazione dell’art. 599 c.p., motivo che attiene il delitto di ingiurie nel
quale il giudice d’appello ha riqualificato l’originaria imputazione di maltrattamenti in famiglia,
dalla motivazione della sentenza impugnata emerge con chiarezza che il delitto di maltrattamenti
è stato escluso per l’avvenuto accertamento di un clima di diffusa litigiosità in quella famiglia,
fatto di liti continue senza un preciso responsabile univocamente individuabile, la doglianza pare
del tutto generica non essendo stato individuato se proprio nell’episodio residuato di ingiurie si
fosse verificata una non rigorosamente dimostrata situazione di ritorsione.
Quanto alla minaccia è irrilevante il fatto che si fosse accertato che l’arma usata dal prevenuto
fosse una scacciacani in quanto per la configurazione dell’aggravante dell’arma occorre solo che
lo strumento mostrato o brandito abbia l’aspetto esterno dell’arma per poter prospettare
all’antagonista un male futuro e concretamente riferibile all’uso di quell’oggetto dall’apparenza
significativa di speciale capacità offensiva.
All’inammissibilità del ricorso consegue, ai sensi dell’art. 616 C.P.P., la condanna del ricorrente
al pagamento delle spese del procedimento e — per i profili di colpa correlati all’irritualità
dell’impugnazione — di una somma in favore della Cassa delle ammende nella misura che, in ragione delle questioni dedotte, si stima equo determinare in €. 1.000,00#.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento della somma di €. 1.000,00# alla Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 9 aprile 2015.

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