Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 2595 del 14/12/2015


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 2595 Anno 2016
Presidente: BIANCHI LUISA
Relatore: BELLINI UGO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
MAGRO FRANCESCO PINO N. IL 05/07/1985
MAGRO GIANMARIA N. IL 14/12/1977
avverso l’ordinanza n. 117/2013 CORTE APPELLO di MILANO, del
11/11/2014
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. UGO BELLINI;
e 64,
lette/sentite le conclusioni del PG Dott.

e <-(:(...c.„ - e a.,,,etu Udit difensor Avv.; (La)._ o roi' Gkg-2,“ ,• I cp. ( Data Udienza: 14/12/2015 RITENUTO IN FATTO 1. La Corte di Appello di Milano con la ordinanza impugnata, in accoglimento del ricorso per ingiusta detenzione proposto da Magro Francesco Pino Cristian e da Magro Gianmaria in ragione della detenzione subita in stato di custodia cautelare in carcere dalla data del 29.4.2011, allorchè erano tratti in arresto per rispondere di ipotesi di rapina consumata e rapina tentata, detenzione protrattasi fino alla data e immediatamente scarcerati, riconosciuta ipotesi di colpa lieve nella condotta dei ricorrenti i quali avevano concorso a determinare la denuncia delle persone offese essendosi allontanati dopo avere ricevuto da questi modeste somme di denaro per l'acquisto di bevande alcoliche e fumo assumendo di avere ricevuto larvate minacce, era a riconoscere loro l'importo di C 13.680,00 ciascuno, somma decurtata al 50 °A) in ragione dei profili di colpa suddetta. 2.1 Avverso tale provvedimento hanno proposto ricorso per Cassazione, a mezzo del proprio difensore di fiducia, Magro Francesco e Magro Gianmaria denunciando carenza di motivazione sia in ragione della ritenuta colpa lieve in capo ai ricorrenti non supportata da iter motivazionale idoneo, sia con riferimento ai criteri utilizzati per la liquidazione dell'indennità la quale era stata inspiegabilmente sottoposta a due riduzione, una nella misura del 50 % per la ritenuta colpa concorrente dei ricorrenti, la seconda sull'importo liquidato secondo il criterio aritmetico tabellare tratto dalla durata della misura ridotto percentualmente, in ragione della omessa dimostrazione della ricorrenza di danni patrimoniali ulteriori. Chiedeva annullamento della ordinanza impugnata. Il sost. Procuratore generale concludeva per l'accoglimento del ricorso introduttivo in quanto il giudice non avrebbe adeguatamente delineato i criteri ai quali si era attenuto per enucleare i profili della colpa lieve riconosciuta in capo agli istanti. RITENUTO IN DIRITTO Il ricorso è fondato limitatamente ai profili relativi al quantum debeatur nei termini di seguito precisati. 1.Quanto al primo motivo di ricorso, relativo al riconoscimento in capo ai ricorrenti di profili di colpa lieve incidenti sulla misura della riparazione, va premesso che è principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte Suprema che nei procedimenti per riparazione per ingiusta detenzione la cognizione del giudice di legittimità deve intendersi limitata alla sola legittimità del provvedimento impugnato, anche sotto l'aspetto della congruità e logicità della motivazione, e non può investire naturalmente il merito. Ciò ai sensi del combinato disposto di cui del 27.9.2011 allorquando erano assolti dal Tribunale di Monza dalle accuse ascritte all'articolo 646 secondo capoverso cod. proc. pen., da ritenersi applicabile per il richiamo contenuto nel terzo comma dell'articolo 315 cod. proc. pen. L'art. 646 c.p.p. stabilisce semplicemente che avverso il provvedimento della Corte di Appello, gli interessati possono ricorrere per Cassazione: conseguentemente tale rimedio rimane contenuto nel perimetro tracciato dai motivi di ricorso enunciati dall'art. 606 cod. proc. pen., con tutte le limitazioni in essi previste (cfr. ex multis, sez. 4, n. 542 del 21.4.1994, Bollato, rv. 198097, che, affermando tale principio, ha materia, col quale non si deduceva violazione di legge, ma semplicemente ingiustizia della decisione con istanza di diretta attribuzione di equa somma da parte della Corte). L'art. 314 cod. pen., com'è noto, prevede al primo comma che "chi è stato prosciolto con sentenza irrevocabile perché il fatto non sussiste, per non aver commesso il fatto, perché il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato, ha diritto a un'equa riparazione per la custodia cautelare subita, qualora non vi abbia dato o concorso a darvi causa per dolo o colpa grave". In tema di equa riparazione per ingiusta detenzione, dunque, rappresenta causa impeditiva all'affermazione del diritto alla riparazione l'avere l'interessato dato causa, per dolo o per colpa grave, all'instaurazione o al mantenimento della custodia cautelare (art. 314, comma 1, ultima parte, cod. proc. pen.); l'assenza di tale causa, costituendo condizione necessaria al sorgere del diritto all'equa riparazione, deve essere accertata d'ufficio dal giudice, indipendentemente dalla deduzione della parte (cfr. sul punto sez. 4, n. 34181 del 5.11.2002, Guadagno, rv. 226004). 2. A tal proposito le Sezioni Unite di questa Corte hanno da tempo precisato che, in tema di presupposti per la riparazione dell'ingiusta detenzione, deve intendersi dolosa - e conseguentemente idonea ad escludere la sussistenza del diritto all'indennizzo, ai sensi dell'art. 314, primo comma, cod. proc. pen. - non solo la condotta volta alla realizzazione di un evento voluto e rappresentato nei suoi termini fattuali, sia esso confliggente o meno con una prescrizione di legge, ma anche la condotta consapevole e volontaria i cui esiti, valutati dal giudice del procedimento riparatorio con il parametro dell' "id quod plerumque accidit" secondo le regole di esperienza comunemente accettate, siano tali da creare una situazione di allarme sociale e di doveroso intervento dell'autorità giudiziaria a tutela della comunità, ragionevolmente ritenuta in pericolo (Sez. Unite n. 43 del 13.12.1995 dep. il 9.2.1996, Sarnataro ed altri, rv. 203637). 3. Poiché inoltre, la nozione di colpa è data dall'art. 43 cod. pen., deve ritenersi ostativa al riconoscimento del diritto alla riparazione, ai sensi del predetto primo comma dell'art. 314 cod. proc. pen., quella condotta che, pur tesa ad altri risultati, ponga in essere, per evidente, macroscopica negligenza, imprudenza, dichiarato inammissibile il ricorso avverso ordinanza del giudice di merito in trascuratezza, inosservanza di leggi, regolamenti o norme disciplinari, una situazione tale da costituire una non voluta, ma prevedibile, ragione di intervento dell'autorità giudiziaria che si sostanzi nell'adozione di un provvedimento restrittivo della libertà personale o nella mancata revoca di uno già emesso. In altra successiva condivisibile pronuncia è stato affermato che il diritto alla riparazione per l'ingiusta detenzione non spetta se l'interessato ha tenuto consapevolmente e volontariamente una condotta tale da creare una situazione di doveroso intervento evidente negligenza, imprudenza o trascuratezza o inosservanza di leggi o regolamenti o norme disciplinari, una situazione tale da costituire una prevedibile ragione di intervento dell'autorità giudiziaria che si sostanzi nell'adozione di un provvedimento restrittivo della libertà personale o nella mancata revoca di uno già emesso (sez. 4, del 23.10.2008, n. 43302 Malsano, rv. 242034). 4. Peraltro se da una lato solo il dolo o la colpa grave dell'istante costituiscono cause ostative al sorgere del diritto all'indennizzo, ciò non toglie che il giudice possa valutare, ai fini della riduzione della sua entità, eventuali condotte del prevenuto che abbiano comunque concorso a determinare lo stato di detenzione e che siano caratterizzate da colpa lieve Cfr.Cass. sez.IV, 20.5.2008 n.27529;13.12.2011 n.2430; 29.1.2014 n.21575) sulla base degli ordinari principi civilistici afferenti la riduzione del danno in presenza del fatto colposo del creditore e del danneggiato ai sensi degli art.1227 2056 c.c., dal momento che essendo l'istituto della riparazione della ingiusta detenzione fondato su principi solidaristici indennitari che peraltro trovano il limite del fatto gravemente colposo del ricorrente che abbia dato causa alla privazione della libertà personale, un autonomo ambito di intervento deve altresì essere riconosciuto a quel comportamento imprudente del privato, che pur non caratterizzato da gravissima negligenza e inescusabile imprudenza, abbia comunque concorso, per lievi addebiti di responsabilità, a porre le premesse del provvedimento restrittivo, riflettendosi sull'ammontare dell'indennizzo. 5. A tali premesse appare essersi conformato il giudice della riparazione ponendo in rilievo il comportamento non del tutto esente da censure degli odierni ricorrenti i quali, in un ambito spazio temporale apparentemente ludico e giocoso, si allontanavano dal luogo ove si erano intrattenuti a cantare con altri giovani che si trovavano in stato di palese ebbrezza alcolica con il denaro che era stato da essi consegnato, in una prospettiva dell'acquisto di altro alcool e forse di fumo, senza che tale denaro venisse restituito avevano ingenerato nei ragazzi denuncianti la convinzione che se ne fossero appropriati, anche mediante velate minacce. La ambigua situazione realizzatasi e, soprattutto lo stato di grave alterazione psico fisica dei giovani che li rendeva non in grado di percepire al meglio l'evolversi della dell'autorità giudiziaria o se ha tenuto una condotta che abbia posto in essere, per situazione, in uno con le finalità non del tutto cristalline cui il denaro doveva essere impiegato e l'apparente mancato adempimento al suddetto mandato, avrebbero imposto ai ricorrenti una maggiore prudenza e un immediato chiarimento e costituiscono certamente elementi di addebito in capo agli istanti che contribuirono a ingenerare nei giovani la rappresentazione di avere subito un torto e di dovere fare intervenire le forze dell'ordine per ottenerne ristoro, così da porsi in una prospettiva agevolatrice della cautela successivamente applicata. questa Corte ha avuto modo di affermare che, fermo restando il tetto massimo fissato dalla legge in Euro 516.456,90, il giudice della riparazione può discostarsi dall'ammontare giornaliero di Euro 235,82 (Euro 117,91 per gli arresti domiciliari, da ultimo, Cass., Sez. 4^, n. 34664 del 10/6/2010, Rv. 248078), valorizzando lo specifico pregiudizio, di natura patrimoniale e non patrimoniale, derivante dalla restrizione della libertà, dimostratasi ingiusta (cfr. fra le tante, Cass., Sez. 4^, del 17/11/2011 n. 10123, Rv. 252026; 6.10.2009 n.40906; 25/2/2010, 10690, Rv. 246425). Lo scostamento, tuttavia, deve trovare giustificazione in particolari specifiche ripercussioni in termini negativi sotto il versante patrimoniale, familiare, della vita di relazione, della pubblica ripercussione dell'evento, che non risulterebbero adeguatamente soddisfatte, quantomeno in termini di equo ristoro in una valutazione aritmetica ponderata come quella agganciata al valore massimo indennizzabile diviso per la estrema durata della detenzione riconosciuta dalla normativa penai processualistica. 7. Sotto questo profilo è stato affermato che affinchè l'equità non tracimi in arbitrio incontrollabile è necessario che il giudice individui in maniera puntuale e corretta i parametri specifici di riferimento, la valorizzazione dei quali imponga rilevare un surplus di effetto lesivo da atto legittimo (la misura cautelare) rispetto alle gravi, ma ricorrenti e, per così dire, fisiologiche, conseguenze derivanti dalla privazione della libertà, sia quale atto limitativo della sfera più intima e garantita del soggetto, che come alone di discredito sociale (sez.IV, 1.4.2014 n.21077 Silletti). Invero il giudice nel fare ricorso alla liquidazione equitativa, deve sintetizzare i criteri di calcolo utilizzati ed esprimere la valutazione fattane ai fini della decisione, non potendo il giudizio di equità risolversi nel merum arbitrium, ma dovendo invece essere sorretto da una giustificazione adeguata e logicamente congrua, così assoggettandosi alla possibilità del controllo da parte dei destinatari e dei consociati (sez.III, 1.4.2014 n.29965). 8. A detti principi, nella sostanza, non pare essersi attenuta la Corte di Appello di Milano la quale ha applicato misure unitarie indennitarie, determinate su base aritmetica inferiori ai valori, /Che pure mostrava di conoscere, operando una doppia riduzione, la prima collegata alla percentuale di colpa lieve riconosciuta in capo ai 6. Deve peraltro trovare accoglimento il secondo motivo di ricorso. Condivisamente richiedenti, valutata nella misura del 50 %,omettendo del tutto di dare contezza dei criteri utilizzati per pervenire ad una tale riduzione, e la seconda imposta dalla circostanza che, non essendo stati riconosciute ulteriori voci di pregiudizio patrimoniale, personale e familiare, il criterio aritmetico utilizzato avrebbe dovuto essere decurtato (nella specie in misura pari a circa il 25 %), in quanto lo stesso compendiava il massimo indennizzabile e conseguentemente la mancata allegazione, ovvero la omessa dimostrazione di ulteriori profili di danno (in aggiunta riduzione percentuale. La motivazione sul punto è evidentemente errata nella parte in cui si omette di indicare da un lato i criteri utilizzati per l'abbattimento, escludendo voci di pregiudizio personale, patrimoniale, sociale e familiare (perdita del reddito da attività lavorativa, danno da lesione della reputazione, danno non patrimoniale per le sofferenze morali e psicologiche subite nel corso della detenzione) e dall'altra si afferma che tali profili di pregiudizio risultano assorbiti nel danno da detenzione, liquidato sulla base del criterio aritmetico, a fronte dell'insegnamento di questa corte che consente di ritenere tali profili di pregiudizio, in accordo alla lettera di cui all'art. 643 I comma c.p.p., autonomamente indennizzabili attraverso una integrazione del criterio di calcolo aritmetico (sez.IV, 6.10.2009 n.40906 Mazzarotto, 21.6.2005 n.30317, Bruzzano; sez.III, 5.12.2013 n.3912 D'Adamo; sez.III 1.4.2014 .29965), laddove la stessa S.C. a Sezioni Unite, peraltro richiamata dalla Corte di Appello di Milano, se ha indicato la somma di Euro 516.456,90 quale tetto massimo invalicabile ha riconosciuto la discrezionalità del giudice di gestire lo spazio riconosciutogli dalla legge come ritiene più consono alle particolari caratteristiche della vicenda, procedendo, ove gli sembri che ciò possa produrre un effetto più favorevole e remunerativo, specie sul piano morale, per il richiedente, alla ideale divisione del "fondo" disponibile in più parti, in guisa da soddisfare, nel conteggio conclusivo, le diverse "voci di danno" elencate dall'art. 643, c.p.p. (sez.U, 9.5.2001 n.24287) e d'altro canto la giurisprudenza sopra richiamata riconosce al giudice la discrezionalità di integrare il criterio aritmetico, aumentando o riducendo l'indennizzo che spetterebbe sulla base del criterio nummario ma fornendo specifica contezza delle specificità, positive o negative che si intendono valorizzare, laddove nel caso in specie il giudice della riparazione ha proceduto ad una riduzione senza valorizzare alcuna particolare peculiarietà negativa in capo ai ricorrenti ulteriore alla colpa lieve ad essi riconosciuto, ma soltanto in ragione della mancata allegazione di un dato positivo, rappresentato dalla ricorrenza di ulteriori profili di pregiudizio patrimoniale personale e familiare, la cui ricorrenza semmai avrebbe dovuto giustificare la integrazione del ristoro risultante dalla applicazione del criterio aritmetico fondato sulla mera durata del vincolo. a quello rappresentato dalla durata della custodia), costituiva motivo di ulteriore 8. La ordinanza impugnata deve pertanto essere annullata con rimessione degli atti ad altra sezione della Corte di Appello la quale procederà ad un nuovo calcolo della indennità per la riparazione della ingiusta detenzione sofferta dai ricorrenti Magro Francesco Pino e Magro Gianmaria dando motivata spiegazione dei criteri specificamente adottati per quantificare il pregiudizio sia con riferimento alla percentuale di riduzione determinata dal riconoscimento della colpa lieve, sia con riferimento alla ulteriore riduzione applicata, sul presupposto, erroneamente criterio aritmetico indennitario di base, sia già comprensivo di tutte le altre voci di pregiudizio astrattamente indennizzabili. P.Q.M. Annulla la ordinanza impugnata con rinvio per nuovo esame alla Corte di Appello di Milano cui rimette anche la determinazione tra le parti delle spese di questo giudizio. Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 14.12.2015 ritenuto conforme alla giurisprudenza di questa Suprema Corte, che il risultato del

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