Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 25909 del 17/06/2015


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 25909 Anno 2015
Presidente: CONTI GIOVANNI
Relatore: BASSI ALESSANDRA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
BEJAN RARES CONSTANTIN N. IL 17/05/1982

avverso la sentenza n. 9/2015 CORTE APPELLO di VENEZIA, del
04/05/2015
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ALESSANDRA
BASSI;
sentite le conclusioni del PG Dott. Ciro ANGELILLIS nel senso del
RIGETTO del ricorso;

Uditi difensor Avv.;

D191

Data Udienza: 17/06/2015

RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 4 maggio 2015, la Corte d’appello di Venezia ha
dichiarato insussistenti le condizioni per l’accoglimento della richiesta di cui al
mandato di arresto europeo emesso, in data 22 gennaio 2015 dalla Pretura di
Brasov in Romania, nei confronti di Bejan Rares Constantin in relazione alla
sentenza penale n. 2843 del 3 dicembre 2014, definitiva il 6 gennaio 2015; ha
riconosciuto la sentenza indicata e ne ha disposto l’esecuzione in Italia secondo il
diritto interno, revocando la misura cautelare in atto con conseguente immediata

definitiva e del fatto che in essa sono indicate le fonti di prova comprovanti la
fondatezza dell’ipotesi accusatoria nonché della regolarità e della completezza
della documentazione richiesta dalla procedura, la Corte territoriale ha
nondimeno ravvisato la condizione ostativa alla consegna prevista dall’art. 18,
lettera R), L. n. 69/2005, evidenziando come Bejan sia radicato sul territorio
nazionale, ove risiede dal 2009.
2. Nel ricorso, l’Avv. Enrico Cogo, difensore di fiducia di Bejan Rares
Constantin, ha chiesto l’annullamento della sentenza evidenziando che,
contrariamente a quanto dato atto dalla Corte d’appello, il proprio assistito non
ha mai dichiarato di rinunciare a contestare la sentenza contumaciale

in

executivis, riservandosi anzi il diritto di essere rimesso in termini per impugnare
la condanna.
3. In udienza, il Procuratore generale ha chiesto che il ricorso sia rigettato.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile per manifesta infondatezza
dei motivi.
2. Sotto un primo aspetto, deve essere rilevato come la sentenza in verifica
sia immune da qualunque rilievo di natura processuale, non essendo revocabile
in dubbio l’esistenza di un valido titolo esecutivo a monte della procedura de
qua.
Ed invero, secondo l’ordinamento dello Stato di Romania – segnatamente
l’art. 522, comma 1, cod. proc. pen. rumeno -, la persona estradata per essere
sottoposta ad una pena derivante da una condanna “in absentia” può, su sua
richiesta, essere nuovamente giudicata dalla stessa Corte che lo ha condannato.
Ne discende, in linea con la costante giurisprudenza di questa Corte, che
anche la decisione pronunciata “in absentia” può porsi a base della procedura di
2

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scarcerazione dell’interessato. Dopo avere dato atto dell’esistenza della sentenza

consegna a fini esecutivi allorchè nello Stato membro di emissione sia consentito
alla persona richiesta di ottenere un nuovo giudizio, una volta venuta a
conoscenza della decisione di condanna pronunciata nei suoi confronti (Cass.
Sez. 6, n. 25303 del 21/06/2012, Rv. 252724; Cass. Sez. 6, n. 9151 del
21/02/2013 – dep. 26/02/2013, Amoasei, Rv, 254473).
3. Sotto diverso profilo, va evidenziato che, come si evince dalla lettura del
verbale dell’udienza del 4 maggio 2015, Bejan ha personalmente chiesto di
scontare in Italia la pena di cui alla sentenza in oggetto e la Corte ha disposto

dell’interessato. Le doglianze svolte sul punto sono pertanto all’evidenza mal
poste.
4. Non può, d’altra parte, sottacersi come il riconoscimento della sentenza
pronunciata all’estero e la disposta esecuzione della pena non impediscano al
Bejan di proporre nel paese d’origine un incidente d’esecuzione volto a
contestare la validità del titolo esecutivo o comunque di chiedere all’A.G. romena
di essere rimesso in termini per proporre impugnazione avverso la sentenza
contumaciale.
5. Dalla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, a norma
dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente, oltre che al pagamento delle
spese del procedimento, anche a versare una somma, che si ritiene congruo
determinare in 1.000,00 euro.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro 1000 in favore della Cassa delle
Ammende.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 22, comma 5, L. n. 69
del 2005.

Così deciso in Roma il 17 giugno 2015

Il consigliere estensore

Il Presidente

che la pena sia qui eseguita in perfetta conformità rispetto alle richieste

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