Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 2610 del 21/11/2012


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 2610 Anno 2013
Presidente: GIORDANO UMBERTO
Relatore: SANTALUCIA GIUSEPPE

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
1) CHIODI GIUSEPPE PIETRO N. IL 16/07/1950
avverso l’ordinanza n. 87/2011 GIP TRIBUNALE di TREVISO, del
29/09/2011
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. GIUSEPPE
SANTALUCIA;
lette/matite le conclusioni del PG Dott. S .
Na,12-3,
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Uditi difensor Avv.;

iL

Data Udienza: 21/11/2012

RITENUTO IN FATTO
Il giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Treviso, in funzione di giudice
dell’esecuzione, ha rigettato la richiesta proposta nell’interesse di Giuseppe Pietro Chiodi,
diretta ad ottenere l’applicazione della continuazione tra i reati oggetto di una pluralità di
sentenze di condanna.
1-la in particolare rilevato: che gli episodi criminosi di cui alla prima sentenze furono
commessi il 22 giugno 2000 a Milano e consistettero in rapine ai danni di rappresentanti di

2000 in danno della filiale della Veneto Banca di Biadene, con il concorso di tale Giuseppe
Turreta; che la rapina oggetto della terza sentenza fu commessa, ancora una volta in concorso
con Giuseppe Turreta, in danno della filiale della Veneto Banca del Comune di Moriago della
Battaglia in Treviso, il 14 luglio 2000, con modalità similari a quelle della rapina commessa il
21 novembre 2000.
Nel corso dei giudizi di cognizione il ricorrente non ha inteso riferire nulla circa una
possibile progettazione preliminare dei reati via via contestatigli; la sua condotta processuale è
stata per lo più caratterizzata da menzogne, come affermato dalla sentenza n. 2175 del 2003
del giudice milanese, ed è stata sempre rivolta a sostenere, anche a dispetto dell’evidenza, la
totale estraneità da ogni addebito.
Avverso detta ordinanza ha proposto ricorso Giuseppe Pietro Chiodi, deducendo:
Violazione di legge e difetto di motivazione. Il provvedimento impugnato è in
contrasto con le disposizioni di legge, perché nel caso di specie è evidente
l’unicità del disegno criminoso, sussistendo tutti gli indici individuati dalla
giurisprudenza di legittimità per desumerne l’esistenza, e specificamente:
l’omogeneità delle condotte, il bene giuridico offeso, il contenuto intervallo
temporale, la sistematicità e le abitudini programmate di vita. Nessun rilievo
contrario può invece assumere il fatto che l’interessato non abbia reso
collaborazione e si sia in più occasioni avvalso del diritto al silenzio.

CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato per le ragioni di seguito esposte.
Nessun pregio ha il rilievo che l’interessato non ha fornito nel corso dei giudizi di
cognizione un contributo di collaborazione da cui poter desumere gli elementi per inferire
l’esistenza di un unico disegno criminoso. Non può infatti trarsi dalle scelte difensive operate
nei giudizi di cognizione alcun argomento da utilizzarsi in vista di una decisione su un tema,
quale appunto il vincolo di continuazione, che il giudice deve affrontare sulla base delle
risultanze in atti e non anche di quanto avrebbe potuto esserci e non v’è in ragione di
insindacabili determinazioni difensive.
Si apprezza, piuttosto, un vizio di motivazione nella parte in cui il giudice
dell’esecuzione ha trascurato l’esistenza di elementi concreti che, per costante giurisprudenza
di questa Corte, consentono di pervenire ad opposta conclusione. Per almeno alcuni degli
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oggetti preziosi; che la rapina di cui alla seconda sentenza fu commessa in data 21 novembre

episodi criminosi in riferimento ai quali è stata avanzata la richiesta di riconoscimento del
vincolo di continuazione è dato rilevare l’omogeneità delle violazioni, la sovrapponibilità delle
modalità di commissione dei fatti, l’identità dei beni giuridici offesi, l’assenza di ampi lassi
temporali di intervallo tra gli episodi medesimi, la prossimità dei luoghi di commissione. Deve
allora farsi richiamo al principio di diritto secondo cui “l’identità del disegno criminoso è
apprezzabile sulla base degli elementi costituiti dalla distanza cronologica tra i fatti, dalle
modalità della condotta, dalla tipologia dei reati, dal bene tutelato, dalla omogeneità delle

constatazione di alcuni soltanto di detti elementi purché significativi (Sez. 1, n. 44862 del
5/11/2008 – dep. 2/12/2008, Lombardo, Rv. 242098).
L’ordinanza impugnata deve dunque essere annullata per consentire un nuovo esame
da parte del giudice dell’esecuzione, da condursi in modo più aderente al principio di diritto
appena ribadito.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Giudice per le indagini
preliminari presso il Tribunale di Treviso.
Così deciso il 21 novembre 2012.

violazioni, dalla causale, dalle condizioni di tempo e di luogo, anche (soltanto) attraverso la

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