Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 25877 del 12/05/2015


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 25877 Anno 2015
Presidente: SIOTTO MARIA CRISTINA
Relatore: CASSANO MARGHERITA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PERRONE GIUSEPPE N. IL 16/03/1966
avverso l’ordinanza n. 2558/2014 TRIB. SORVEGLIANZA di ROMA,
del 16/09/2014
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. MARGHERITA
CASSANO;
lette/setttite le conclusioni del PG Dott.

p

Uditi difensor Avv.;

Data Udienza: 12/05/2015

Ritenuto in fatto.

1.1116 settembre 2014 il Tribunale di sorveglianza di Roma rigettava il reclamo
proposto da Giuseppe Perrone, detenuto in espiazione della pena dell’ergastolo,
avverso l’ordinanza in data 8 marzo 2014 con la quale il locale Magistrato di
sorveglianza aveva rigettato la domanda di liberazione anticipata speciale.

sorveglianza era stata adottata sotto la vigenza del decreto legge 23 dicembre 2013
n. 146 che consentiva, in presenza di determinate condizioni, la concessione della
liberazione anticipata speciale anche ai condannati per taluno dei delitti previsti
dall’art. 4-bis ord. pen. Nelle more del giudizio di gravame era, però, intervenuta la
legge 21 febbraio 2014 n. 10 che aveva soppresso il comma 4 dell’art. 4, del
suddetto n. 146 del 2013. Poiché le norme che disciplinano i benefici penitenziari
hanno natura processuale e soggiacciono, in quanto tali, al principio del tempus
regit actum, le nuove disposizioni contenute nella legge n. 10 del 2014 dovevano
trovare immediata applicazione Pertanto, considerato che Perrone era stato
condannato per un reato ricompreso nel catalogo previsto dall’art. 4-bis legge n.
354 del 1975 e successive modifiche, non aveva diritto ad usufruire del beneficio
della liberazione anticipata speciale.
2.Avverso la suddetta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione
personalmente Perrone il quale formula le seguenti censure.
Lamenta violazione ed erronea applicazione dell’art. 4 del d.l. n. 146 del 2013,
convertito nella legge n. 10 del 2014, in quanto le nuove e più gravose disposizioni
contenute nella legge n. 10 del 2014 non potevano trovare applicazione in relazione
ad una procedura iniziata sotto la vigenza del d.l. n. 146 del 2013 che non escludeva
la concessione del beneficio richiesto ai condannati per taluno dei delitti indicati
dall’art. 4-bis 1. n. 354 del 1975 e successive modifiche.
Prospetta la questione di legittimità costituzionale dell’art. 4 del d.l. n. 146 del
2013, convertito nella legge n. 10 del 2014 per contrasto con gli artt. 3, 27 comma
3, 117 Cost. in relazione all’art. 3 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti
dell’uomo e delle libertà fondamentali.

Il Tribunale osservava che, nel caso di specie, la decisione del Magistrato di

Osserva in diritto.

Il ricorso non è fondato.
1.La vicenda procedimentale in esame è iniziata sotto la vigenza del d.l. 23
dicembre 2013, n. 146 il cui art. 4, poi eliminato dalla legge di conversione 21
febbraio 2014 n. 10, prevedeva la concedibilità della liberazione anticipata nella

di detenzione, avesse dato prova di un concreto recupero sociale, desumibile da
comportamenti rivelatori del positivo evolversi della personalità.
La decisione sul reclamo è, invece, intervenuta sotto la vigenza della legge n. 10
del 2014 che, per effetto della modifiche da essa introdotte, esclude il
riconoscimento della maggiore detrazione di pena ai <>.
Si tratta, quindi, in primo luogo di individuare la disciplina normativa
applicabile alla concreta fattispecie.
Le Sezioni Unite di questa Corte, con decisioni condivise dal Collegio, hanno
stabilito che le disposizioni concernenti l’esecuzione delle pene detentive e le
misure alternative alla detenzione, non riguardando l’accertamento del reato e
l’irrogazione della pena, ma soltanto le modalità esecutive della stessa, non hanno
carattere di norme penali sostanziali e pertanto (in assenza di una specifica
disciplina transitoria), soggiacciono al principio tempus regit actum, e non alle
regole dettate in materia di successione di norme penali nel tempo dall’art. 2 c.p., e
dall’art. 25 della Costituzione (Sez. U., n. 24561 del 30 maggio 2006; Sez. U, n. 20
del 13 luglio 1998).
Principi analoghi sono stati affermati dalla Corte Costituzionale (ord. n. 10 del
1981; sent. n. 376 del 1997) e dalla Corte europea dei diritti dell’uomo (sentenza
Grande Camera del 21 ottobre 2013, Del Rio Prada c/Spagna; decisione della
Commissione del 15 gennaio 1997 nel caso L.C.R. c/ Svezia; Monne c/ Francia
dell’I aprile 2008; Giza c/Polonia del 23 ottobre 2012).
2.0ccorre, inoltre, evidenziare che l’art. 77, terzo e ultimo comma, Cost.,
mentre collega la mancata conversione in legge di un decreto legge ad una vicenda
di “ultrattività sincronica fra situazioni normative, in nessun caso considera la
norma dettata con decreto legge non convertito come norma in vigore in un tratto
tempo quale quello considerato; ed anzi, se interpretata sia in riferimento al suo
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misura di settantacinque giorni soltanto nel caso in cui la persona, durante il periodo

specifico precetto (privazione per il decreto legge non convertito di ogni effetto sin
dall’inizio) sia in riferimento al sistema in cui esso si colloca (inspirato – come
appare anche dagli altri due commi dell’art. 77 Cost. – a maggior rigore nella riserva
al Parlamento della potestà legislativa) vieta di considerarla tale”. Dunque,
“indipendentemente da quello che possa ritenersi in proposito della norma dettata
con decreto legge non ancora convertibile, la norma contenuta in un decreto legge

77 Cost., ad inserirsi in un fenomeno successorio, quale quello descritto e regolato
dai commi secondo e terzo dell’art. 2 c.p.”, ovverosia in un fenomeno successorio
concernente norme penali sostanziali per le quali vale il principio di irretroattività
delle disposizioni di sfavore limitatamente alla sancita applicabilità delle
disposizioni di cui ai commi secondo e terzo dell’art. 2 c.p. al caso del decreto legge
non convertito, e, quindi, alla sancita operatività della norma penale sfavorevole, se
in essa contenuta, relativamente ai fatti pregressi.
3.Di conseguenza, la disposizione contenuta nell’art. 4, comma 4, del d.l. n. 146
del 2013 (che consentiva, a determinate condizioni, l’applicabilità del beneficio
della liberazione anticipata speciale anche ai condannati per taluno dei delitti
elencati nell’art. 4-bis 1. n. 354 del 1975 e successive modifiche), non recepita dalla
1. n. 10 del 2014, non è suscettibile di avere vigore ultrattivo per i comportamenti
pregressi.
4.Manifestamente infondata è la dedotta questione di legittimità costituzionale.
La disciplina normative di cui si vede rappresenta, per espressa previsione del
legislatore, una disciplina “speciale” che estende, salvo alcune eccezioni, i vantaggi
conseguenti ad un beneficio penitenziario già previsto e applicabile indistintamente
a tutti i condannati. Non si è, quindi, in presenza di una disposizione che vieta
l’accesso del beneficio alla persona condannata per taluno dei delitti elencata
nell’art. 4-bis 1. n. 354 del 1975, ma piuttosto di una norma che amplia, in presenza
di certe condizioni, gli effetti di favore, escludendo da essi i condannati per
determinate tipologie di reato, come quelle indicate dal suddetto art. 4-bis.
Rispetto ad una disposizione speciale di favore, può porsi un problema di
irragionevole diversità di trattamento solo qualora sia riservato un trattamento
irragionevolmente diverso e deteriore rispetto a situazioni del tutto omologhe. I
condannati per delitti ricompresi nel catalogo di cui all’art. 4-bis I. n. 354 del 1975

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non convertito non ha […] attitudine, alla stregua del terzo e ultimo comma dell’art.

non versano in una situazione analoga a quella di persone condannate per reati
ritenuti dal legislatore espressivi di minore pericolosità sociale.
5. Per tutte queste ragioni s’impone il rigetto del ricorso con conseguente

condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Così deciso, in Roma, il 12 maggio 2015.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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