Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 25880 del 12/05/2015


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 25880 Anno 2015
Presidente: SIOTTO MARIA CRISTINA
Relatore: CENTONZE ALESSANDRO

SENTENZA

Sul ricorso proposto da:
1) Langella Gaetano, nato il 26/01/1962;

Avverso l’ordinanza n. 1163/2014 emessa il 29/08/2014 dalla Corte di
appello di Napoli;

Sentita la relazione svolta in pubblica udienza dal Consigliere dott.
Alessandro Centonze;

Lette le conclusioni del Procuratore generale, in persona del dott. Aurelio
Galasso, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;

Data Udienza: 12/05/2015

RILEVATO IN FATTO

1. Con ordinanza emessa il 29/08/2014 la Corte di appello di Napoli, quale
giudice dell’esecuzione, rigettava l’incidente di esecuzione proposto da Gaetano
Langella. Con tale incidente di esecuzione l’esecutato mirava a ottenere una
declaratoria secondo cui la sua partecipazione all’associazione di cui al capo A)
della rubrica della sentenza emessa dalla Corte di appello di Napoli il 29/11/2012
era cessata al gennaio del 2008.

richiamato non emergeva alcun elemento idoneo a consentire di ritenere
intervenuto il recesso volontario del Langella dal clan camorristico capeggiato da
Antonio Giugliano a partire dal gennaio del 2008, nei termini richiesti
da I l’esecutato.
Tali ragioni imponevano il rigetto dell’incidente di esecuzione proposto.

4. Avverso tale ordinanza Gaetano Langella ricorreva per cassazione, a
mezzo dell’avv. Emilio Martino, deducendo la violazione dell’art. 606, comma 1,
lett. b), c), e), cod. proc. pen., in relazione agli artt. 416 bis cod. pen., 192,
comma 3, cod. proc. pen.
Si deduceva, in particolare, che, al contrario di quanto affermato nel
provvedimento impugnato, il recesso volontario del Langella dal clan
camorristico capeggiato da Antonio Giugliano, collocato cronologicamente a
partire dal gennaio del 2008, risultava confermato dalle emergenze processuali
che erano state consacrate nella sentenza emessa dalla Corte di appello di Napoli
il 29/11/2012.
Ne discendeva che, nel caso di specie, il giudice dell’esecuzione era incorso
in un evidente vizio di motivazione, non avendo compiuto alcuna verifica
finalizzata all’individuazione della data di cessazione della condotta associativa
contestata al Langella, tenendo conto degli elementi probatori evidenziati nel suo
interesse con riferimento alle sottostanti sentenze di merito.
Queste ragioni imponevano l’annullamento dell’ordinanza impugnata.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile.
In via preliminare, deve rilevarsi che l’incidente dì esecuzione non può
essere proposto allo scopo di ottenere un accertamento di fatto, analogamente a
quanto richiesto dal Langella, dovendo limitare il giudice dell’esecuzione il
proprio accertamento alla verifica della regolarità formale e sostanziale del titolo
2

Questo rigetto veniva giustificato dal fatto che dagli atti del procedimento

su cui si fonda l’esecuzione (cfr. Sez. 1, n. 8776 del 28/01/2008, dep.
27/02/2008, Lasco, Rv. 239509; Sez. 1, n. 5880 dell’11/12/2010, dep.
06/02/2014, Amore, Rv. 258765).
Ne discende che il giudice dell’esecuzione, davanti al quale è stata
contestata l’esecutività del titolo, deve procedere alla verifica della sua ritualità
sotto un profilo esclusivamente formale, essendo gli accertamenti previsti
dall’art. 670, comma 1, cod. proc. pen. limitati al controllo dell’esistenza del
titolo esecutivo, della legittimità della sua emissione e dell’esecuzione della sua

estraneo, agli effetti di tale verifica giurisdizionale, ogni ulteriore profilo
valutativo che presupponga una conoscenza del merito della vicenda
processuale, che è preclusa al giudice dell’esecuzione penale.
Né è possibile dubitare del contenuto fattuale dell’accertamento richiesto
nell’interesse dell’esecutato, atteso che il suo difensore deduceva che la
cessazione della sua partecipazione al clan Giugliano, contestata al capo A) della
rubrica della sentenza di appello presupposta, veniva desunta dall’epoca di
commissione dei reati fine e dalle dichiarazioni del collaborante Carmine
Amoruso. Quest’ultimo, in particolare, aveva riferito di avere chiesto al Langella,
all’inizio del 2008, un incontro per discutere di una tangente rimasta sospesa per
l’arresto di Antonio Giugliano, dopo il quale nessun altro elemento probatorio era
emerso nei suoi confronti.
E’ pur vero che il giudice dell’esecuzione può verificare la data di cessazione
della permanenza del reato, certamente rilevante nelle ipotesi di contestazione
aperta, ricorrenti nei casi di partecipazione associativa, ma a condizione che tale
accertamento sia strumentale all’emissione di una statuizione che comporti il
conseguimento di un beneficio per la posizione processuale dell’esecutato,
concreto e non astratto o potenziale.
Tuttavia, nel caso di specie, non ricorre una tale situazione processuale,
atteso che, come correttamente dedotto dal procuratore generale a pagina 2
della requisitoria del 15/01/2015, il ricorrente si limita a «chiedere al G.E. un
mero accertamento di fatto, senza specificare il concreto interesse a tale
declaratoria».

2. Per queste ragioni il ricorso proposto da Gaetano Langella deve essere
dichiarato inammissibile, con la sua condanna al pagamento delle spese
processuali e, non ricorrendo ipotesi di esonero, al versamento di una somma
alla Cassa delle ammende, congruamente determinabile in 1.000,00 euro, ai
sensi dell’art. 616 cod. proc. pen.

3

notificazione nel rispetto delle disposizioni del codice di rito; resta, invece,

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro 1.000,00 alla Cassa delle Ammende.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 12 maggio 2015.

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