Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 26025 del 18/02/2015


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 26025 Anno 2015
Presidente: VECCHIO MASSIMO
Relatore: CASSANO MARGHERITA

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
COPPOLA GIUSEPPE N. IL 11/06/1980
avverso l’ordinanza n. 270/2014 TRIB. SORVEGLIANZA di ROMA,
del 16/05/2014
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. MARGHERITA
CASSANO;

Data Udienza: 18/02/2015

Ritenuto in fatto.

1. Con ordinanza emessa in data 16 maggio 2014 il Tribunale di Sorveglianza di
Roma respingeva il reclamo presentato da Giuseppe Coppola avverso il decreto
ministeriale di proroga del regime differenziato ai sensi dell’art. 41 bis ord pen.
Ad avviso del Tribunale tale regime era giustificato da plurimi elementi:

nell’associazione di stampo mafioso, desumibile dalla partecipazione, insieme con i
capi del clan, all’esecuzione degli omicidi, ponendosi a disposizione del clan per la
custodia delle armi e l’organizzazione della consegna delle partite di droga anche in
territori diversi da quello di appartenenza; b) la perdurante operatività
dell’associazione, soprattutto nel settore delle estorsioni e dei traffici di droga.
In base a tali elementi il Tribunale argomentava che si configuravano tutti gli
elementi per ritenere, in concreto, perdurante la capacità del detenuto di mantenere
collegamenti con la criminalità organizzata (Corte Cost., sent. n. 417 del 2004).
2. Avverso tale ordinanza ha proposto ricorso per cassazione, tramite il
difensore di fiducia, Coppola, il quale lamenta violazione ed erronea applicazione di
legge, mancanza e contraddittorietà della motivazione relativamente alla sussistenza
dei presupposti legittimanti l’applicazione del regime penitenziario differenziato,
fondata sull’esame incompleto degli elementi addotti dalla difesa.

Osserva in diritto.

Il ricorso è manifestamente infondato.
1. L’art. 41 bis, comma 2 bis, della 1. n. 354 del 1975, sostituito dall’art. 2 della
1. 23 dicembre 2002 n. 279, stabilisce che i provvedimenti applicativi del regime di
detenzione differenziato “sono prorogabili nelle stesse forme per periodi successivi,
ciascuno pari ad un anno, purché non risulti che la capacità del detenuto o
dell’internato di mantenere contatti con associazioni criminali, terroristiche o
eversive sia venuta meno”.
2. L’ambito del sindacato devoluto alla Corte di Cassazione è segnato dal
comma 2 sexies del novellato art. 41 bis, a norma del quale il Procuratore generale
presso la Corte d’appello, l’internato o il difensore possono proporre ricorso per
cassazione avverso l’ordinanza del Tribunale per violazione di legge.

a)l’inserimento del condannato in posizione non secondaria e meramente esecutiva

La limitazione dei motivi di ricorso alla sola violazione di legge è da intendere
nel senso che il controllo affidato al giudice di legittimità è esteso, oltre che
all’inosservanza di disposizioni di legge sostanziale e processuale, alla mancanza di
motivazione, dovendo in tale vizio essere ricondotti tutti i casi nei quali la
motivazione stessa risulti del tutto priva dei requisiti minimi di coerenza,
completezza e di logicità, al punto da risultare meramente apparente o

merito per ritenere giustificata la proroga, ovvero quando le linee argomentative del
provvedimento siano talmente scoordinate e carenti dei necessari passaggi logici da
far rimanere oscure le ragioni che hanno giustificato la decisione (Sez. Un. 28
maggio 2003, ric. Pellegrino, rv. 224611; Sez. I, 9 novembre 2004, ric. Santapaola,
rv. 230203).
E’, invece, da escludere che la violazione di legge possa ricomprendere il vizio
di illogicità della motivazione, dedotto dal ricorrente che, sotto questo profilo, non
può trovare ingresso in questa sede.
3. Alla luce di questi principi il Collegio osserva che il ricorso, pur
denunciando formalmente anche il vizio di violazione di legge, non individua
singoli aspetti del provvedimento impugnato da sottoporre a censura, ma tende in
realtà a provocare una non consentita nuova valutazione del merito delle circostanze
di fatto, in quanto tali insindacabili in sede di legittimità. L’ordinanza impugnata,
peraltro, ha correttamente valutato gli elementi risultanti agli atti, con motivazione
congrua, adeguata, che ha tenuto conto degli apporti difensivi, implicitamente
disattesi dalla complessiva struttura argomentativa, nonché priva di erronea
applicazione della legge penale e processuale.
4.Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso consegue di diritto la
condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di
elementi atti ad escludere la colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità, al versamento a favore della cassa delle ammende di una sanzione
pecuniaria che pare congruo determinare in euro mille, ai sensi dell’ art. 616 c.p.p.

2

assolutamente inidonea a rendere comprensibile il filo logico seguito dal giudice di

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Sezione VII Penale

ORDINANZA N.32.141.5.:
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e al versamento della somma di euro mille in favore della cassa
della ammende.

Così deciso, in Roma, il 18 febbraio 2015.

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