Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 25950 del 04/06/2015


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 25950 Anno 2015
Presidente: CONTI GIOVANNI
Relatore: MOGINI STEFANO

SENTENZA
sul ricorso proposto dal
PADOVANI VIRGILIO, nato a Cantiano (PU) il 26.4.1956
avverso la sentenza emessa dalla Corte d’Appello di Ancona il 21 febbraio 2014;
visti gli atti, la sentenza impugnata e il ricorso;
udita la relazione del consigliere Dott. Stefano Mogini;
udito il sostituto procuratore generale Maria Giuseppina Fodaroni, che ha chiesto il rigetto
del ricorso;
uditi l’avv. Silvia Pantanelli, difensore di fiducia di Virgilio Padovani, che ha insistito per
l’accoglimento del ricorso, e l’avv. Antonio Sebastiano Campisi, per la parte civile Poste
Italiane S.p.a., che ha chiesto il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente alle maggiori
spese sostenute nel presente grado di giudizio.

PREMESSO che in data 10.10.2012 il Tribunale di Urbino in composizione collegiale ha
condannato Virgilio Padovani alla pena di quattro anni di reclusione, oltre alla pena accessoria
dell’interdizione temporanea dai pubblici uffici e al risarcimento dei danni, liquidati per sorte in

Data Udienza: 04/06/2015

complessivi Euro 1398,85, in favore della parte civile Poste Italiane S.p.a., per i reati di
peculato (capo a) e falsificazione di valori di bollo continuati (capo b);
che, più in particolare, la contestazione di peculato cui al capo a) dell’imputazione riguarda
l’appropriazione di complessivi 28.151,76 Euro, di cui il Padovani aveva la disponibilità in
qualità di direttore dell’ufficio postale di Cantiano, con riferimento a Euro 10.105,61 di denaro
di cassa, Euro 17.047,30 di valori postali, Euro 53,25 del “fondo cassa minuta manutenzione”
ed Euro 945,60 relativi alla riscossione non contabilizzata dei corrispettivi pagati dai fruitori del

dai fatti contestati in relazione all’appropriazione di denaro di cassa per Euro 4.705,61 e dei
valori postali per Euro 17.047,30;
che con la sentenza in epigrafe la Corte d’Appello di Ancona ha confermato le statuizioni penali
della citata sentenza di primo grado e, sull’impugnazione della parte civile, ha dichiarato ai soli
effetti civilistici l’imputato colpevole anche dei fatti di peculato per i quali era stato assolto in
primo grado, con conseguente nuova liquidazione del danno patrimoniale e morale sofferto
dalla stessa parte civile, al cui integrale risarcimento l’imputato è stato condannato dalla Corte
territoriale.

RILEVATO che Virginio Padovani ricorre per mezzo del suo difensore avverso la richiamata
sentenza d’appello deducendo: 1) violazione di legge e vizi di motivazione in relazione alla
ritenuta sussistenza della prova della colpevolezza dell’imputato in relazione alle contestate
condotte appropriative di cui al capo a) dell’imputazione e al relativo elemento psicologico, con
specifico riferimento: a) all’incompletezza delle indagini circa una possibile differente
contabilizzazione della somma di Euro 945,60 relativa ad affrancature in modalità “off-line”; b)
alla destinazione della somma pari a 5000,00 Euro ad un’operazione di investimento che un
cliente avrebbe dovuto effettuare presso Poste Italiane il giorno successivo a quello del
prelievo; c) alla copertura dell’ulteriore prelievo di 400 Euro da parte di un assegno di pari
importo a lui consegnato per il cambio dal fratello; d) al mancato accertamento dell’effettiva
destinazione di 53,25 Euro alle necessità di “minuta manutenzione” per le quali l’omonimo
fondo spese viene attribuito al direttore dell’ufficio postale; 2) violazione di legge e vizi di
motivazione in relazione al mancata qualificazione delle contestate condotte di peculato quale
peculato d’uso; 3) violazione di legge e vizi di motivazione per non essere dotata di
concludente capacità dimostrativa la prova della condotta di peculato contestata in relazione
all’appropriazione di valori postali e delle somme di cassa per la quale il ricorrente era stato
assolto in primo grado e viceversa ritenuto responsabile, ai soli affetti civilistici, dalla sentenza
d’appello;

RITENUTO che il ricorso è inammissibile, poiché: 1) il primo motivo di ricorso rappresenta
mera riproposizione di censure di merito già affrontate dalla sentenza impugnata con
motivazione del tutto adeguata e immune da vizi logici e giuridici, che da’ conto dei numerosi,

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servizio postale per la spedizione di 189 raccomandate, e che il Tribunale ha assolto l’imputato

univoci e concludenti elementi di prova dai quali vengono dedotte: a) l’appropriazione da parte
del ricorrente della somma di Euro 945,60 relativa ad affrancature in modalità

“off line”

(riscontri documentali sulle ricevute dei clienti; concentrazione degli ammanchi e delle
affrancature irregolari nei giorni in cui solo il ricorrente era presente in ufficio; esame contabile
dei fondi di cassa; anomalo utilizzo di modalità manuali da parte dell’operatore e mancata
contabilizzazione degli incassi; verifiche sulla timbratrice automatica; mancata giustificazione
al momento della contestazione da parte degli ispettori postali; esclusione che gli introiti delle

dolosa disposizione “uti dominus” delle somme di 5000 e 400 Euro prelevate dalla cassa
dell’ufficio e consegnate senza titolo e plausibile motivazione, rispettivamente, al padre della
fidanzata e al fratello del ricorrente (pp. 30/35); c) l’appropriazione del “fondo minuta
manutenzione” (pp. 35 e s.); 2) il secondo motivo di ricorso è manifestamente infondato in
quanto, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, il peculato d’uso è configurabile
solo in relazione a cose di specie e non su quelle fungibili, restituibili solo nel tantundem, per le
quali si ha sempre peculato ordinario (ex multis, da ultimo, Sez. 6, 1.4.2014, Fecondo); 3) il
terzo motivo di ricorso sollecita una non consentita, diversa valutazione del compendio
probatorio in presenza di motivazione del tutto adeguata e immune da vizi logici e giuridici,
dotata di forza scardinante, esercitata da plurimi e concludenti elementi di prova rispetto alla
pronuncia assolutoria di primo grado (pp. 39-45);
che all’inammissibilità del ricorso conseguono le pronunce di cui all’art. 616 c.p.p. e la
condanna del ricorrente a rifondere alla parte civile le maggiori spese sostenute nel presente
grado di giudizio.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali
e della somma di Euro 1000 alla cassa delle ammende, nonché a rifondere alla parte civile
Poste Italiane S.p.a. le spese sostenute nel grado, che liquida in euro 3.500,00 oltre I.V.A. e
C.P.A.

Così deciso in Roma il 4 giugno 2015.

raccomandate “anomale” siano confluiti nella cassa relativa ai valori bollati – pp. 21/29); b) la

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