Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 25816 del 12/05/2015


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 25816 Anno 2015
Presidente: SIOTTO MARIA CRISTINA
Relatore: CENTONZE ALESSANDRO

SENTENZA

Sul ricorso proposto da:
1) Di Caterino Massimo, nato il 22/02/1972;

Avverso la sentenza n. 2760/2013 emessa 1’01/10/2013 dalla Corte di
appello di Napoli;

Udita la relazione svolta in pubblica udienza dal Consigliere dott. Alessandro
Centonze;

Udito il Procuratore generale, in persona del dott. Enrico Delehaye, che ha
concluso per l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata
limitatamente all’aggravante di cui all’art. 7 del d.l. 13 febbraio 1991, n.
152; per il rigetto nel resto del ricorso;

Uditi per l’imputato l’avv. Mauro Iodice e l’avv. Gennaro Clero;

Data Udienza: 12/05/2015

RILEVATO IN FATTO

1. Con sentenza emessa 1’01/02/2013 il G.U.P. del Tribunale di Napoli,
procedendo con rito abbreviato, condannava Massimo Di Caterino alla pena di
anni 2 di reclusione e 600,00 euro di multa, oltre al pagamento delle spese
processuali e alle pene accessorie di legge.
All’imputato si contestava la detenzione di una pistola calibro 7,65 con
matricola abrasa caricata con nove cartucce – di cui una nella camera di

contestata al capo A), cui si collegavano i reati di cui ai capi B), C) e D) della
rubrica. Tale reato risultava commesso a Francolise il 06/10/2012 ed era
aggravato dalla latitanza dell’imputato latitante e dalla finalità di agevolare il clan
dei casalesi, nel quale ricopriva un ruolo apicale.
La decisione di primo grado scaturiva dall’irruzione delle forze dell’ordine
presso l’abitazione dove il Di Caterino trascorreva la latitanza, ubicata nella
frazione del Comune di Sant’Andrea del Pizzone di Francolise, in via Roma n. 22,
finalizzata all’esecuzione all’ordinanza di custodia cautelare emessa nei confronti
dell’imputato dal G.I.P. del Tribunale di Napoli il 17/03/2012. Al momento
dell’irruzione, l’imputato consegnava spontaneamente la pistola di cui al capo A),
che deteneva con le modalità di cui in rubrica, custodendola all’interno di un
marsupio di pelle.
Sulla scorta di tali elementi probatori, il Di Caterino veniva condannato alla
pena richiamata in premessa.

2. Avverso tale sentenza l’imputato proponeva appello, a mezzo del suo
difensore, censurando la mancata esclusione dell’art. 7 del d.l. 13 maggio 1991,
n. 152 e la mancata concessione delle attenuanti generiche; in via subordinata,
si chiedeva il contenimento della pena irrogata all’appellante entro i minimi
edittali.

3.

Con sentenza emessa 1’01/10/2013 la Corte di appello di Napoli

confermava la sentenza impugnata sotto il profilo della responsabilità penale
dell’appellante – peraltro non controversa – e del trattamento sanzionatorio
irrogato dal giudice di primo grado, che veniva ritenuto congruo rispetto
all’inquadramento della vicenda delittuosa in esame.
In conseguenza di tale giudizio di congruità, la corte territoriale confermava
la pena irrogata all’imputato con la sentenza impugnata, condannandolo al
pagamento delle ulteriori spese processuali.

2

cartuccia – e di un ulteriore caricatore con otto cartucce dello stesso calibro,

4. Avverso tale sentenza Massimo Di Caterino ricorreva per cassazione, a
mezzo dell’avv. Massimo Iodice, deducendo, quale unico motivo, la violazione
dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., in relazione all’art. 7 del d.l. n.
152 del 1991, deducendo che nessun elemento probatorio provava che la pistola
era detenuta dal ricorrente per agevolare la consorteria camorristica di cui in
rubrica ovvero che l’arma fosse stata nella disponibilità del ‘medesimo sodalizio
criminale.
Si contestava, inoltre, l’assunto difensivo dal quale muoveva la corte

dalla sua partecipazione, in posizione apicale, al clan dei casalesi, risultando tale
circostanza meramente congetturale.
Tali ragioni imponevano l’annullamento della sentenza impugnata.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile.
Deve, in proposito, rilevarsi che, nel caso di specie, non è contestabile la
sussistenza dei presupposti dell’aggravante contestata ai sensi dell’art. 7 del d.l.
n. 152 del 1991, risultando accertato che la condotta del Di Caterino si inseriva
in un contesto camorristico, collegato alla sfera di operatività del clan dei
casalesi, conformemente alla contestazione di cui al capo A) della rubrica.
In tale ambito camorristico, il ricorrente, ricopriva un ruolo associativo di
rilievo, nel valutare il quale occorre rilevare che la detenzione della pistola con
matricola abrasa calibro 7,65 e delle relative munizioni veniva accertata all’esito
di una perquisizione eseguita all’interno dell’abitazione dove il Di Caterino
trascorreva la sua latitanza, attuata per sfuggire all’ordinanza di custodia
cautelare emessa nei suoi confronti dal G.I.P. del Tribunale di Napoli il
17/03/2012.
In questa cornice, in via preliminare, deve rilevarsi che costituisce un

territoriale nel formulare tale giudizio di colpevolezza dell’imputato, costituito

orientamento ermeneutico consolidato quello secondo cui, per la configurazione
dell’aggravante dell’art. 7 del d.l. n. 152 del 1991, non è necessario un
collegamento esclusivo tra la condotta delittuosa e la consorteria criminale al
quale l’imputato risulta collegato, essendo possibile che il comportamento illecito
miri al perseguimento di finalità personali, purché connesse alla sfera di
operatività dello stesso sodalizio. Ne consegue che la detenzione di un’arma da
parte di un associato a un’organizzazione camorristica, resosi latitante per
sfuggire alla cattura, ha certamente la funzione preminente di tutelare la sua
sicurezza personale durante la latitanza, ma mira al contempo a dimostrare a

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t

eventuali terzi il proprio potere associativo (cfr. Sez. 2, n. 17879 del
13/03/2014, dep. 29/04/2014, Pagano e altri, Rv. 260007).
In questa cornice ermeneutica, occorre ulteriormente evidenziare che il Di
Caterino non soltanto versava in una condizione di latitanza, ma si sottraeva alla
misura cautelare emessa nei suoi confronti sin dal 2010, predisponendo al
contempo una serie di accorgimenti idonei a garantirgli la sua sicurezza
personale, come dimostrato dal fatto che poteva accedere dal bagno dello stesso
immobile a un rifugio protetto dove nascondersi. Tale accesso, in particolare,

spostamento delle pareti e l’ingresso nel bunker adiacente.
Inoltre, nel corso della perquisizione domiciliare eseguita nell’immediatezza
dei fatti, venivano sequestrati una cospicua somma di denaro, ammontante a
circa 9.000,00 euro e otto “pizzini”, recanti indicazioni dettagliate di soggetti
presumibilmente sottoposti a estorsione, nonché luoghi e somme di denaro da
riscuotere, che evidenziavano come il Di Caterino continuava a esercitare il suo
ruolo apicale all’interno del clan dei casalesi nel luogo dove trascorreva la sua
latitanza, nel corso della quale veniva arrestato.
Sulla base di questi univoci elementi probatori, sulla ricorrenza della
circostanza aggravante prevista dall’art. 7 del d.l. n. 152 del 1991, deve
concordarsi con la pronuncia della corte territoriale, quando, a pagina 4 del
provvedimento in esame, con una motivazione esente da censure, affermava:
«Ebbene si ritiene che proprio il contesto della condotta illecita dell’imputato
deponga univocamente per l’affermazione di una potenzialità elevata del Di
Caterino ed una disponibilità di risorse che in punto di logica può essere
giustificata unicamente con la speculare disponibilità dell’associazione
predominante sul territorio, individuabile nel clan dei casalesi».
Nel caso di specie, a prescindere dai legami tra il Di Caterino e il clan dei
casalesi, che pure possono ritenersi incontroversi, la conferma della correttezza
delle contestazioni elevate al ricorrente ci proviene dalla giurisprudenza
consolidata di questa Corte, secondo cui: «In tema di reati di criminalità
organizzata, la ratio della circostanza aggravante di cui all’art. 7 D.L. n. 152 del
1991, convertito in legge n. 203 del 1991, non è solo quella di aggravare la pena
per chi utilizza metodi mafiosi o agisce al fine di agevolare associazioni mafiose,
ma anche nei confronti di chi – pur non organicamente inquadrato in tali
associazioni – agisca con metodi mafiosi o, comunque, dia un contributo al
raggiungimento dei fini di un’associazione mafiosa» (cfr. Sez. 2, n. 44402 del
27/09/2004, dep. 12/11/2004, Colicchia, Rv. 231010).
Queste considerazioni processuali inducono a ritenere inammissibili le
doglianze difensive esaminate.
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veniva attivato dal box doccia del bagno dell’immobile, consentendo lo

2. Per queste ragioni il ricorso proposto da Massimo Di Caterino deve essere
dichiarato inammissibile, con la sua condanna al pagamento delle spese
processuali e, non ricorrendo ipotesi di esonero, al versamento di una somma
alla Cassa delle ammende, congruamente determinabile in 1.000,00 euro, ai
sensi dell’art. 616 cod. proc. pen.

P.Q.M.

spese processuali e della somma di euro 1.000,00 alla Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 12 maggio 2015.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle

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