Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 25845 del 29/04/2015


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 25845 Anno 2015
Presidente: SIOTTO MARIA CRISTINA
Relatore: BONI MONICA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PROCURATORE DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE
DI ROMA
nei confronti di:
GIORGI ALESSIO N. IL 29/10/1990
LUCARINI ANTONIO N. IL 08/01/1992
avverso l’ordinanza n. 2972/2014 TRIB. LIBERTA’ di ROMA, del
10/11/2014
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. MONICA BONI;
ltitée/sentite le conclusioni del PG Dott. AA,10,tet,u,
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Data Udienza: 29/04/2015

Ritenuto in fatto
1.Con ordinanza resa il 10 novembre 2014 il Tribunale di Roma accoglieva l’istanza di
riesame, proposta da Alessio Giorgi ed Antonio Lucarini ed annullava l’ordinanza con la
quale il G.I.P. del Tribunale di Velletri in data 14 ottobre 2014 aveva loro applicato la
misura cautelare della custodia in carcere, in quanto gravemente indiziati di concorso nella
detenzione e nel porto illegali di armi e munizioni.

indiziari rappresentati, l’operatività in senso ostativo all’accoglimento della domanda
cautelare di precedente provvedimento, emesso dal G.I.P. del Tribunale di Velletri in data
20 gennaio 2014, che non aveva convalidato il fermo dei due indagati e non li aveva
sottoposti alla richiesta misura custodiale per gli stessi fatti. Inoltre, riteneva non decisive
le risultanze dei tabulati telefonici e dell’analisi delle celle telefoniche agganciate dalle
utenze degli indagati, perché, sebbene indicative della presenza del Giorgi e del Lucarini
nei giorni e nei luoghi di acquisto delle armi da parte del loro accusatore e correo Davide
De Melas, inidonee a confermarne le propalazioni, attestando soltanto il rapporto di
conoscenza tra di essi e non convergendo con tema d’indagine dell’acquisto per loro conto
delle armi, poi dallo stesso ricevute. Evidenziava quindi come la narrazione del De Melas
fosse inattendibile per le insanabili contraddizioni su taluni aspetti delle vicende descritte,
specie in riferimento alle percosse subite per costringerlo a perfezionare gli acquisti ed alla
remunerazione ricevuta per tale attività e per gli esiti poco significati delle perquisizioni
condotte nei confronti degli indagati, nonostante l’asserito acquisto di un notevolissimo
numero di armi da fuoco. Concludeva dunque per l’eterogenea valenza degli elementi
d’indagine, inidonei a sostenere il giudizio di responsabilità degli indagati.
2. Avverso detta ordinanza ha proposto ricorso il Procuratore della Repubblica presso
il Tribunale di Velletri, il quale ne ha chiesto l’annullamento per carenza e contraddittorietà
della motivazione e violazione di legge. Assume il ricorrente:
-che il Tribunale aveva mal interpretato, incorrendo in violazione di legge, la preclusione
derivante dal giudicato cautelare, il quale copre il dedotto, ma non il deducibile, ossia non
impedisce la riproposizione della domanda, se fondata su elementi non previamente
valutati, che nel caso erano costituiti da un’immagine estrapolata dalla memoria del
telefono cellulare di Alessio Giorgi che lo ritraeva mentre imbracciava un fucile a pompa;
dal rinvenimento nella camera da letto di Valerio ed Alessio Giorgi di un fucile facente
parte di quelli acquistati dal De Melas e di trentatre cartucce inesplose; dal tentativo della
fidanzata di Alessio Giorgi il giorno del fermo di quest’ultimo di disfarsi di involucro,
contenente un caricatore bifilare e del necessario per la pulizia di armi; del possesso di
una cartuccia da parte del Lucarini; del possesso da parte del Siccardi in compagnia di
Antonio Lucarini di 40 grammi di cocaina;

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1.1 A fondamento della decisione il Tribunale rilevava, per l’identità degli elementi

- era erroneo il giudizio di inattendibilità del De Melas, espresso in assenza di una puntuale
considerazione delle sue dichiarazioni, che avevano chiaramente spiegato come, dopo
essere stato contattato e remunerato da Raffaele Rossi, quale intermediario dei veri
acquirenti Giorgi e Lucarini, affinchè acquistasse per loro conto armi da fuoco da rivenditori
autorizzati, allorchè costoro avevano compreso che il Rossi aveva praticato nei loro
confronti prezzi raddoppiati rispetto a quelli corrisposti agli armieri, si erano proposti al De
Melas quali acquirenti diretti ed, alle sue resistenze, non avevano esitato a malmenarlo per

-era illogico il rilievo sullo scarso significato probatorio dei risultati delle perquisizioni, dal
momento che l’accusa non postulava che gli indagati avessero acquistato armi per
collezionarle, ossia conversarle per loro interesse ed uso, quanto per farne cessione a
terzi;
– l’ordinanza non aveva considerato quanto emerso a carico di Cristian Careddu, tratto i
arresto in data 10 gennaio 2014 perché trovato in possesso di tre pistole, detenute
illegalmente, tra le quali due semiautomatiche cal. 9×21 marca Glock con matricola
nr.DCE934 e nr. PSFI91 con relativi caricatori, uno vuoto, già acquistate dal De Melas il 4
gennaio 2014 e da questi riferite come cedute agli indagati, i quali lo avevano informato
dell’arresto di persona nella zona di Tor Bella Monaca perché detentrice di tre delle sette
pistole acquistate agli inizi del mese di gennaio.
Il ricorrente ha dunque concluso che la lettura coordinata di tali dati offriva un
compendio indiziario univoco e grave, sufficiente a giustificare l’imposizione della misura
custodiale, non valutato compiutamente dal Tribunale.
3. Con memoria depositata il 23 aprile 2015 la difesa del Giorgi e del Lucarini ha
dedotto che il ricorso proposto dal P.M. si è limitato a riproporre gli stessi argomenti della
richiesta di applicazione della misura custodiale senza rappresentare alcun elemento nuovo
rispetto al giudicato già formatosi. L’impianto accusatorio già posto a carico degli indagati
era fondato su:
-l’esistenza di alcuni controlli nei loro confronti in data 6 settembre e del solo Lucarini il 25
agosto 2012 con esiti però irrilevanti;
– i risultati delle perquisizioni domiciliari dalle quali non era emerso alcun elemento
indiziante, stante il mancato rinvenimento di armi tranne che per il fucile per il quale
Valerio Giorgi era stato tratto in arresto;
– le spontanee dichiarazioni del De Melas in data 16 gennaio 2014.
Inoltre, il ricorrente ha riportato alcuni nuovi elementi investigativi emersi in merito alle
sole fattispecie in tema di stupefacenti, non contestate agli indagati Lucarini e Giorgi, e ha
preteso di assegnare significato indiziante ai dati relativi ai tabulati telefonici, in realtà
indicativi soltanto della loro presenza in un certo luogo in un certo momento, sollecitando
una rilettura in chiave alternativa degli atti d’indagine, che non potrebbe condurre agli esiti
prospettati per il difetto dei caratteri di gravità, precisione e concordanza, mentre il
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costringerlo ad operare secondo le loro indicazioni;

provvedimento impugnato ha già esposto con motivazione congrua le ragioni della
decisione.

Considerato in diritto

Il ricorso è fondato e merita accoglimento.
1.L’ordinanza impugnata presenta un apparato motivazionale gravemente carente e

impostazione giuridica, che pretende il giudicato cautelare, formatosi in relazione alla
precedente decisione del G.I.P. del 20 gennaio 2014, ostativo alla riproposizione ed
all’accoglimento della rinnovata domanda cautelare, perchè fondata sugli stessi elementi di
fatto e “sulla rivisitazione del materiale probatorio già acquisito e ritenuto in
precedenza…. insufficiente”. Già di per sé tale rilievo impone alcune precisazioni preliminari
in punto di diritto sul concetto di giudicato cautelare e sui suoi effetti preclusivi, che il
Tribunale ha dato prova di non avere correttamente inteso.
1.1 E’ noto che con la nozione di giudicato cautelare, che non rinviene in alcuna
disposizione di legge il suo fondamento espresso e testuale, si è inteso replicare gli effetti
dell’art. 649 cod.proc. pen. nel contesto cautelare al fine di garantire maggiormente la
posizione dell’indagato mediante la previsione di un limite al potere di azione cautelare del
P.M., e di cognizione del G.I.P., nonché il sistema complessivo del processo penale con
l’esclusione della possibilità di contestazione da parte dell’indagato con la riproposizione in
serie infinita delle medesime questioni già decise. Pertanto, il giudicato cautelare è stato
ravvisato nelle situazioni derivanti dall’intervento di una decisione da parte del Tribunale,
emessa in sede di riesame o di appello, o della Corte di Cassazione, adita direttamente ai
sensi dell’art. 311 cod.proc.pen., comma 2, oppure mediante proposizione di ricorso
avverso le ordinanze del Tribunale del riesame, ossia di pronunce emesse all’esito del
procedimento incidentale di impugnazione, attivato nei confronti delle ordinanze sulle
misure cautelari: se la parte interessata esperisce il mezzo di gravame per ottenere dal
giudice superiore una revisione sulle condizioni di legittimità del provvedimento cautelare,
l’esplicazione di tale controllo determina un effetto preclusivo allo stato degli atti in ordine
alle questioni di fatto o di diritto trattate, che giustifica l’estensione analogica al settore dei
provvedimenti restrittivi della libertà personale del principio del “ne bis in idem”, di cui
all’art. 649 cod.proc.pen. (Cass. SU, n. 20 del 12 ottobre 1993, Durante, rv. 195355;
Cass., S.U., nr. 11 dell’i luglio 1992, Grazioso, rv. 191182; Cass. S.U., nr. 14 del 18
giugno 1993, Dell’Olmo, rv. 194312; Sez. U, n. 2 del 15/01/1999, Liddi, CED 212807;
Sez. U, n. 14 del 31/05/2000, Piscopo, rv. 16261; Sez. U, n. 18339 del 31/03/2004,
Donelli, rv. 227359; Sez. U, n. 29952 del 24/05/2004, C. fall. in proc. Romagnoli, rv.
228117; Sez. U, n. 14535 del 19/12/2006, Librato, rv. 235908).
1.2 Uno dei tratti qualificanti tale preclusione è rappresentato dalla sua natura
3

contraddittorio e risente con esiti pregiudizievoli per la sua legittimità dell’erronea

relativa e dalla sua operatività non in via assoluta e permanente, ma “rebus sic stantibus”,
ossia in base alle acquisizioni ottenute e nelle sole ipotesi del mantenimento immutato del
quadro fattuale e giuridico di riferimento, in funzione di esigenze, sia di ordine pratico e di
economia processuale, sia di garanzia della persona sottoposta a procedimento penale.
Sotto il primo profilo il giudicato cautelare pone al riparo il sistema giuridico dal rischio
dell’inarrestabile proliferazione di istanze e di impugnazioni sugli stessi temi già delibati
con inutile dispendio di attività decisionale; quanto al secondo, preserva il soggetto dalla

rimasta immutata, nonostante una precedente decisione favorevole. Il giudicato cautelare
opera dunque con riferimento a quanto concretamente dedotto, ossia in riferimento alle
questioni di fatto o di diritto, riguardanti gli indizi di reità, oppure le necessità di cautela,
che siano state affrontate e risolte in via esplicita, oppure implicita, ossia, ancorchè non
enunciate in modo diretto, necessariamente postulate come pregiudicanti in funzione
logica o giuridica rispetto a quelle trattate. Non esplicano effetto vincolante e non
impediscono la riproposizione della richiesta di applicazione o di revoca della misura le
tematiche deducibili, ma non in concreto prospettate e non valutate per errore o per scelta
del giudicante (Cass. sez. 4, n. 32929 del 04/06/2009, Mariani, rv. 244976; sez. 6, n.
7375 del 03/12/2009, Bidognetti, rv. 246026; sez. 4, n. 26430 del 29/04/2003, Maska, rv.
226197; sez. 2, n. 49270 del 21/09/2012, P.M. in proc. Aleotti, rv. 255237; Sez. 2, n.
4046 del 10/01/2013, Salvade’, rv. 254435).
1.3 E’ poi unanime nella giurisprudenza di questa Corte la considerazione della
necessità, a fronte della deduzione del vincolo costituito dal giudicato cautelare, che il
giudice investito di successiva richiesta di revoca o di riesame compia una puntuale verifica
comparativa tra quanto abbia costituito il fondamento della precedente decisione e quanto
dedotto dalla parte che invoca una diversa determinazione cautelare, con l’avvertenza che
tale verifica va condotta alla luce del criterio per cui la novità della deduzione non va
individuata in riferimento al criterio cronologico, ossia in relazione al momento di
prospettazione o di acquisizione al fascicolo processuale della questione di fatto o di diritto
riguardante l’imputazione provvisoria e il materiale probatorio o le esigenze di cautela,
potendo egualmente fondare il superamento della preclusione da giudicato cautelare, tanto
i fatti storicamente sopravvenuti perché verificatisi dopo la pronuncia, quindi non deducibili
in precedenza, quanto quelli preesistenti, già conosciuti dalle parti, ma non prospettati
perché ritenuti ininfluenti, oppure per ragioni di strategia processuale (Cass. sez. 2, nr.
49270 del 21/9/2012, P.M. in proc. Aleotti, rv. 255237).
2.Tanto premesso in linea generale, va rilevato che l’ordinanza in verifica, pur
avendo ritenuto operante la preclusione derivante dalla precedente decisione del G.I.P., ha
riconosciuto che il materiale probatorio indicato dal P.M. non era coincidente in “toto”, ma
“prevalentemente”, quindi ha affermato che “alcun dato novativo del quadro indiziario
…consente un nuovo inquadramento dei fatti”, per poi indicare in via del tutto
4

possibilità di essere più volte privato della libertà per la medesima vicenda fattuale,

contraddittoria con tale assunto che costituivano elementi sopravvenuti i dati ricavati
dall’analisi dei tabulati del traffico telefonico e delle celle agganciate dalle utenze degli
indagati, di cui ha indicato lo scarso significato dimostrativo. E’ dunque certo che tali ultimi
elementi, come dedotto dal Procuratore ricorrente, non erano stati acquisiti all’atto del
fermo di p.g. degli indagati e non erano stati considerati dal G.I.P., sicchè, già di per sé gli
stessi offrono un apporto conoscitivo sopravvenuto e tale da superare gli effetti ostativi del
giudicato.

di apprezzamento della prova indiziaria, anche la valutazione che di tali informazioni il
Tribunale ha offerto, laddove ha ritenuto trattarsi di dati che, pur essendo “relativi a
diversi incontri fra i medesimi (indagati, n.d.r.), nei giorni ed in prossimità dell’orario in cui
veniva effettuato l’acquisto delle armi da parte del De Melas”, assumono valore
sintomatico soltanto ai fini di dimostrare la loro conoscenza personale, ma “non
convergono in senso logico e dimostrativo del thema di indagine rispetto agli altri elementi
investigativi, costituiti dalle dichiarazioni del De Melas e dalle perquisizioni”.
2.2 Tale affermazione è del tutto sfornita di qualsiasi rilievo esplicativo, dal momento
che non viene riassunto, né riportato testualmente il contenuto delle propalazioni del De
Melas, dalle quali poter desumere il nucleo essenziale dell’accusa di correità mossa a carico
degli indagati, né si illustra per quali specifiche ragioni le notizie sulla presenza del Giorgi e
del Lucarini negli stessi luoghi e nei tempi in cui il De Melas aveva perfezionato l’acquisto
delle armi e delle munizioni costituirebbero un dato neutro, non significativo in termini di
oggettiva conferma del suo narrato, a fronte di un addebito che vuole i due indagati
essersi resi cessionari di tali dispositivi ed averne fatto in seguito commercio clandestino.
2.3 E’ dunque opportuno ricordare che, ai fini dell’emissione di una misura cautelare
personale, per integrare il requisito dei “gravi indizi di colpevolezza”, preteso dall’art. 273
cod.proc.pen., devono essere acquisite emergenze probatorie, di natura logica o
rappresentativa, che, contenendo “in nuce” gli elementi costitutivi della fattispecie penale
contestata, non valgono di per sè a provare oltre ogni dubbio la responsabilità
dell’indagato ai fini della pronuncia di una sentenza di condanna, ma consentono, per la
loro consistenza, di prevedere che nel prosieguo delle indagini saranno idonei a dimostrare
tale responsabilità ed al tempo stesso giustificano una qualificata probabilità di
colpevolezza (Cass. sez. 6, n. 35671 del 06/07/2004, sez. 4, n. 37878 del6/7/2007,
Cuccaro ed altri, rv. 237475;sez. 1, n. 20536 del 13/4/2011, Palmanova, rv. 250296).
Fra gli elementi valorizzabili a tal fine si pongono le dichiarazioni rese dal coindagato
o coimputato, purchè, oltre ad essere intrinsecamente attendibili, siano riscontrate da
elementi esterni individualizzanti, ovvero da elementi di qualsiasi natura, anche logica, i
quali, sebbene sforniti di autonoma capacità dimostrativa, riguardino la persona del
chiamato e, confermando la chiamata in correità, siano dotati di attitudine dimostrativa
dell’elevata probabilità di responsabilità in ordine al fatto di reato ipotizzato dall’accusa. A

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2.1 E’ poi meritevole di censura, perché carente, illogica e frutto di un errato metodo

tal fine non è richiesta una perfetta corrispondenza di contenuto tra le informazioni del
chiamante in correità e gli elementi che devono fungere da riscontro, in quanto il “thema
decidendum” è quello della responsabilità in ordine alla specifica condotta criminosa.
Pertanto, non rileva che le dichiarazioni dei collaboratori non siano coincidenti con
l’elemento di riscontro quanto alle stesse circostanze o alle singole attività attribuite
all’accusato, perché non sono queste a dover essere dimostrate, ma il fatto criminoso
oggetto d’imputazione provvisoria (Cass. S.U. n. 36267 del 30/5/2006, PG. in proc.

19517 dell’1/4/2010, Iannicelli, rv. 247206; sez. 5, n. 18097 del 13/4/2010, P.M. in proc.
Di Bona, rv. 247147). Non è però richiesta l’idoneità dell’elemento di riscontro in sé
considerato ad offrire dimostrazione del fatto di reato, dovendo operare sul piano della
conferma delle dichiarazioni accusatorie, poiché, diversamente, non sarebbe più applicabile
la regola di giudizio di cui al terzo comma dell’art. 192 cod. proc. pen., ma i principi sulla
pluralità delle prove e sul libero potere di selezione di quelle più affidabili e convincenti da
parte del giudice (Cass. sez. 6 n. 4108 del 17/2/1996, Cariboni, rv. 204439).
2.4 A tali principi l’ordinanza non si è attenuta dal momento che svaluta, in assenza
di puntuale e logica giustificazione, la valenza significativa del dato oggettivo della
presenza degli indagati negli stessi luoghi e negli stessi tempi nei quali il De Melas aveva
acquistato armi e munizioni presso diverse armerie, circostanza che potrebbe, se letta
congiuntamente alle dichiarazioni del predetto chiamante, confermare la consegna di tali
dispositivi ai cessionari.
2.5 Del pari è carente la motivazione in punto di valutazione dell’attendibilità
intrinseca del dichiarante De Melas, il cui portato narrativo non viene analizzato in tutto il
suo sviluppo, per avere il Tribunale isolato singole proposizioni, che all’apparenza
confliggono, ma che, se considerate secondo lo sviluppo cronologico e criminoso delle
vicende, che il ricorso illustra con rituali citazioni testuali, desunte dall’ordinanza genetica
annullata, potrebbero assumere ben altro spessore dimostrativo e rivelare una loro
coerenza interna.
2.6 Infine, anche il giudizio di irrilevanza espresso in merito agli esiti delle
perquisizioni condotte nei riguardi degli indagati non convince sul piano della completezza
e logicità argomentativa e del metodo valutativo degli indizi di reità: si afferma nel
provvedimento impugnato che quanto risultato dall’attività della polizia giudiziaria sarebbe
poco significativo ” rispetto ad un notevolissimo numero di armi ( analiticamente indicato
dal De Melas) acquistato solo nei mesi di novembre e dicembre 2013″; è evidente che,
limitando l’analisi alla constatazione del rinvenimento del numero di armi e munizioni,
risultate in possesso degli indagati, rispetto a quello ben maggiore acquisito dal De Melas,
anche in questo caso il collegio del riesame non espone alcuna giustificazione alternativa
all’ipotesi accusatoria per tale possesso e confonde la funzione del riscontro oggettivo alla
chiamata in correità con la capacità dimostrativa autonoma della prova. Se, invero, tutte le
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Spennato, rv. 234598; sez. 1, n. 11058 del 2/3/2010, Abbruzzese, rv. 246790; sez. 1, n.

armi e le cartucce indicate nell’imputazione fosse state ritrovate nella disponibilità degli
indagati, tale oggettiva constatazione non consentiva dubbi di sorta e rendeva persino
superfluo verificarne la provenienza dal De Melas o da altri.
Per le considerazioni svolte, l’ordinanza impugnata va annullata con rinvio al
Tribunale di Roma per nuovo esame che dovrà attenersi ai principi di diritto sopra esposti.

Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di Roma.
Così deciso in Roma, il 29 aprile 2015.

P. Q. M.

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