Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 25938 del 05/06/2015
Penale Sent. Sez. 4 Num. 25938 Anno 2015
Presidente: ZECCA GAETANINO
Relatore: MARINELLI FELICETTA
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
SARACINO ANTONIO N. IL 15/11/1976
avverso l’ordinanza n. 71/2015 TRIB. LIBERTA’ di LECCE, del
06/02/2015
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. FELICETTA
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MARINELLI;
~sentite le conclusioni del PG Dott. elalue2S2._ ro-4- , Q\ ci452–tic
(32.4.A’
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e,c cc) c.„..).Juit' olid ? Data Udienza: 05/06/2015 Il Tribunale del Riesame di Lecce, con ordinanza del 10.02.2015,
rigettava l'istanza di riesame proposta nell'interesse di
Saracino Antonio avverso l'ordinanza del G.I.P. del Tribunale
di Brindisi del 14 gennaio 2015 che aveva applicato nei suoi
confronti la misura cautelare degli arresti domiciliari in
ordine al reato di cessione, con più azioni esecutive di un
identico disegno criminoso, di sostanza stupefacente di tipo
hashish a Caputo Adriano e confermava l'impugnata ordinanza.
Avverso la sopraindicata ordinanza del Tribunale del Riesame di
Lecce presentava
ricorso per Cassazione Saracino Antonio a
mezzo del suo difensore e concludeva chiedendone l'annullamento
e censurandola per i seguenti motivi:
1)Violazione dell'art.606 lett.b) ed e) c.p.p. in relazione agli
articoli 273 c.p.p. ed all'art.73 d.PR. 309/90 (capo di
imputazione contrassegnato con la lettera r). Ad avviso della
difesa erroneamente il Tribunale aveva ritenuto sussistente il
requisito della gravità indiziaria soltanto sulla base di due
conversazioni intercettate, la numero 645 e la numero 838 che
non documenterebbero alcuna attività di cessione o spaccio di
sostanza stupefacente di tipo marijuana. Non risultavano infatti
altre conversazioni intercettate con presunti acquirenti, né il
Saracino era stato mai visto o intercettato mentre spacciava
droga o riceveva danaro da un soggetto acquirente, né mai aveva
avuto la disponibilità di mezzi o strumenti che potessero essere
utili all'attuazione della condotta delittuosa di cui all'art.73
d.PR.309/90.
2)Art.606 c.p.p. lett.c) ed e) in relazione all'articolo 274
lett.c) c.p.p.. Sosteneva la difesa che era carente la
motivazione del provvedimento impugnato con riferimento alla
sussistenza della esigenza cautelare della probabilità di
reiterazione di fatti analoghi a quello per cui si procede. Sia
l'ordinanza di custodia cautelare, sia il provvedimento
impugnato avevano infatti affermato a fondamento della ritenuta
sussistenza della sopra indicata esigenza cautelare che il
Saracino aveva minacciato il Caputo per ottenere il pagamento di
un debito (circostanza questa che non sarebbe stata riscontrata)
e che l'odierno ricorrente aveva precedenti condanne per reati
contro il patrimonio, senza peraltro fare alcun riferimento alla
necessità di evitare incontri tra il Saracino ed altri soggetti
(presunti acquirenti). Quindi, secondo la difesa, il
provvedimento impugnato non aveva spiegato quali fossero gli
elementi concreti e specificatamente indicabili dai quali si
potesse evincere un pericolo di reiterazione, non potendosi
ravvisare tali elementi né nell'intercettazione tra il Saracino
e il Caputo, né tra altri soggetti, atteso che gli altri
indagati si limitavano, nelle loro conversazioni, a fissare
appuntamenti tra di loro, senza mai menzionare il nome
dell'odierno ricorrente. Ritenuto in fatto r
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LA CORTE DI CASSAZIONE che i proposti motivi di
ricorso non sono fondati.
Per quanto attiene al primo motivo si osserva che il
provvedimento del Tribunale del riesame è adeguatamente e
congruamente motivato sotto il profilo della sussistenza del
requisito della gravità indiziaria.
I giudici del Tribunale del riesame hanno infatti evidenziato il
tenore di alcune conversazioni telefoniche intercettate,
dettagliatamente indicate, da cui emergeva che i dialoghi
riportati avevano ad oggetto cessioni di sostanze stupefacenti.
In particolare veniva indicata la conversazione n.645 tra
l'odierno ricorrente Saracino Antonio e Caputo Adriano in cui si
poteva arguire che i due, pur facendo attenzione a non tenere un
linguaggio troppo esplicito, facevano riferimento alla
compravendita di sostanza stupefacente ceduta da Saracino a
Caputo e a sua volta destinata alla cessione a terzi. Venivano
poi menzionate le conversazioni telefoniche n.808 del 5.06.2012
e 838 del 6.06.2012 in cui Saracino Antonio tornava ad
interloquire con Caputo. Nella prima, in particolare, l'odierno
ricorrente minacciava esplicitamente il Caputo, intimandogli di
corrispondergli quanto dovuto entro il giorno successivo, e ciò
con riferimento alla conversazione n.645 del 2.06.2012 in cui
Caputo aveva promesso a Saracino di saldare il debito assunto
nei suoi confronti il giorno immediatamente successivo alla
cessione in suo favore di sostanza stupefacente da parte dello
stesso Saracino Antonio. I giudici del Tribunale del riesame
rilevavano pertanto che l'insorgere di una posizione debitoria
in capo al Caputo a beneficio dell'indagato confermava la
prospettazione accusatoria, secondo cui sarebbe avvenuta una
cessione di sostanza stupefacente consegnata da Saracino a
Caputo, con la correlativa assunzione dell'obbligo da parte di
quest'ultimo di corrispondere il prezzo pattuito entro il giorno
successivo alla materiale consegna della sostanza.
Infondato è poi il secondo motivo di ricorso a proposito della
ritenuta insussistenza di esigenze cautelari rappresentate dal
pericolo di reiterazione di condotte illecite della stessa
indole di quelle per cui si procede.
Tanto premesso si osserva che nelle more del giudizio di
cassazione è entrata in vigore, la legge 16/4/2015, n. 47,
pubblicata sulla G.U.23/4/2015, avente ad oggetto «modifiche
al codice di procedura penale in materia di misure cautelari
personali. Modifiche alla legge 26 luglio 1975, n. 354, in
materia di visita a persone affette da handicap in situazione
di gravità».
In passato le S.U. di questa Corte (sentenza n. 27919 del
31/3/2011, depositata il 14/7/2011), innovando un difforme
consolidato orientamento, hanno statuito che in assenza di una
disposizione transitoria, la misura cautelare in corso di
esecuzione (disposta prima dell'entrata in vigore della Considerato in diritto novella che, all'epoca, ebbe ad ampliare, modificando il comma
3 dell'art. 275, cod. proc. pen., il catalogo dei reati per i
quali vale la presunzione legale di adeguatezza della sola
custodia carceraria) non poteva subire modifiche unicamente per
effetto della nuova e più sfavorevole disposizione.
Le ragioni fondamentali di una tale condivisa impostazione
riposano sulla considerazione, che pur non essendo
«in
discussione il canone tempus regit actum utilizzato», seguito
dalle pronunce che affermavano opposto orientamento, «L'antica
regola costituisce la traduzione condensata dell'art. 11 delle
preleggi. Essa enuncia che la nuova norma disciplina il
processo dal momento della sua entrata in vigore; che gli atti
compiuti nel vigore della legge previgente restano validi; che
la nuova disciplina, quindi, non ha effetto retroattivo.
L'indicato canone corrisponde ad esigenze di certezza,
razionalità, logicità che sono alla radice della funzione
regolatrice della norma giuridica. Esso, proprio per tale sua
connotazione, è particolarmente congeniale alla disciplina del
processo penale. L'idea stessa di processo implica l'incedere
attraverso il susseguirsi atomistico, puntiforme, di molti atti
che compongono, infine, la costruzione. Tale edificazione
rischierebbe di crollare dalle radici come un castello di carte
se la cornice normativa che ha regolato un atto potesse essere
messa in discussione successivamente al suo compimento, per
effetto di una nuova norma».
In quella sentenza si chiarì, peraltro, che se la soluzione del
problema appariva semplice applicando il brocardo di cui si è
detto in presenza di atti aventi effetto istantaneo, difficoltà
sorgevano «quando il compimento dell'atto, o lo spatium
deliberandi o ancora gli effetti si protraggono, si estendano
nel tempo: un tempo durante il quale la norma regolatrice muta.
Basti pensare alle norme sulla competenza, sulle impugnazioni,
sulla disciplina delle prove,
sulle misure cautelari,
appunto». Proseguivano le S.U. ponendo la distinzione fra
momento genetico della misura cautelare e continua verifica
circa il permanere delle condizioni che la giustificano.
La fase genetica non può che rimanere retta e regolata dalla
legge del tempo. Per converso,
«si impone una continua
verifica circa il permanere delle condizioni che hanno
determinato la limitazione della libertà personale e la scelta
di una determinata misura cautelare. La materia è regolata
dall'art. 299 cod. proc. pen. Il codificatore ha opportunamente
racchiuso in un unico contesto normativo l'aspetto per così
dire dinamico della restrizione di libertà; e quindi le diverse
ipotesi di revoca e sostituzione delle misure cautelari in
relazione al mutare della situazione di fatto e di diritto nel
corso del procedimento. La finalità cui la disciplina con tutta
evidenza corrisponde è quella di assicurare che in ogni momento
la restrizione sia conforme ai principi di adeguatezza,
proporzionalità».
Alla luce di quanto sopra esposto, che, ovviamente, rappresenta
un enunciato generale, che non muta ove il sopravvenire della nuova norma possa assumere caratteri di favore per l'indagato,
pertanto, in questa sede non possono trovare applicazione le
innovazioni introdotte con la cit. l. n. 47, incidenti sulla
fase genetica della misura.
Tanto premesso si osserva che, comunque, nella fattispecie che
ci occupa, per quanto attiene alle condizioni legittimanti la
sussistenza dell'esigenza cautelare della probabilità di
reiterazione di fatti della stessa indole rispetto a quello per
cui si procede previste nella nuova normativa di cui sopra, il
provvedimento impugnato è congruamente e adeguatamente
motivato.
Il Tribunale del riesame a tal proposito ha infatti evidenziato
il curriculum criminale dell'odierno ricorrente che annovera
diversi precedenti, sebbene per reati contro il patrimonio e
non per reati attinenti al narcotraffico. Sul punto è stato
rilevato che sia i reati commessi in passato, sia le condotte
criminose oggetto di contestazione nell'ambito del presente
procedimento sono stati determinati dal medesimo "movente",
ossia dalla necessità del Saracino di procurarsi, chiaramente
in maniera illecita, le risorse economico-finanziarie per la
propria sussistenza. Veniva riportata a tal proposito recente
giurisprudenza di questa Corte secondo cui ricorre il requisito
di "identità di indole" non solo nell'ipotesi di reati che
violano la stessa disposizione di legge, ma anche quando le
diverse fattispecie di illecito penale presentano profili di
omogeneità sul piano oggettivo in relazione al bene tutelato e
alle modalità esecutive, ovvero sul piano soggettivo in
relazione ai motivi a delinquere che hanno determinato l'azione
criminosa. I giudici del Tribunale del riesame hanno infine
posto in rilievo la peculiare determinazione a delinquere
dimostrata dal Saracino che non aveva esitato a minacciare
esplicitamente Caputo Adriano al fine di ottenere
sollecitamente la corresponsione di quanto dovutogli per
l'intervenuta cessione di sostanze stupefacenti.
Il proposto ricorso deve essere, pertanto, rigettato e il
ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali.
PQM Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali. Così deciso in Roma il 5.06.2015 4,