Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 2596 del 11/12/2012


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 2596 Anno 2013
Presidente: GIORDANO UMBERTO
Relatore: ROMBOLA’ MARCELLO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
1) LIOTTA ALFREDO N. IL 11/05/1971
2) MARCHESE ALESSANDRO N. IL 19/12/1980
avverso la sentenza n. 1720/2011 CORTE APPELLO di CATANIA, del
17/02/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 11/12/2012 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. MARCELLO ROMBOLA’
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. ft,.70.41_,LAZ
che ha concluso per e 61…~.422,~fg 9 144441…_ thAt-v-N d2.(2.QQ_
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Udito, per la parte civile, l’Avv
Udit i difensor Avv.

Data Udienza: 11/12/2012

Con sentenza 21/12/10 il Tribunale di Catania, tra le altre statuizioni, dichiarava Liotta Alfredo,
cui era contestata la recidiva specifica, colpevole del reato (acc. in Adrano, in epoca anteriore e
prossima al 2006 e in permanenza: capo A) di associazione mafiosa pluriaggravata e, altresì,
dei reati di violazione continuata della legge sulle armi aggravata ex art. 7 L n. 203/91 (acc. in
Adrano, nel luglio 2006 e in permanenza: capo E) e di associazione finalizzata allo spaccio di
sostanze stupefacenti e di singoli episodi di spaccio (acc. in Adrano, Rimini e zone limitrofe fino
al settembre 2006: capo M); dichiarava Marchese Alessandro colpevole del reato di cui al capo
M limitatamente all’ipotesi di spaccio continuato (lo assolveva da entrambi i reati associativi
sub A ed M). Per l’effetto il Liotta era condannato, con la continuazione, alla pena di anni 14 di
reclusione e il Marchese, con l’attenuante di cui all’art. 114 cp, alla pena di anni 4 di reclusione
e 18.000 euro di multa. Tale Cavallaro Enzo, imputato dei reati sub A, E, F ed M (F relativo ad
una seconda associazione per droga), era condannato, con l’attenuante della collaborazione
con la giustizia e la continuazione, alla pena di anni 10 di reclusione.
Con sentenza 17/2/12 la Corte di Appello di Catania, con le attenuanti generiche riconosciute a
tutti gli imputati, rideterminava la pena inflitta al Liotta in anni 10 di reclusione e quella inflitta
al Marchese in anni 2 e mesi 8 di reclusione e 12.000 euro di multa. La pena al Cavallaro (oggi
non ricorrente) era ridotta ad anni 5 e mesi 6 di reclusione.
Secondo l’accusa, verificata dai giudici di merito, il Liotta si occupava, tra l’altro, di traffici di
sostanze stupefacenti, cocaina e cannabis indica ed in tali attività riceveva l’aiuto del cugino
Marchese che, avendo un negozio di tende a Bronte, si prestava a riscuotere i soldi dovuti per
la cessione della droga dai clienti in loco del cugino. Così il collaboratore Cavallaro, sia in sede
di indagini preliminari che in dibattimento, dove meglio precisava il ruolo del Marchese. Le
dichiarazioni erano riscontrate, secondo i giudici, da alcune intercettazioni telefoniche e dalle
stesse parziali ammissioni dell’imputato. Non provate condotte illecite ulteriori (quali trasporti
e consegne).
Ricorrevano per cassazione sia il Liotta che il Marchese.
Liotta (oggi deceduto, giusta il certificato in atti del comune di Adrano che ne attesta il decesso
avvenuto in Siracusa il 26/7/12) deduceva a mezzo del suo difensore: 1) vizio di motivazione
per una non disposta perizia psichiatrica; 2) violazione di legge e vizio di motivazione in ordine
alla ritenuta colpevolezza per il reato di associazione mafiosa; 3) violazione di legge e vizio di
motivazione in ordine alla ritenuta colpevolezza per l’associazione mafiosa in uno con quella
finalizzata allo spaccio di sostanze stupefacenti; 4) violazione di legge e vizio di motivazione in
ordine alla ritenuta colpevolezza per i reati concernenti le armi. Chiedeva l’annullamento.
Marchese, a mezzo del suo difensore, deduceva: 1) vizio di motivazione sulla valutazione della
prova (i giudici non avevano spiegato il maggior ruolo, dopo quanto affermato nelle indagini
preliminari, attribuito al Marchese in dibattimento dal Cavallaro, che, contrariamente a quanto
si leggeva nella sentenza di appello, non aveva mai giustificato le precedenti dichiarazioni con
il preteso intento di non coinvolgerlo più pesantemente nell’accusa; quanto alle intercettazioni,
i giudici non avevano spiegato perché la mera consapevolezza della provenienza del denaro
ricevuto per il cugino costituisse prova di un suo concorso nel reato, perché non si fosse tenuto
conto delle giustificazioni fornite dall’imputato nel suo memoriale e nell’interrogatorio reso al
Pm, perché si fosse ritenuto provato un accordo con il Liotta per la riscossione del prezzo della
droga); 2) vizio di motivazione per la mancata qualificazione del fatto come favoreggiamento
reale. Chiedeva l’annullamento della sentenza impugnata.
1

Ritenuto in fatto

Alla pubblica udienza fissata per la discussione il PG chiedeva l’annullamento senza rinvio della
sentenza per il Liotta e la declaratoria di inammissibilità del ricorso per il Marchese. Nessuno
compariva per i ricorrenti.
Considerato in diritto

Il ricorso del Marchese, manifestamente infondato, è inammissibile. Quanto al primo motivo è
agevole osservare come i giudici di secondo grado abbiano correttamente replicato alle censure
dell’appellante (le stesse riproposte nei motivi di ricorso), sottolineando il logico corso delle
dichiarazioni del Cavallaro, che avendo fin da subito escluso la partecipazione del Marchese alla
compagine associativa del Liotta (principale oggetto delle dichiarazioni stesse) si era limitato,
nella fase delle indagini preliminari, ad accennarne il ruolo occasionale e marginale. Solo in
dibattimento le condotte (sufficienti ad integrare il concorso nello spaccio) sono state precisate
e, in quella sede, chiarite: l’imputato, cugino dei fratelli Liotta e al corrente della loro attività
illecita, si prestava a riscuotere per loro il prezzo della droga smerciata in Bronte, dove aveva
un negozio di tende. E’ tale contributo (con la consapevolezza della provenienza del denaro) ad
integrare il concorso. A riscontro della parola del collaboratore le stesse parziali ammissioni
dell’imputato (sulla ricezione del denaro per conto dei cugini) e le intercettazioni ambientali in
cui si sente parlare in auto con Liotta Antonino della cessione di qualcosa a minor prezzo (ed il
cugino lo invita a continuare la conversazione all’esterno dopo aver aumentato il volume della
radio) e con tale Mazzone Vincenzo (del denaro dovuto da uno degli acquirenti). Di qui la prova
dell’accordo e le evidenti spiegazioni riduttive dei fatti fornite dall’imputato. Quanto al secondo
motivo si ricorda che il favoreggiamento (reale, ex art. 379 cp) si ravvisa solo fuori dei casi di
concorso (che, nella specie, è debitamente provato).
Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento
delle spese processuali e al versamento di una adeguata sanzione pecuniaria (art. 616 cpp).
Pqm
annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di Liotta per essere i reati estinti per
morte dell’imputato. Dichiara inammissibile il ricorso di Marchese e lo condanna al pagamento
delle spese processuali e della somma di euro 1.000 alla Cassa delle ammende.
Roma, 11/12/12

La sentenza impugnata va annullata senza rinvio nei confronti del Liotta a seguito del decesso
dell’imputato e l’estinzione dei reati a lui ascritti.

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