Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 26044 del 18/02/2015


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 26044 Anno 2015
Presidente: VECCHIO MASSIMO
Relatore: CASSANO MARGHERITA

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
SPERA BENEDETTO N. IL 01/07/1934
avverso l’ordinanza n. 9162/2013 TRIB. SORVEGLIANZA di ROMA,
del 09/05/2014
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. MARGHERITA
CASSANO;

Data Udienza: 18/02/2015

Ritenuto in fatto.

1. Con ordinanza emessa in data 9 maggio 2014 il Tribunale di Sorveglianza di
Roma respingeva il reclamo presentato da Benedetto Spera, detenuto in espiazione
della pena dell’ergastolo per i delitti di omicidio pluriaggravato e di associazione di
stampo mafioso ed altro avverso il decreto ministeriale di proroga del regime
differenziato ai sensi dell’art. 41 bis ord pen.

a)l’inserimento del condannato in posizione di rilievo nell’associazione di stampo
mafioso (mandamento di Belmonte Mezzagno, da sempre assai vicino ai corleonesi
e, in particolare, a Bernardo Provenzano; b) il prolungato stato di latitanza (sette
anni) di Spera, ricercato per gravissimi fatti di sangue (fra i quali la strage di
Capaci) e per il delitto di cui all’art. 416 bis c.p.; c) la perdurante operatività
dell’associazione e il perdurante ruolo attivo svolto all’interno di essa dal ricorrente
grazie anche all’aiuto di familiari, come comprovato dalle risultanze dell’incontro
con la moglie e con il figlio nell’agosto 2011.
In base a tali elementi il Tribunale argomentava che si configuravano tutti gli
elementi per ritenere, in concreto, non cessata la capacità del detenuto di mantenere
collegamenti con la criminalità organizzata (Corte Cost., sent. n. 417 del 2004).
2. Avverso tale ordinanza ha proposto ricorso per cassazione, tramite il
difensore di fiducia, Spera, il quale, anche mediante una memoria difensiva,
formula le seguenti censure
Deduce violazione degli artt. 36 e 37 c.p.p., contenuta nell’ordinanza del 9
maggio 2014, con la quale è stata ritenuta insussistente l’incompatibilità del
magistrato che, oltre ad essere estensore del provvedimento impugnato, si era in
passato occupato di redigere l’ordinanza ex art. 41 bis ord. pen. del 30 novembre
2011, di contenuto analogo al presente e, pertanto, idoneo a manifestare
indebitamente il convincimento del giudice.
Lamenta, inoltre, violazione degli artt. 38 e 37 c.p.p. in relazione agli artt. 3, 24,
111 Cost. nella parte in cui non consentono all’imputato video collegato di ricusare
il giudice e al difensore del condannato, recluso al regime ex art. 41 bis ord. pen.„
di ricusare il giudice pur in assenza di una procura speciale. Solleva in tal senso
questione di legittimità costituzionale.

Ad avviso del Tribunale tale regime era giustificato da plurimi elementi:

Prospetta, inoltre, violazione delle regole sul giusto processo (artt. 111 Cost. e 6
Cedu) in relazione al diniego di sospensione e di revoca temporanea del decreto
applicativo della sorveglianza speciale in attesa della decisione, da parte della Corte
di Cassazione, del ricorso proposto avverso il decreto precedentemente emesso.
Lamenta, infine, violazione ed erronea applicazione di legge, mancanza e
contraddittorietà della motivazione relativamente alla sussistenza dei presupposti
legittimanti la proroga del regime penitenziario differenziato, basata su un’analisi

documenti prodotti dalla difesa all’udienza del 9 maggio 2014.

Osserva in diritto.

Il ricorso è manifestamente infondato.
1.Con riferimento alle prima doglianza, il Collegio osserva quanto segue.
A seguito della declaratoria di parziale illegittimità dell’art. 37, comma 1,
c.p.p., nella parte in cui non prevede che possa essere ricusato dalle parti il
giudice che, chiamato ad emettere una decisione nei confronti di una determinata
persona, abbia espresso in altro procedimento o in altra sede, anche non penale,
una valutazione di merito sullo stesso fatto nei confronti del medesimo soggetto
(cfr. Corte Costituzionale sentenza n. 283 del 2000), è stata introdotta
nell’ordinamento giuridico una nuova causa di ricusazione. Nell’ambito della
predetta sentenza la Consulta, richiamando i principi enunciati in precedenti
sentenze, ha argomentato che è affidato all’elaborazione giurisprudenziale il
compito di definire i vari casi di applicazione della predetta causa di ricusazione,
così come è avvenuto per le altre cause di astensione e ricusazione già previste dal
codice. Con tale affermazione la Corte Costituzionale non ha invitato il giudice
ordinario ad un’interpretazione estensiva dei casi di ricusazione, ma ha soltanto
ribadito che egli deve individuare i casi concreti di ricusazione nell’ambito del
quadro generale delineato dalla legge e nel rispetto dei principi enunciati dalla
Consulta su tale materia.
Sulla base di questa premessa generale è evidente che, affinché sussista
l’ipotesi di ricusazione sopra richiamata, occorre che vi sia stata una precedente
valutazione di merito sullo stesso fatto e nei confronti dello stesso soggetto.
Nel caso in esame correttamente il Tribunale di sorveglianza, nell’ambito
dell’ordinanza emessa il 9 maggio 2014, ha correttamente ritenuto insussistente la
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incompleta e non corretta degli elementi acquisiti e sulla mancata valutazione dei

dedotta incompatibilità, attesa l’autonomia delle diverse procedure ex art. 41 bis
ord. pen., a loro volta derivanti dall’adozione di distinti provvedimenti
ministeriali di proroga del regime penitenziario differenziato, fondati su autonome
verifiche circa la sussistenza dei relativi presupposti.
In adesione all’insegnamento delle Sezioni Unite di questa Corte (Sez. U., n.
41263 del 27 settembre 2005) occorre, poi, rilevare che l’indebita manifestazione
del convincimento da parte del giudice, espressa con la delibazione adottata

giudice abbia anticipato la valutazione sul merito della res iudicanda senza che
tale valutazione sia imposta o giustificata dalle sequenze procedimentali, nonché
quando essa anticipi in tutto o in parte gli esiti della decisione di merito, senza che
vi sia necessità e nesso funzionale con il distinto provvedimento adottato.
L’avverbio “indebitamente”, che compare nella formulazione della norma di cui
all’art. 37 c.p.p., richiede che l’opinione sia espressa senza che ne esista necessità
ai fini della decisione adottata e fuori da ogni collegamento o legame con
l’esercizio delle funzioni giurisdizionali inerenti al fatto esaminato.
Nel caso di specie, il provvedimento impugnato in questa sede costituisce
l’epilogo decisorio di una procedura derivante dal reclamo proposto
dall’interessato avverso un distinto e nuovo provvedimento di proroga, a sua volta
basato sulla valutazione degli elementi acquisiti nel nuovo periodo e, in quanto
tale, non determina alcuna incompatibilità del giudice estensore che, in passato, si
sia occupato di redigere la motivazione di un’ordinanza reiettiva del reclamo
concernente un distinto e autonomo provvedimento.
3.Anche il secondo e il terzo motivo di ricorso sono manifestamente infondati.
La dichiarazione di ricusazione del giudice che il soggetto detenuto intenda
formulare nel corso della sua partecipazione all’udienza in “videoconferenza” ben
può essere tempestivamente presentata mediante dichiarazione scritta all’autorità
carceraria, ai sensi dell’art. 123 c.p.p..(Sez. 5, n. 22689 del 5 aprile 2004). Sotto
questo profilo, dunque, non sussista alcuna lesione al pieno esercizio da parte del
detenuto delle facoltà, di carattere squisitamente personale, che l’ordinamento gli
riconosce. Sono, pertanto, all’evidenza privi di pregio i rilievi concernenti le facoltà
del difensore. La dedotta questione di legittimità costituzionale è, di conseguenza,
irrilevante.
4.Manifestamente infondato è il quarto motivo di ricorso.
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nell’ambito di una diversa procedura, rileva come causa di ricusazione solo se il

Attesa l’autonomia delle distinte procedure di proroga, ciascuna delle quali è
correlata all’adozione di un provvedimento ministeriale di durata predeterminata, la
richiesta sospensione o revoca temporanea del precedente decreto ex art. 41 bis ord.
pen. è stata correttamente respinta in assenza di qualsiasi presupposti di legge per
accoglierla.
5. Manifestamente infondate sono anche le ulteriore censure difensive.
L’art. 41 bis, comma 2 bis, della 1. n. 354 del 1975, sostituito dall’art. 2 della 1.

detenzione differenziato “sono prorogabili nelle stesse forme per periodi successivi,
ciascuno pari ad un anno, purché non risulti che la capacità del detenuto o
dell’internato di mantenere contatti con associazioni criminali, terroristiche o
eversive sia venuta meno”.
L’ambito del sindacato devoluto alla Corte di Cassazione è segnato dal comma
2 sexies del novellato art. 41 bis, a norma del quale il Procuratore generale presso la
Corte d’appello, l’internato o il difensore possono proporre ricorso per cassazione
avverso l’ordinanza del Tribunale per violazione di legge.
La limitazione dei motivi di ricorso alla sola violazione di legge è da intendere
nel senso che il controllo affidato al giudice di legittimità è esteso, oltre che
all’inosservanza di disposizioni di legge sostanziale e processuale, alla mancanza di
motivazione, dovendo in tale vizio essere ricondotti tutti i casi nei quali la
motivazione stessa risulti del tutto priva dei requisiti minimi di coerenza,
completezza e di logicità, al punto da risultare meramente apparente o
assolutamente inidonea a rendere comprensibile il filo logico seguito dal giudice di
merito per ritenere giustificata la proroga, ovvero quando le linee argomentative del
provvedimento siano talmente scoordinate e carenti dei necessari passaggi logici da
far rimanere oscure le ragioni che hanno giustificato la decisione (Sez. Un. 28
maggio 2003, ric. Pellegrino, rv. 224611; Sez. I, 9 novembre 2004, ric. Santapaola,
rv. 230203).
E’, invece, da escludere che la violazione di legge possa ricomprendere il vizio
di illogicità della motivazione, dedotto dal ricorrente che, sotto questo profilo, non
può trovare ingresso in questa sede.
6. Alla luce di questi principi il Collegio osserva che il ricorso, pur
denunciando formalmente anche il vizio di violazione di legge, non individua
singoli aspetti del provvedimento impugnato da sottoporre a censura, ma tende in
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23 dicembre 2002 n. 279, stabilisce che i provvedimenti applicativi del regime di

realtà a provocare una non consentita nuova valutazione del merito delle circostanze
di fatto, in quanto tali insindacabili in sede di legittimità. L’ordinanza impugnata,
peraltro, ha correttamente valutato gli elementi risultanti agli atti, con motivazione
congrua, adeguata, argomentata anche in ordine ai profili evidenziati dalla difesa, e
priva di erronea applicazione della legge penale e processuale.
Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso consegue di diritto la condanna
del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi atti

versamento a favore della cassa delle ammende di una sanzione pecuniaria che pare
congruo determinare in euro mille, ai sensi dell’ art. 616 c.p.p.

P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e al versamento della somma di euro mille in favore della cassa
della ammende.
Così deciso, in Roma, in camera di consiglio, il 18 febbraio 2015.

ad escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al

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