Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 25937 del 05/06/2015


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Penale Sent. Sez. 4 Num. 25937 Anno 2015
Presidente: ZECCA GAETANINO
Relatore: MARINELLI FELICETTA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
RAMONDO ROSARIO N. IL 06/10/1974
CUOMO LOREDANA N. IL 22/01/1976
avverso l’ordinanza n. 596/2015 TRIB. LIBERTA’ di NAPOLI, del
10/02/2015
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. FELICETTA
MARINELLI;
hgte/sentite le conclusioni del PG Dott.
(
eet-29-“-e-4
cfLe-11-d
• QCLUQYv>

Uditi difensor Avv.

CUA26

Fa32_

cyt9-Q

CL2- )4c\
tokU 2,ecov>rs”,

iJarre-

Data Udienza: 05/06/2015

Il Tribunale del Riesame di Napoli, con ordinanza del
10.02.2015, rigettava le istanze di riesame proposte
nell’interesse di Ramondo Rosario e Cuomo Loredana avverso
l’ordinanza del G.I.P. del Tribunale della stessa città del 16
dicembre 2014 che aveva applicato nei confronti del Ramondo la
misura cautelare della custodia in carcere e nei confronti della
Cuomo quella degli arresti domiciliari in ordine al reato di
detenzione al fine di spaccio di sostanza stupefacente aggravata
dall’art.7 della legge 203/91 (capo 11 della rubrica) e
confermava l’impugnata ordinanza.
Avverso la sopraindicata ordinanza del Tribunale del Riesame di
Napoli presentavano ricorso per Cassazione Ramondo Rosario e
Cuomo Loredana a mezzo del loro difensore e concludevano
chiedendone l’annullamento e censurandola per i seguenti motivi:
1)Violazione dell’art.606 lett.b), c) ed e) c.p.p. in relazione
all’art.309 comma 9, 274 lett.c), 275 commi 1 e 3 c.p.p.,
all’art.73 commi 1 e 6 ed all’art.73 comma 5 d.PR. 309/90 ed
all’art.59 comma 2 e 70 c.p. con rferimento all’aggravante di
cui all’art.7 legge 203/91. Ad avviso della difesa non
sussisteva il requisito della gravità indiziaria in
considerazione del fatto che gli indagati, con dichiarazioni
convergenti, avevano ammesso di essere i soggetti a cui si
riferivano le conversazioni telefoniche intercettate e di avere
acquistato modiche quantità di cocaina, ma la sostanza
stupefacente era destinata al loro uso personale, come stava a
dimostrare il modesto ammontare del loro debito (trecento euro)
di cui si faceva cenno nelle conversazioni intercettate. Tali
dichiarazioni, che comunque dimostrerebbero la sussistenza
dell’ipotesi di cui al quinto comma dell’art.73 d.PR. 309/90,
secondo la difesa, dovranno incidere sul trattamento
sanzionatorio e avrebbero dovuto avere incidenza sulle esigenze
cautelari, atteso che ai due indagati è stato contestato un
unico episodio risalente al 2011.
2) )Insussistenza a livello indiziario dell’aggravante dell’art.7
della legge 203/1991. Secondo la difesa erroneamente il
Tribunale aveva ritenuto che i due ricorrenti non potessero
ignorare il collegamento dell’attività di spaccio con una
finalità/modalità mafiosa, ritenendo che comunque la loro
ipotetica ignoranza avrebbe dovuto essere qualificata come
colpevole,”in quanto i loro conclamati rapporti con esponenti
del clan Falanga (in primis con Pompeo Aniello) avrebbero
imposto che essi si informassero sulla caratura criminale dei
loro interlocutori”. Secondo la difesa sul punto la motivazione
del provvedimento impugnato sarebbe comunque contraddittoria in
quanto, da un lato, secondo il Tribunale del riesame, i
ricorrenti avrebbero dovuto effettuare una sorta di esame del
loro fornitore di stupefacenti per accertarne l’indipendenza
dalla criminalità organizzata locale, dall’altro lo stesso
Tribunale riteneva impossibile tale accertamento, dal momento

Ritenuto in fatto

che nell’area in oggetto il clan Falanga aveva monopolizzato
tale illecito mercato. In conclusione, secondo la difesa, il
Tribunale del riesame avrebbe introdotto una sorta di aggravante
“territoriale” oggettiva per tutte le ipotesi anche minime di
cessione di sostanza stupefacente nel territorio che si assume
controllato dai Falanga.

LA CORTE DI CASSAZIONE che i proposti motivi di
OSSERVA
ricorso non sono fondati.
Per quanto attiene al primo motivo si osserva che il
provvedimento del Tribunale del riesame è adeguatamente e
congruamente motivato sotto il profilo della sussistenza del
requisito della gravità indiziaria.
I giudici del Tribunale del riesame hanno infatti evidenziato il
tenore di alcune conversazioni telefoniche intercettate,
dettagliatamente indicate, da cui emergeva che lo stupefacente
acquistato dai coniugi Ramondo era destinato alla successiva
cessione a terzi e non già, come sostenuto dalla difesa dei
ricorrenti, al loro consumo personale. Il contenuto di tali
conversazioni forniva riscontro alle concordi dichiarazioni dei
collaboratori di giustizia, che avevano affermato che i coniugi
Ramondo erano spacciatori al dettaglio stabilmente inseriti
nella filiera del gruppo facente capo a Pompeo Aniello.
I giudici del Tribunale del riesame ritenevano pertanto che il
contesto criminale in cui si erano svolti i fatti in
contestazione impediva di inquadrare il fatto, come richiesto
dalla difesa, nel comma quinto dell’art.73 d.PR. 309/90.
Infondato è poi il secondo motivo di ricorso che fa riferimento
alla ritenuta insussistenza dell’aggravante prevista dall’art.7
della legge 203/1991.
A tal proposito questa Corte non ha mancato di sottolineare
(cfr, tra le altre, Cass., sez.2, sent. N.28861 del 14.06.2013,
Rv.256470) che ai fini della configurabilità, nella condotta
criminosa, della circostanza aggravante prevista dal D.L. 13
maggio 1991, n.152, art.7, convertito in legge 12 luglio 1991,
n.203 (aver commesso il fatto avvalendosi delle condizioni
previste dall’art.416 bis c.p., ovvero al fine di agevolare
l’attività delle associazioni previste dallo stesso articolo),
non è sufficiente il mero collegamento con contesti di
criminalità organizzata o la “caratura mafiosa” degli autori
del fatto, occorrendo, invece, l’effettivo utilizzo del metodo
mafioso.
Tanto premesso si osserva che i giudici del Tribunale del
riesame, come già aveva fatto precedentemente il G.I.P., hanno
osservato che il contesto criminale di cui sopra induceva a
ritenere correttamente contestata la predetta aggravante. Veniva
infatti rilevato che la circostanza che la gestione del traffico
di stupefacenti fosse finalizzata a far confluire ulteriori
guadagni nelle casse del clan emergeva innanzitutto dalle
dichiarazioni rese dallo stesso Falanga Domenico e dalla

Considerato in diritto

Quanto alla sussistenza delle esigenze cautelari, si osserva
che nelle more del giudizio di cassazione è entrata in vigore
la legge 16/4/2015, n. 47, pubblicata sulla G.U.23/4/2015,
avente ad oggetto «modifiche al codice di procedura penale in
materia di misure cautelari personali. Modifiche alla legge 26
luglio 1975, n. 354, in materia di visita a persone affette da
handicap in situazione di gravità».
In passato le S.U. di questa Corte (sentenza n. 27919 del
31/3/2011, depositata il 14/7/2011), innovando un difforme
consolidato orientamento, hanno statuito che in assenza di una
disposizione transitoria, la misura cautelare in corso di
esecuzione (disposta prima dell’entrata in vigore della
novella che, all’epoca, ebbe ad ampliare, modificando il comma
3 dell’art. 275, cod. proc. pen., il catalogo dei reati per i
quali vale la presunzione legale di adeguatezza della sola
custodia carceraria) non poteva subire modifiche unicamente per
effetto della nuova e più sfavorevole disposizione.
Le ragioni fondamentali di una tale condivisa impostazione
riposano sulla considerazione, che pur non essendo
«in
discussione il canone tempus regit actum utilizzato», seguito
dalle pronunce che affermavano opposto orientamento, «L’antica
regola costituisce la traduzione condensata dell ‘art. 11 delle
preleggi. Essa enuncia che la nuova norma disciplina il
processo dal momento della sua entrata in vigore; che gli atti
compiuti nel vigore della legge previgente restano validi; che

intercettazione ambientale del colloquio carcerario avvenuto in
data 7.11.2011 tra Falanga Domenico, la moglie Cangiano Carmela,
Gaudino Salvatore e Pompeo Aniello presso il carcere di Rossano.
I giudici del Tribunale del riesame rilevavano che la sopra
indicata aggravante sussisteva altresì sotto il profilo della
metodologia mafiosa, in considerazione dello stringente
controllo operato dal sodalizio camorristico facente capo a
Falanga Domenico sul territorio di riferimento, in cui si
imponeva agli spacciatori al dettaglio di rifornirsi soltanto
dai referenti del gruppo e di pagare il dovuto sollecitamente,
pena la minaccia di gravi ritorsioni.
I giudici del riesame osservavano infine che l’aggravante in
esame ha natura oggettiva e pertanto deve applicarsi alla stessa
la regola prevista dal comma 2 dell’art.59 c.p., e non quella
dell’art.118 c.p. nel caso di concorso di persone nel reato.
Quindi la predetta aggravante si comunica al correo, secondo la
regola stabilita dalla norma di cui sopra (se, dallo stesso
conosciuta o ignorata per colpa o ritenuta inesistente per
errore determinato da colpa”). Ciò premesso, nella fattispecie
che ci occupa, le argomentazioni di cui sopra escludevano
“l’ignoranza” da parte dei coniugi Ramondo-Cuomo.
Né appare sostenibile per le ragioni di cui sopra l’assunto
difensivo secondo cui, argomentando nel senso del provvedimento
impugnato, il Tribunale del riesame avrebbe introdotto una sorta
di aggravante “territoriale” oggettiva per tutte le ipotesi
anche minime di cessione di sostanza stupefacente nel territorio
che si assume controllato dai Falanga.

la nuova disciplina, quindi, non ha effetto retroattivo.
L’indicato canone corrisponde ad esigenze di certezza,
razionalità, logicità che sono alla radice della funzione
regolatrice della norma giuridica. Esso, proprio per tale sua
connotazione, è particolarmente congeniale alla disciplina del
processo penale. L’idea stessa di processo implica l’incedere
attraverso il susseguirsi atomistico, puntiforme, di molti atti
che compongono, infine, la costruzione. Tale edificazione
rischierebbe di crollare dalle radici come un castello di carte
se la cornice normativa che ha regolato un atto potesse essere
messa in discussione successivamente al suo compimento, per
effetto di una nuova norma».
In quella sentenza si chiarì, peraltro, che se la soluzione del
problema appariva semplice applicando il brocardo di cui si è
detto in presenza di atti aventi effetto istantaneo, difficoltà
sorgevano «quando il compimento dell’atto, o lo spatium
deliberandi o ancora gli effetti si protraggono, si estendono
nel tempo: un tempo durante il quale la norma regolatrice muta.
Basti pensare alle norme sulla competenza, sulle impugnazioni,
sulla disciplina delle prove,
sulle misure cautelari,
appunto». Proseguivano le S.U. ponendo la distinzione fra
momento genetico della misura cautelare e continua verifica
circa il permanere delle condizioni che la giustificano.
La fase genetica non può che rimanere retta e regolata dalla
legge del tempo. Per converso,
«si impone una continua
verifica circa il permanere delle condizioni che hanno
determinato la limitazione della libertà personale e la scelta
di una determinata misura cautelare. La materia è regolata
dall’art. 2.9.9 cod. proc. pen. Il codificatore ha opportunamente
racchiuso in un unico contesto normativo l’aspetto per così
dire dinamico della restrizione di libertà; e quindi le diverse
ipotesi di revoca e sostituzione delle misure cautelari in
relazione al mutare della situazione di fatto e di diritto nel
corso del procedimento. La finalità cui la disciplina con tutta
evidenza corrisponde è quella di assicurare che in ogni momento
la restrizione sia conforme ai principi di adeguatezza,
proporzionalità».
Alla luce di quanto sopra esposto, che, ovviamente, rappresenta
un enunciato generale, che non muta ove il sopravvenire della
nuova norma possa assumere caratteri di favore per l’indagato,
pertanto, in questa sede non possono trovare applicazione le
innovazioni introdotte con la cit. 1. n. 47, incidenti sulla
fase genetica della misura.
Tanto premesso si osserva che, comunque, nella fattispecie che
ci occupa, per quanto attiene alle condizioni legittimanti la
sussistenza dell’esigenza cautelare della probabilità di
reiterazione di fatti della stessa indole rispetto a quello per
cui si procede previste nella nuova normativa di cui sopra, il
provvedimento impugnato è congruamente e adeguatamente
motivato.
Il Tribunale del riesame a tal proposito ha infatti valorizzato
la conclamata stabilità di rapporti tra i due ricorrenti ed i

fornitori all’ingrosso dello stupefacente che poi essi cedevano
al dettaglio dalla loro abitazione alla fitta rete di
consumatori anche “insospettabili”.
Il proposto ricorso deve essere, pertanto, rigettato e i
ricorrenti condannati al pagamento delle spese processuali.

Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle
spese processuali.
La Corte dispone inoltre che copia del presente provvedimento
sia trasmesso al direttore dell’istituto penitenziario
competente quanto a Ramondo Rosario perché provveda a quanto
stabilito dall’art.94 c.1 ter disp.att. del c.p.p..

Così deciso in Roma il 5.06.2015

PQM

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA