Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 25869 del 08/05/2015


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 25869 Anno 2015
Presidente: SIOTTO MARIA CRISTINA
Relatore: ROCCHI GIACOMO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
TERRASI DOMENICO N. IL 05/02/1942
avverso l’ordinanza n. 4495/2014 TRIB. SORVEGLIANZA di ROMA,
del 26/09/2014
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. GIACOMO ROCCHI;
lette/sentite le conclusioni del G
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Udit i difensor

Data Udienza: 08/05/2015

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 26/9/2014, il Tribunale di Sorveglianza di Roma
rigettava il reclamo proposto da Terrasi Domenico, condannato per
partecipazione ad associazione mafiosa e per altri reati aggravati ai sensi dell’art.
7 d.l. 152 del 1991, avverso quella del Magistrato di Sorveglianza di Frosinone di
rigetto della richiesta di applicazione della liberazione anticipata speciale ai sensi
del d.l. 146 del 2013.
Il Tribunale ricordava che, in sede di conversione, era stata esclusa la

legge 354 del 1975.

2. Ricorre per cassazione Domenico Terrasi, deducendo violazione dell’art. 4,
comma 2, legge 10 del 2014 ed erronea interpretazione dell’art. 77 della
Costituzione.
La legge di conversione non vieta affatto di concedere il beneficio ai
condannati per i reati di cui all’art. 4 bis ord. pen. per il passato, escludendo la
possibilità soltanto per il futuro. Ciò si ricava dalla lettura coordinata dei commi 1
e 2 dell’art. 4 legge 10 del 2014.
L’art. 77 della Costituzione, poi, non si applica con riferimento alla norma
favorevole introdotta con il decreto legge 146 del 2013. Il ricorrente richiama
anche il disposto dell’art. 15, comma 5, legge 400 del 1988 che impone la non
retroattività degli emendamenti al decreto legge stabiliti in sede di conversione,
che entrano in vigore ex nunc; sottolinea, poi, la disparità di trattamento che
deriva dal fatto che alcuni detenuti avevano avuto la concessione del beneficio
durante la vigenza del decreto legge 146 cit; rileva, infine, la palese illegittimità
costituzionale della legge di conversione.
Il ricorrente conclude per l’annullamento dell’ordinanza impugnata.

3.

Il Procuratore Generale, nella requisitoria scritta, conclude per

l’annullamento dell’ordinanza impugnata, ritenendo fondata l’interpretazione
della norma proposta nel primo motivo di ricorso.

4. Il difensore ha depositato memoria con la quale insiste nel ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è infondato e deve essere rigettato.

2

possibilità di applicare il beneficio ai condannati per i reati indicati dall’art. 4 bis

2. In relazione all’infondatezza dell’assunto che le modifiche apportate alla
disciplina della liberazione anticipata speciale in sede di conversione, con legge
n. 10 del 2014, del d.l. n. 146 del 2013 – escludendo dalla sfera d’applicazione
del beneficio i condannati per taluno dei delitti indicati nell’art. 4-bis ord. pen non s’applicherebbero al condannato che aveva fatto istanza prima di detta
conversione, non può non richiamarsi quanto già osservato con la decisione Sez.
1, n. 34073 del 27/06/2014, Panno, Rv. 260848, con la quale si è affermato il
principio secondo cui la disposizione di cui all’art. 4 del D.L. 23 dicembre 2013,

parte in cui prevede un trattamento più favorevole per il condannato per uno dei
delitti previsti dall’art. 4-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354, in relazione ai
comportamenti pregressi alla sua pubblicazione, e consistente in una maggiore
detrazione di pena ai fini della liberazione anticipata, non ha efficacia ultrattiva,
neppure se apparentemente vigente al tempo della domanda di concessione del
beneficio, sia perché alla materia in questione, in quanto estranea al diritto
penale sostanziale, non è applicabile il principio di irretroattività della legge più
sfavorevole, sia perché, in generale, le regole attinenti al fenomeno della
successione di leggi nel tempo non si attagliano alla vicenda relativa alla sorte
delle disposizioni di decreti-legge non recepite nella legge di conversione.
2.1. E’ sufficiente qui ricordare, in particolare, che le deduzioni del ricorrente
che evocano principi in vario modo regolanti il fenomeno della successione di
leggi penali sostanziali nel tempo, non s’attagliano al differente fenomeno in
esame, che concerne la sorte delle disposizioni di un decreto-legge non recepite
nella legge di conversione e che trae regola direttamente dall’art. 77 Cost.
Questo, al terzo comma, dispone che «I decreti perdono efficacia sin dall’inizio,
se non sono convertiti in legge entro sessanta giorni dalla loro pubblicazione. Le
Camere possono tuttavia regolare con legge i rapporti giuridici sorti sulla base
dei decreti non convertiti». Non deroga, né potrebbe, a tale norma di rango
superiore l’art. 15, comma 5, della legge n. 400 del 1988, laddove prevede che
«Le modifiche eventualmente apportate al decreto-legge in sede di conversione
hanno efficacia dal giorno successivo a quello della pubblicazione della legge di
conversione, salvo che quest’ultima non disponga diversamente. […1», giacché
la disposizione sta solo a significare che, diversamente da quanto in precedenza
doveva ritenersi, tutti gli emendamenti approvati in sede di conversione entrano
in vigore il giorno successivo a quello della pubblicazione della relativa legge
(non più, cioè, dopo il decorso dell’ordinaria vacatío legis se nulla espressamente
era disposto al riguardo; cfr. Cass. Civ. Sez. 1, sent. n. 4781 del 02/05/1991,
Rv. 471926; Sez. 3, sent. n. 6368 del 07/06/1995, Rv. 492709). In altri termini,
I’ “efficacia” del decreto-legge (in tutto o in parte) non convertito che può farsi

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n. 146, non recepita dalla legge di conversione 21 febbraio 2014, n. 10, nella

salva è da ritenere per principio circoscritta ai soli atti o «rapporti giuridici sorti
sulla base dei decreti non convertiti», ovvero ai cosiddetti “fatti concomitanti”, e
non può in alcun modo essere estesa sino al riconoscimento di un diritto o di una
aspettativa per comportamenti o situazioni precedenti solo perché la relativa
domanda era ancora sub iudice al momento della conversione del decreto.
Come osserva, difatti, C. cost. n. 51 del 1985, «il comma terzo e ultimo
dell’art. 77 Cost., mentre collega la mancata conversione a una vicenda di
alternatività sincronica fra situazioni normative, in nessun caso considera la

tratto di tempo quale quello anzidetto; ed anzi, se interpretato sia in riferimento
al suo specifico precetto (privazione, per il “decreto – legge non convertito”, di
ogni effetto “fin dall’inizio”), sia in riferimento al sistema in cui esso si colloca
(inspirato – come appare anche dagli altri due commi dell’art. 77 Cost. – a
maggior rigore nella riserva al Parlamento della potestà legislativa) vieta di
considerarla tale». Ne discende che, «indipendentemente da quello che possa
ritenersi in proposito della norma dettata con decreto-legge ancora convertibile,
la norma contenuta in un “decreto-legge non convertito” non ha […] attitudine,
alla stregua del terzo e ultimo comma dell’art. 77 Cost., ad inserirsi in un
fenomeno “successorio”, quale quello descritto e regolato dai commi secondo e
terzo dell’art. 2 c.p.», ovverosia in un fenomeno successorio concernente norme
penali sostanziali per le quali vale il principio di irretroattività delle disposizioni di
sfavore, «limitatamente alla sancita applicabilità delle disposizioni di cui ai
commi secondo e terzo dell’art. 2 c.p. al caso del “decreto-legge non convertito”,
e quindi alla sancita operatività della “norma penale favorevole”, se in esso
contenuta, relativamente ai “fatti pregressi”». Mentre, come sottolinea la
sentenza citata, il principio di cui si tratta, se riferito a una alternanza normativa
del tipo considerato, può trovare applicazione «soltanto relativamente ai fatti
commessi nel vigore – anche se poi caducato – della “norma penale favorevole”
contenuta in un “decreto-legge non convertito” (cioè nell’orbita della vicenda di
alternatività), fatti rispetto ai quali soltanto sorge, ai fini dell’applicabilità del
principio stesso, il problema dell’operatività del risultato normativo in discorso, e
rispetto ai quali soltanto tale risultato potrebbe equipararsi a una “norma penale
sfavorevole”; non anche relativamente ai “fatti pregressi”». A maggior ragione,
perciò, nella materia in esame, deve escludersi che possa avere vigore ultrattivo,
per i comportamenti di adesione al trattamento pregressi, la disposizione del
decreto-legge non recepita dalla legge di conversione, che a detti comportamenti
collegava un effetto favorevole.
2.2. E sicuramente non ha fondamento l’evocazione del canone della
applicazione della legge vigente al momento della domanda, che nulla ha a che

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norma dettata con “decreto-legge non convertito” come norma in vigore in un

vedere con il problema della ultrattività della norma penale più favorevole e che
non può trascendere la fondamentale differenza prima sottolineata tra i fenomeni
di successione delle legge nel tempo e quelli invece concernenti la «alternatività
sincronica fra situazioni normative (quali sono o cui sono collegate sia la
dichiarazione di illegittimità costituzionale che la mancata conversione di un
decreto-legge)». Detto criterio, presupponendo un fenomeno di vera e propria
successione di leggi, costituisce infatti, in relazione alle vicende successorie che
concernono norme processuali, mera espressione del principio tempus regit

preleggi, altro non vuol dire se non che la validità e gli effetti degli atti è e
rimane regolata dalla legge vigente al momento della loro formazione e perciò,
lungi dall’escludere, postula al contrario che a tale legge gli operatori giuridici
debbano fare riferimento quando siano da valutare le conseguenze degli atti
processuali anteriormente compiti (tra moltissime: Corte cost., sentenza n. 49
del 1970).

3. Ritiene il Collegio che non possa neppure aderirsi all’opinione di
autorevole Dottrina che sostiene che l’esclusione dei condannati per i delitti
indicati dall’art. 4-bis ord. pen. operi, in base al tenore della norma vigente,
solamente per la liberazione anticipata speciale da concedersi, a norma del
comma 1 dell’art. 4 d.l. n. 146 del 2013 come convertito, per i periodi successivi
all’entrata in vigore della nuova disciplina, non con riferimento ai periodi
pregressi a far data dal 10 gennaio 2010, la esclusione non essendo ripetuta né
espressamente richiamata dal comma 2 dell’articolo 4.
La formulazione del testo normativo, a seguito degli emendamenti apportati
con la legge di conversione, non può dirsi felice, e potrebbe forse astrattamente
prestarsi ad interpretazioni disomogenee, quale quella ricordata, nonostante le
univoche contrarie proclamazioni dell’intento del legislatore, dichiaratamente
volto, senza eccezioni temporali, ad escludere dal novero dei soggetti che
possono godere della misura speciale i condannati per i reati di cui all’art. 4-bis
cit..
Sembra però più corretto, sia sotto il profilo formale sia in considerazione
della tenuta sistematica della disciplina, che i vari commi che compongono l’art.
4 siano letti congiuntamente, in modo che tra loro si integrino e logicamente si
chiariscano. A ragionare diversamente, annettendo completa autonomia
normativa al comma 2, si avrebbe il paradossale effetto che solo ai condannati
che avevano già fruito di liberazione anticipata per la detenzione patita dal 10
gennaio 2010 al momento di entrata in vigore del decreto-legge potrebbe
riconoscersi l’ulteriore aumento di 30 giorni a semestre; non per esempio a quelli

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actum, che seconda la regola codificata nell’art. 11, primo comma, delle

che, pur essendo nelle condizioni di ottenere il beneficio per il pregresso, non
l’avessero già, per le più disparate ragioni, tempestivamente ottenuto o
richiesto. E solo i primi, inoltre, potrebbero godere della ulteriore detrazione per i
semestri di pena in corso di espiazione alla data del 10 gennaio 2010: anche se
per avventura iniziati solo uno o due giorni prima.
Se invece si pone mente al principio guida di redazione dei testi normativi,
secondo cui di regola l’unità base dell’atto normativo è l’articolo e i commi hanno
autonomia concettuale nei limiti del criterio della progressione logica degli

commi dell’art. 4 del decreto 146 del 2013 si saldano tra loro e si prestano a
comporre un sistema unitario che riconosce ai condannati per reati diversi da
quelli indicati dall’art. 4-bis una ulteriore riduzione di pena, a titolo di liberazione
anticipata e secondo i criteri dell’art. 54 ord. pen., per tutti i semestri di pena
detentiva scontata (in carcere) comprendenti i periodi che vanno dal 10 gennaio
2010 al 24 dicembre 2015.
Non può ammettersi perciò che il comma 2 riacquisti autonomia al solo fine
di estendere ai condannati per delitti indicati nell’art. 4-bis l’applicazione
retroattiva di un beneficio all’epoca non previsto e di cui che non possono godere
a regime.
In altri termini, la tesi dell’inesistenza di una disposizione di esclusione per il
passato sembra in contrasto non solo con l’intenzione del legislatore, ma con la
stessa obiettiva intenti° legis enucleabile dalla lettura coordinata del testo
normativo, altrimenti del tutto lacunoso e irragionevole.

4. Manifestamente infondata è da ritenere infine la questione di legittimità
costituzionale prospettata con riferimento all’esclusione dei condannati per i reati
di cui all’art. 4 bis ord. pen. dalla disciplina di favore in tema di liberazione
anticipata.
Al proposito è da chiarire: in primo luogo, che, riferendosi il ricorso a un
condannato per un determinato reato, la questione sarebbe rilevante nel caso in
esame solo con riferimento ai condannati per lo stesso reato; in secondo luogo,
che la disciplina di cui si discute rappresenta, per definizione espressa del
legislatore, una disciplina “speciale”, che estende con alcune eccezioni i vantaggi
conseguenti a un beneficio penitenziario già previsto e applicabile
indiscriminatamente a tutti i condannati.
Non si è in presenza perciò di una situazione in cui l’accesso al beneficio è in
radice precluso per il condannato per i delitti per i quali Terrasi è stato ritenuto
responsabile. Si assiste invece al fenomeno di una disposizione speciale, che
amplia a certe condizioni gli effetti di favore, escludendo però i condannati per

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argomenti trattati, deve riconoscersi che, secondo ragionevolezza, i primi tre

tali reati.
4.1. È agevole quindi l’osservazione che, trattandosi di disposizione speciale
di favore, in tanto sarebbe possibile porre un problema di irragionevole diversità
di trattamento in quanto fossero individuabili situazioni assolutamente omologhe
differentemente e meglio trattate, da porre quali

tertia comparationis

appropriati: situazioni che il ricorrente non indica nemmeno.
4.2. La particolare gravità del delitto per il quale il ricorrente è stato
condannato consente d’altro canto di escludere che l’eccezione prevista dalla

irragionevole e di per sé in contrasto con l’art. 27 Cost..

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.

Così deciso 18 maggio 2015

disposizione speciale di favore possa essere ritenuta intrinsecamente

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