Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 26006 del 18/02/2015


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 26006 Anno 2015
Presidente: VECCHIO MASSIMO
Relatore: CASSANO MARGHERITA

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
PEDANA RAFFAELE N. IL 03/04/1949
avverso la sentenza n. 1022/2010 CORTE APPELLO di NAPOLI, del
19/06/2013
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. MARGHERITA
CAS SANO;

Data Udienza: 18/02/2015

Ritenuto in fatto.
LH 19 giugno 2013 la Corte d’appello di Napoli confermava nei confronti di

Raffaele Pedana, quanto all’affermazione della penale responsabilità in ordine al
delitto di cui all’art. 9 1. n. 1423 del 1956 e successive modifiche e al
riconoscimento della contestata recidiva, la sentenza emessa il 7 maggio 2009 dal
Tribunale di S. Maria Capua Vetere, sezione distaccata di Aversa, mentre riformava

pena originariamente inflitta, pari a un anno e otto mesi di reclusione, a un anno e
sei mesi di reclusione.
2.Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione, tramite il difensore di
fiducia, l’imputato il quale lamenta inosservanza dell’art. 603 c.p.p. in relazione
all’omessa riapertura dell’istruttoria dibattimentale per procedere all’assunzione dei
testi indotti dalla difesa e immotivatamente esclusi dal primo giudice, violazione di
legge e mancanza di motivazione in ordine alla sussistenza dell’elemento
psicologico del reato e agli elementi posti a fondamento dell’affermazione di penale
responsabilità, nonché alla dosimetria della pena e al riconoscimento della recidiva.

Osserva in diritto.

Il ricorso è manifestamente infondato.
1. In tema di rinnovazione dell’istruzione dibattimentale in sede d’appello, 1′ art.
603 c.p.p. reca diversità di previsione, a seconda che si tratti di prove preesistenti o
concomitanti al giudizio di primo grado, emerse in un diverso contesto temporale o
fenomenico, ovvero di prove sopravvenute o scoperte dopo il giudizio. Nel primo
caso, il giudice d’appello deve disporre la rinnovazione dell’istruttoria
dibattimentale solo se ritiene di non essere in grado di decidere allo stato degli atti;
nel secondo, deve rinnovare l’istruzione, osservando i soli limiti del diritto alla
prova e dei requisiti della stessa.Con riguardo alla prima ipotesi, in considerazione
del principio di presunzione di completezza dell’istruttoria compiuta in primo
grado, la rinnovazione del dibattimento in appello è istituto di carattere eccezionale,
al quale può farsi ricorso esclusivamente quando il giudice ritenga, nella sua
discrezionalità, di non potere decidere allo stato degli atti. Pertanto, in caso di
rigetto della richiesta avanzata dalla parte, la motivazione potrà essere implicita e
desumibile dalla struttura argomentativa della sentenza d’appello, con la quale si

la decisione di primo grado limitatamente al trattamento sanzionatorio, riducendo la

evidenzia la sussistenza di elementi sufficienti all’affermazione o alla negazione di
responsabilità dell’imputato (Sez. 5, 1.2.2000, n. 01075, ric. Lavista, riv. 215772;
Sez. 2, 7.7.2000, n. 08106, ric. Accettala, riv. 216532; Sez. 5, 8.8.2000, n. 08891,
ric. Callegari, riv. 217209).Considerato, quindi, che nel giudizio di appello la
rinnovazione dell’istruzione dibattimentale, postulando una deroga alla presunzione
di completezza della indagine istruttoria svolta in primo grado, ha caratteristica di
istituto eccezionale, nel senso che ad essa può farsi ricorso quando appaia

poter decidere allo stato degli atti, ritiene il Collegio che, da un lato, il giudice di
merito ha dimostrato in positivo, con spiegazione immune da vizi logici e giuridici,
la sufficiente consistenza e l’assorbente concludenza delle prove già acquisite e,
dall’altro, il ricorrente non ha dimostrato l’esistenza, nell’apparato motivazionale
posto a base della decisione impugnata, di lacune o manifeste illogicità, ricavabili
dal testo del medesimo provvedimento e concernenti punti di decisiva rilevanza, le
quali sarebbero state presumibilmente evitate qualora si fosse provveduto
all’assunzione di determinate prove in sede di appello, idonee a svalutare il peso del
materiale probatorio raccolto e valutato.
2.A proposito del secondo motivo di ricorso il Collegio osserva quanto segue.
Il controllo affidato al giudice di legittimità è esteso, oltre che all’inosservanza
di disposizioni di legge sostanziale e processuale, alla mancanza di motivazione,
dovendo in tale vizio essere ricondotti tutti i casi nei quali la motivazione stessa
risulti del tutto priva dei requisiti minimi di coerenza, completezza e di logicità, al
punto da risultare meramente apparente o assolutamente inidonea a rendere
comprensibile il filo logico seguito dal giudice di merito ovvero quando le linee
argomentative del provvedimento siano talmente scoordinate e carenti dei necessari
passaggi logici da far rimanere oscure le ragioni che hanno giustificato la decisione
(Sez. Un. 28 maggio 2003, ric. Pellegrino, rv. 224611; Sez. I, 9 novembre 2004, ric.
Santapaola, rv. 230203).
In realtà, il ricorrente, pur denunziando formalmente una violazione di legge in
riferimento ai principi di valutazione della prova di cui all’art. 192, comma 2, c.p.p.,
non critica in realtà la violazione di specifiche regole inferenziali preposte alla
formazione del convincimento del giudice, bensì, postulando un preteso
travisamento del fatto, chiede la rilettura del quadro probatorio e, con esso, il
sostanziale riesame nel merito, inammissibile invece in sede d’indagine di
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assolutamente indispensabile, cioè nel solo caso in cui il giudice ritenga di non

legittimità sul discorso giustificativo della decisione, allorquando la struttura
razionale della sentenza impugnata abbia -come nella specie- una sua chiara e
puntuale coerenza argomentativa e sia saldamente ancorata, nel rispetto delle regole
della logica, alle risultanze del quadro probatorio, indicative univocamente della
coscienza e volontà del ricorrente di violare le prescrizioni a lui imposte con il
provvedimento applicativo della sorveglianza speciale di p.s. con obblighi.
3.All’evidenza prive di pregio sono le censure concernenti il trattamento

alla personalità dell’imputato, gravato da precedenti penali – e il riconoscimento
della recidiva, ritualmente motivato con il fatto che il nuovo reato commesso è
espressivo di specifica pericolosità sociale e di insofferenza al rispetto delle regole
del vivere civile.
4.Alla dichiarazione di inammissibilità segue di diritto la condanna del
ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi atti ad
escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost.,
sent. n. 186 del 2000), al versamento a favore della cassa delle ammende di
sanzione pecuniaria che pare congruo determinare in euro mille, ai sensi dell’ art.
616 c.p.p.

P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro mille in favore della cassa delle ammende.
Così deciso, in Roma, il 18 febbraio 2015.

sanzionatorio – correttamente ancorato alla qualità e natura del reato commesso e

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