Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 25826 del 19/12/2014


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 25826 Anno 2015
Presidente: CORTESE ARTURO
Relatore: CAIAZZO LUIGI PIETRO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE D’APPELLO DI
L’AQUILA
nei confronti di:
MOCCIA ANGELO N. IL 25/07/1957
avverso l’ordinanza n. 583/2013 TRIB. SORVEGLIANZA di
L’AQUILA, del 14/01/2014
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. LUIGI PIETRO
CAIAZZO;
lette/stetite le conclusioni del PG Dott. f.

Uditi difensor Avv.;

Data Udienza: 19/12/2014

RILEVATO IN FATTO
Con ordinanza in data 14.1.2014 il Tribunale di sorveglianza Dell’Aquila dichiarava sussistente,
nei confronti di MOCCIA ANGELO, la fattispecie della collaborazione impossibile, con riferimento
ai fatti per i quali il medesimo era stato condannato con le seguenti sentenze divenute
irrevocabili:
– 1) Corte di assise di Napoli del 28.11.2000
– 2) Corte di assise d’appello di Salerno del 9.6.1997

– 4) Corte di assise d’appello di Roma del 31.5.1999
-5) Tribunale di Napoli del 22.12.1998
-6) Corte di assise d’appello di Napoli del 4.2.2000
– 7) Corte di assise d’appello di Napoli del 28.4.2000
– 8) Corte di assise di Napoli del 6.11.2000
– 9) Tribunale di Napoli del 23.1.2001
-10) Corte di assise d’appello di Salerno del 21.1.2003
– 11) Corte di assise di Napoli del 27.9.2005
– 12) Tribunale di Nocera Inferiore del 13.2.2003.
Il Tribunale di sorveglianza premetteva che il Moccia — il quale stava scontando dal 3.2.1992 le
pene indicate nelle suddette sentenze a seguito del provvedimento di cumulo della Procura
della Repubblica di Napoli in data 16.12.2013 che aveva determinato in anni trenta di
reclusione la pena eseguibile, in applicazione del criterio moderatore previsto dall’art.78 cod.
pen. — aveva chiesto di essere ammesso alla fruizione di un permesso premio, beneficio non
concedibile in quanto il predetto era stato condannato anche per il delitto di cui all’art.416-bis
cod. pen., salvo il caso in cui il Tribunale di sorveglianza avesse accertato la sussistenza delle
condizioni di cui all’art.4-bis/cornma 1-bis della legge 354/1975, il quale ammette anche i
detenuti in espiazione di delitti ostativi ai benefici penitenziari, purché siano stati acquisiti
elementi tali da escludere l’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata e, per
quanto qui rileva, non sia comunque possibile un’utile collaborazione con la giustizia per
l’integrale accertamento dei fatti e delle responsabilità operato con sentenza irrevocabile.
Riteneva che il suddetto accertamento, demandato al Tribunale di sorveglianza, dovesse avere
riguardo alla data di presentazione dell’istanza, per stabilire l’impossibilità della collaborazione,
e che dovesse anche essere limitato ai soli fatti e alle sole responsabilità che formarono
oggetto del giudizio da parte del giudice della cognizione, e quindi non anche ai fatti per i quali
il richiedente non fosse stato condannato o che non fossero stati oggetto del giudizio.
Prese in esame, in separati capitoli, le sentenze sopra indicate, e in ciascuna di esse i reati per
i quali il Moccia era stato condannato, riteneva che in relazione a questi reati fossero stati
identificati tutti i responsabili del fatto storico e che, quindi, dovesse escludersi la presenza di
concorrenti nel reato rimasti ignoti, dei quali fosse stata comunque accertata la presenza e
l’attività nella realizzazione del crimine.
1

– 3) Corte di assise di Salerno del 15.1.1998

Riteneva, inoltre, che fosse stato ricostruito,nei suoi componenti essenziali, ogni fatto per il
quale era intervenuta condanna del Moccia, in particolare con riguardo al movente ed alla
ricostruzione dinamica dell’episodio.
Circa la valutazione dell’esistenza di collegamenti con la criminalità organizzata, il Tribunale di
sorveglianza riteneva accertata l’attuale insussistenza di siffatti collegamenti, tenuto conto del
fatto che del tutto spontaneamente nel febbraio 1992 il Moccia si era costituito nella Casa
circondariale dell’Aquila; che aveva ammesso nei giudizi ai quali era stato sottoposto le proprie
responsabilità, confessando inoltre di aver commesso ulteriori reati per i quali non era stata

del suo passato criminale, rivolgendo anche un appello a coloro che avevano fatto parte
dell’associazione per delinquere da lui capeggiata affinché deponessero le armi e cambiassero
vita.

Avverso l’ordinanza ha proposto ricorso per cassazione la Procura generale della Repubblica
Dell’Aquila, chiedendone l’annullamento per violazione di legge.
In primo luogo la Procura generale ricorrente ha denunciato la mancata valutazione da parte
del Tribunale di sorveglianza delle informazioni della Questura di Napoli sulla pericolosità del
Moccia e la non acquisizione di recenti informazioni della DNA e della DDA.
In secondo luogo ha sostenuto che erroneamente il Tribunale di sorveglianza aveva ritenuto
che il Moccia fosse nell’impossibilità di prestare una collaborazione con la giustizia, non avendo
considerato la posizione che il predetto aveva ricoperto nell’ambito del ristretto direttorio
dell’associazione di stampo camorristico denominata Nuova Famiglia, né aveva considerato che
nelle vicende di cui si erano occupate le sentenze comprese nel provvedimento di cumulo pene
permanevano ancora zone d’ombra che il Moccia avrebbe potuto chiarire.
In particolare, in relazione alla sentenza di cui al punto 1), i capi di imputazione relativi agli
omicidi di Antonio Catapano e di Enrico Gallo, nonché al tentato omicidio di Filippo Gallo,
precisavano che i predetti delitti erano stati commessi, oltre che dagli imputati, da persone non
identificate; in relazione alla sentenza di cui al punto 4), relativa agli omicidi di Caso Giuseppe
e di Caso Angelo Raffaele, si precisava nei capi di imputazione che i delitti erano stati
commessi, oltre che dagli imputati, da persone non identificate;in relazione alla sentenza di cui
al punto 8), relativa agli omicidi di Giuseppe Fusco, Francesco Agozzino ed Angelo Magliulo, si
precisava nei capi di imputazione che i delitti erano stati commessi, oltre che dagli imputati, da
persone non identificate;in relazione alla sentenza di cui al punto 10), non era stata
identificata con certezza la quarta persona che si trovava alla guida dell’auto Golf a bordo della
quale avevano viaggiato le tre persone che materialmente avevano commesso l’omicidio di
Scarpa Alfonso ed il tentato omicidio di Marandino Giovanni; in relazione alla sentenza di cui al
punto 11), relativa al delitto di strage ed all’omicidio di Casillo Vincenzo, non erano stati
individuati i soggetti che avevano procurato l’esplosivo ed il radiocomando nonché il fabbro di
Poggiomarino che aveva modificato l’autovettura sulla quale era stato nascosto l’esplosivo.
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elevata alcuna accusa a suo carico; che risultava aver compiuto una completa revisione critica

Inoltre, nel ricorso si metteva in evidenza che il Moccia non aveva fatto il nome delle persone
che avevano fornito le armi e altro materiale utilizzato per commettere i delitti di cui alle
indicate sentenze.

CONSIDERATO IN DIRITTO
I motivi di ricorso sono infondati.
La ricorrente Procura generale ha innanzi tutto criticato il fatto che il Tribunale di sorveglianza,
per accertare la sussistenza o meno di eventuali collegamenti del Moccia con la criminalità

abbia aggiornato le notizie fornite dalla Direzione Nazionale Antimafia e dalla D.D.A. presso la
Procura della Repubblica di Napoli.
Quanto alle informazioni della Questura di Napoli, però, si rileva dal contenuto delle stesse,
riportato nel ricorso, l’irrilevanza delle notizie riferite dalla predetta Questura, la quale si è
limitata a comunicare un fatto notorio, risultante da tutte le sentenze acquisite, vale a dire che
il Moccia era stato il capo indiscusso dell’omonimo clan camorristico, aggiungendo che lo stesso
doveva essere considerato una persona socialmente pericolosa.
Nulla si è detto nella suddetta informativa in merito all’esistenza di attuali collegamenti del
Moccia con la criminalità organizzata, né sono stati indicati elementi in base ai quali è stato
valutato ancora come pericoloso il Moccia, ignorando persino quanto risulta dalle sentenze
acquisite, riportato nell’ordinanza impugnata, e cioè che il predetto detenuto ha, con
comportamenti concreti, dimostrato di volere recidere qualsiasi legame con l’organizzazione di
cui era stato uno dei capi, prima costituendosi spontaneamente, dopo una lunga latitanza, nel
carcere Dell’Aquila, poi confessando tutti i delitti da lui commessi, anche quelli che non gli
erano stati mai contestati, ed infine rivolgendo un appello ai suoi sodali affinché deponessero
le armi e cambiassero vita.
Con riguardo alle informazioni dei suddetti organi antimafia, nello stesso ricorso si riporta il
parere dell’Aggiunto procuratore nazionale antimafia il quale aveva attestato nel 2002 di non
essere in possesso di notizie che smentissero le affermazioni dei giudici di merito i quali, nel
concedere al Moccia le attenuanti generiche, avevano precisato che lo stesso aveva reciso ogni

organizzata, non abbia tenuto conto delle informazioni fornite dalla Questura di Napoli e non

legame con gli ambienti criminali.
Essendo rimasto il Moccia continuativamente detenuto dopo il suddetto parere, espresso in
data 11.6.2002, non si comprende in base a quali notizie o informazioni la ricorrente Procura
generale abbia ritenuto che dovesse essere aggiornato il riportato parere della D.N.A., essendo
stati peraltro acquisiti agli atti chiari elementi che indicavano come insussistenti collegamenti
del Moccia con ambienti di criminalità organizzata.
Nel ricorso si è anche sostenuto che il Moccia sarebbe in grado di collaborare con la giustizia,
svelando aspetti non chiariti nei processi in cui è stato condannato, e ciò in considerazione
della posizione apicale da lui ricoperta nell’ambito dell’associazione camorristica denominata
Nuova Famiglia.
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t/762

Si deve però rilevare che la ricorrente non si è confrontata con le analitiche argomentazioni
svolte nell’ordinanza impugnata che, prendendo in considerazione ogni vicenda in cui era stato
implicato il Moccia, ha concluso che era divenuta impossibile ogni collaborazione con la
giustizia in relazione alle suddette vicende, poiché le stesse erano state chiarite, in tutti gli
aspetti essenziali, non solo dalle dichiarazioni confessorie rese dal Moccia, ma anche dalle
numerose dichiarazioni dei collaboratori di giustizia che, anche grazie all’appello del Moccia,
avevano intrapreso una proficua collaborazione con la giustizia.

menzionate sentenze comprese nel citato provvedimento di cumulo pene, si è fatto riferimento
solo ai capi di imputazione, senza considerare in alcun modo quanto era emerso nel corso dei
diversi processi, riportato invece nella motivazione dell’ordinanza impugnata.
La ricorrente ha indicato anche alcuni aspetti delle vicende in questione che, anche dopo lo
svolgimento dei processi nei confronti del Moccia, non erano stati chiariti, ma non ha dato
indicazioni sulla essenzialità di tali aspetti, al fine della ricostruzione dei fatti ad opera dei
giudici di merito, né ha indicato le specifiche ragioni dalle quali si sarebbe dovuto desumere
che il Moccia era in possesso di notizie utili per chiarire i suddetti aspetti, peraltro rimasti
oscuri nonostante l’audizione di decine di collaboratori di giustizia, evidentemente anche loro,
come il Moccia, non in grado di colmare le denunciate lacune.
Pertanto, risultando giuridicamente e logicamente corrette le riportate conclusioni a cui è
pervenuto il Tribunale di sorveglianza nell’esaminare la richiesta del Moccia di accertare
l’impossibilità della sua collaborazione nelle vicende giudicate con le sentenze per le quali era
stato condannato, il ricorso della Procura generale Dell’Aquila deve essere rigettato.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Così deciso in Roma in data 19 dicembre 2014
Il Consigliere estensore

Nel ricorso, per sostenere che non erano stati individuati tutti gli autori dei delitti indicati nelle

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