Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 25886 del 12/05/2015


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 25886 Anno 2015
Presidente: SIOTTO MARIA CRISTINA
Relatore: DI TOMASSI MARIASTEFANIA

SENTENZA

sul ricorso proposto dal Pubblico ministero in persona del sostituto
Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Napoli,
avverso l’ordinanza emessa in data 15/04/2014 dal Giudice per le indagini
preliminari del Tribunale di Napoli,
nei confronti di LAURENZA Davide, nato a Caivano il 27/12/1960.
Visti gli atti, il provvedimento impugnato, il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere M.Stefania Di Tornassi;
lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
generale, che ha concluso chiedendo la declaratoria d’inammissibilità del ricorso.

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Data Udienza: 12/05/2015

RITENUTO IN FATTO
1. Con l’ordinanza in epigrafe il Giudice per le indagini preliminari del
Tribunale di Napoli, decidendo quale giudice dell’esecuzione, accogliendo
l’istanza avanzata da Davide LAURENZA ai sensi dell’art. 671 cod. proc. pen., ha
riconosciuto la continuazione tra il reato di cui all’art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990
commesso in Caivano sino a settembre 2004 – oggetto della sentenza di
condanna del Tribunale di Napoli in data 18/12/2008, riformata dalla Corte di
appello in data 01/03/2010 e irrevocabile il 24/02/2011 – per il quale il
euro di multa, e il reato di cui agli artt. 629 cod. pen. e 7 d.l. n. 152 del 1991,
accertato in Vitaliano a partire da maggio 2010, oggetto della sentenza di
condanna del G.u.p. del Tribunale di Napoli in data 13/07/2011, riformata dalla
Corte di appello in data 27/06/2012 e irrevocabile il 28/11/2011 [recte, in base
al certificato penale, il 28/11/2012] per il quale il LAURENZA era stato
condannato alla pena di 5 anni e 4 mesi di reclusione e 600,00 euro di multa, e
ha rideterminato la pena complessiva in 10 anni di reclusione e 30.300,00 di
multa.
2. Avverso detta ordinanza ha proposto ricorso il Pubblico ministero, in
persona del sostituto Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Napoli,
chiedendone l’annullamento.
Denunzia violazione di legge e mancanza, contraddittorietà o manifesta
illogicità della motivazione affermando che il giudice dell’esecuzione avrebbe
all’evidenza confuso gli istituti dell’abitualità nel delitto e della continuazione. Ai
fini di quest’ultimo occorreva infatti un programma criminoso prefigurato almeno
nelle sue linee essenziali fin dalla consumazione del primo reato; non bastava,
perciò, che i delitti fossero riconducibili ad uno stile di vita improntato al crimine
o il generico programma di trarre da esso guadagno.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Osserva il collegio che il ricorso appare fondato.
2. A ragione del riconoscimento della continuazione tra i delitti di violazioni
alla legge stupefacenti commessi sino a settembre 2004, oggetto della prima
condanna, e di estorsione aggravata ai sensi dell’art. 7 d.l. n. 152 del 1991
commessa a partire da maggio 2010, oggetto della seconda, il provvedimento
impugnato osservava che dalla sentenza per tale ultimo fatto emergeva un forte
legame tra il LAURENZA e il coimputato MONDELLO, per essere stati gli stessi
già condannati dalla Corte di assise di Napoli, con sentenza del 22/10/1999,
irrevocabile il 17/12/2002, per la comune appartenenza ad una associazione di
stampo camorristico operante in Caivano, e per la riconosciuta esistenza di una
società tra i due per la gestione del traffico di stupefacenti. Dall’interrogatorio

LAURENZA era stato condannato alla pena di 7 anni di reclusione e 30.000,00

reso dal collaboratore Luigi AMBROSIO risultava, quindi, una comunanza di
interessi e di intenti dei soggetti appartenenti al sodalizio di Caivano, risalente
agli anni ’90, con riferimento al traffico di stupefacenti e ad attività estorsive.
Sulla base di detti elementi concludeva nel senso che le condotte criminose
erano riconducibili a un più ampio e comune disegno criminoso collegato
all’appartenenza all’associazione camorristica operante in Caivano.
3. Ha dunque ragione il ricorrente allorché lamenta, nella sostanza, che il
provvedimento è sostenuto da giustificazione incongrua, che sembra confondere
continuazione.
Invero, è anzitutto priva di adeguata base fattuale l’affermazione che i
differenti delitti, commessi nel 2004 e nel 2010, potevano (senz’altro) ritenersi
riferibili ad un medesimo disegno criminoso collegato all’appartenenza
all’associazione camorristica operante in Caivano, alla luce delle stesse premesse
esposte nel provvedimento impugnato, che riferiscono di una condanna per
partecipazione ad associazione camorristica risalente al 1999 e nulla dicono,
quindi, della perdurante appartenenza del Laurenza a detto sodalizio per gli anni
in cui, specificamente, si sarebbe dovuta collocare l’ideazione e la
programmazione dei delitti in esame.
Nulla dice, per altro, il G.i.p. neppure in relazione agli elementi che, in
concreto, avrebbero consentito di ritenere riconducibile la seconda,
assolutamente diversa, attività criminosa, realizzata a circa sei anni di distanza
dal prima, ad una deliberazione effettivamente unitaria, sufficientemente
determinata, coeva o antecedente ai primi fatti.
3. Occorre perciò ricordare che la nozione di continuazione delineata nell’art.
81, secondo comma, cod. pen., ineludibilmente richiede che i fatti siano riferibili
ad un “medesimo”, dunque originario, disegno criminoso e che siffatta unicità di
disegno, egualmente necessario per il riconoscimento della continuazione in fase
di cognizione e in fase esecutiva, non può identificarsi con la generale tendenza
a porre in essere determinati reati o comunque con una scelta di vita che implica
la reiterazione di determinate condotte criminose.
E’ necessario, invece, che si abbia una iniziale programmazione e
deliberazione di compiere una pluralità di reati, che possono essere anche non
dettagliatamente ab origine progettati e organizzati, ma che devono risultare
almeno in linea generale individuati e previsti, pur con riserva di “adattamento”
alle eventualità del caso, come mezzo al conseguimento di un unico fine,
parimenti prefissato e sufficientemente specifico.
Deve per conseguenza escludersi che una tale antecedente programmazione
unitaria possa essere desunta sulla sola base del contesto in cui i singoli
propositi criminosi sono maturati, ovvero ancora della spinta a delinquere, tanto
più se genericamente economica o delinquenziale, non potendo confondersi il
fine specifico, ovverosia il movente-scopo che individua una programmazione e

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la nozione di abitualità o pervicacia nella dedizione al crimine con l’istituto della

deliberazione unitaria, con la tendenza stabilmente operante in un soggetto a
risolvere i propri problemi esistenziali commettendo reati o a conformarsi al
contesto criminale in cui è inserito.
E neppure è vero che l’inciso «anche in tempi diversi» consente di negare
ogni rilevanza all’aspetto del tempo di commissione dei reati: come la vicinanza
temporale non costituisce di per sé “indizio necessario” dell’esistenza del
medesimo disegno criminoso, così la notevole distanza di tempo ben può essere
formidabile indizio negativo. Le difficoltà di programmazione e deliberazione a
lunga scadenza e le crescenti probabilità di mutamenti che, con il passare del
possibilità di ravvisare la sussistenza della continuazione normalmente «si
riducono [come rimarca autorevole dottrina] fino ad annullarsi in proporzione
inversa all’aumento del distacco temporale tra i singoli episodi criminosi». E da
tanto deriva che il dato cronologico costituisce un indice probatorio che, pur
ovviamente non insuperabile, rappresenta di regola un limite logico al
riconoscimento della continuazione tra reati commessi a distanza temporale come nel caso in esame – notevole: tanto più se inframmezzati da arresti e
condanne, che rappresentano cesure esistenziali che non possono non essere
tenute ragionevolmente in conto ai fini dell’apprezzamento della effettiva
plausibilità della riconducibilità delle diverse condotte alla medesima, originaria
risoluzione.
Con tali limiti fattuali e logici il provvedimento di cui si discute non s’è,
invece, in alcun modo misurato; e la motivazione che lo sostiene è perciò
inesorabilmente carente.
4. Per le ragioni esposte l’ordinanza impugnata deve essere annullata, con
rinvio al G.u.p. del Tribunale di Napoli perché – in diversa composizione ai sensi
di Corte cost. n. 183 del 2013 – proceda a nuovo esame.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Giudice
dell’udienza preliminare del Tribunale di Napoli.
Così deciso il 12 mag io 2015
Il consigliere tensore

Il Presidente

tempo, richiedono una nuova risoluzione antidoverosa, comportano difatti che le

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