Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 25945 del 08/04/2015


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 25945 Anno 2015
Presidente: PAOLONI GIACOMO
Relatore: MOGINI STEFANO

SENTENZA
sul ricorso proposto da
RITORTO SALVATORE, nato a Locri (RC) il 19.1.1979
Avverso la sentenza pronunciata nei suoi confronti il 5.6.2014 dalla Corte d’Appello di
Trieste;
visti gli atti, la sentenza impugnata e il ricorso;
udita la relazione del consigliere Stefano Mogini;
udite le conclusioni del sostituto procuratore generale Roberto Aniello, che ha chiesto il
rigetto del ricorso;

PREMESSO che con la sentenza in epigrafe la Corte d’Appello di Trieste, sull’appello del
pubblico ministero e in riforma di quella pronunciata il 28.2.2012 dal Tribunale di Tolmezzo in
composizione monocratica, ha condannato Ritorto Salvatore alla pena di dieci mesi di
reclusione in ordine ai reati, ritenuti avvinti dal vincolo della continuazione, di cui all’art. 336
c.p. a lui contestati al capo a) dell’imputazione;

RILEVATO che Salvatore Ritorto ricorre per mezzo del suo difensore di fiducia deducendo:
1) violazione dell’art. 336 c.p. e conseguenti vizi di motivazione, per avere Corte territoriale
sovvertito la sentenza assolutoria di primo grado nonostante le condotte accertate
consistessero nell’espressione di sentimenti ostili nei confronti degli agenti della Polizia

Data Udienza: 08/04/2015

Penitenziaria operanti e del direttore del carcere di Tolmezzo, ma senza che ciò fosse
accompagnato dalla specifica prospettazione di un danno ingiusto e finalizzato a costringerli
alla commissione di un atto contrario ai doveri d’ufficio o ad omettere un atto dell’ufficio;

RITENUTO che il ricorso è infondato, in quanto la sentenza impugnata giunge alla
incontestabile dimostrazione della sussistenza nel caso di specie di tutti gli elementi costitutivi
dei reati contestati secondo un percorso argomentativo del tutto adeguato, esauriente e
immune da vizi logici o giuridici rilevanti in questa sede;
che in particolare la Corte territoriale ricava correttamente dal tenore delle frasi proferite dal

Giudiziaria operanti e della direttrice del carcere di ToInnezzo la loro valenza
inequivocabilmente minacciosa, nonché la loro idoneità a coartare la volontà di quei pubblici
ufficiali per costringerli, come espressamente richiesto dallo stesso ricorrente, a non compiere,
quantomeno con l’abituale frequenza, i controlli d’istituto, dovendo la valenza minacciosa e la
capacità intinnidatrice di quelle frasi essere parametrate non già alla sensibilità personale delle
vittime, bensì alla oggettiva idoneità ad influire sulla libertà di determinazione dei pubblici
ufficiali nel gestire i controlli sulle celle e lo scambio di beni tra i detenuti (p. 6 e s.);
che al rigetto del ricorso consegue ai sensi dell’art. 619 c.p.p. la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali;
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma 1’8 aprile 2015.

ricorrente – soggetto detenuto in regime di “41 bis” – nei confronti degli agenti di Polizia

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