Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 26057 del 09/04/2015


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 26057 Anno 2015
Presidente: LAPALORCIA GRAZIA
Relatore: SAVANI PIERO

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
COLESNICENCO AGAFIA N. IL 27/03/1983
avverso la sentenza n. 3922/2014 TRIBUNALE di BRESCIA, del
01/07/2014
dato avviso alle parti;
,
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. PIERO 7,74.15.if

Data Udienza: 09/04/2015

IN FATTO E DIRITTO
Con la sentenza in epigrafe il Tribunale di Brescia applicava a COLESNICENCO Agafia, a
norma degli artt. 444 e 448 C.P.P., la pena concordata con il Pubblico Ministero in ordine al delitto di furto aggravato, commesso il 30 giugno 2014.
Propone ricorso per cassazione l’imputata che deduce violazione di legge per esser non esser stato ritenuto il tentativo.
Osserva il Collegio che i motivi di ricorso sono destituiti di specificità e comunque manifestamente infondati o per altro verso inammissibili, atteso che il giudice, nell’applicare la pena concordata, si è da un lato adeguato a quanto contenuto nell’accordo tra le parti, e dall’altro ha escluso che ricorressero i presupposti dell’art. 129 C.P.P., facendo riferimento al contenuto degli
atti delle indagini preliminari ed in particolare al verbale di arresto ed alla confessione.
E tale motivazione, avuto riguardo alla speciale natura dell’accertamento in sede di applicazione
della pena su richiesta delle parti, appare pienamente adeguata ai parametri richiesti per tale genere di decisioni, secondo la costante giurisprudenza di legittimità (v., tra le altre, Sez. un., u.p.
27 marzo 1992, Di Benedetto; Sez. un., u.p. 27 settembre 1995, Serafino; Sez. un., u.p. 25 novembre 1998, Messina).
Né all’imputato che abbia patteggiato la pena in relazione al fatto come descritto nel capo di imputazione, che nella narrativa configura un’ipotesi di furto consumato, è consentito rimettere in
discussione gli estremi fattuali dell’imputazione medesima introducendo ulteriori elementi da cui
trarre differenti conclusioni in tema di qualificazione giuridica.
All’inammissibilità del ricorso consegue, ai sensi dell’art. 616 C.P.P., la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e — per i profili di colpa correlati all’irritualità
dell’impugnazione — di una somma in favore della Cassa delle ammende nella misura che, in ragione delle questioni dedotte, si stima equo determinare in €. 1.500,004.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento della somma di €. 1.500,00# alla Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma i aprile 2015.

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