Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 25809 del 05/05/2015


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 25809 Anno 2015
Presidente: SIOTTO MARIA CRISTINA
Relatore: DI TOMASSI MARIASTEFANIA

SENTENZA

sul ricorso proposto da BONALUMI Francesco, nato Milano, il 12/07/1958,
avverso la sentenza emessa in data 25/05/2014 dal Giudice dell’udienza
preliminare del Tribunale di Bergamo.
Visti gli atti, la sentenza impugnata, il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere M.Stefania Di Tornassi;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale
Francesco Mauro Iacoviello, che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio
del provvedimento impugnato limitatamente alla interdizione dai pubblici uffici.

RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza emessa ai sensi degli artt. 444 e 448 cod. proc. pen. in
data 14 novembre 2012, il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di
Bergamo applicava a BONALUMI Francesco la pena di tre anni di reclusione per
il reato continuato di cui agli artt. 223, 216 e 219 r.d. n. 267 del 1942 e 2 d.lgs.

1

Data Udienza: 05/05/2015

n. 74 del 2000, riferito a quattro annualità, riconosciuta altresì la continuazione
con i reati oggetto di altre quattro sentenze di condanna, e dichiarava il
BONALUMI interdetto dai pubblici uffici per 5 anni, inabilitato all’esercizio di un
impresa commerciale e incapace di esercitare uffici direttivi presso qualsiasi
impresa per 10 anni, interdetto dagli uffici direttivi delle persone giuridiche per
anni 1, incapace di contrattare con la pubblica amministrazione per anni 3,
interdetto dalle funzioni di rappresentanza ed assistenza in materia tributaria per
anni 5, interdetto in perpetuo dall’ufficio di componente di commissioni
tributarie.
cassazione annullava con rinvio detta decisione limitatamente alle «sanzioni
accessorie dell’interdizione dagli uffici direttivi delle persone giuridiche,
dell’incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione e dell’interdizione
da funzioni di rappresentanza ed assistenza tributaria con rinvio al Tribunale di
Bergamo per nuovo esame».
Osservava tuttavia, in motivazione, che «esclusa ogni censura alle modalità
di applicazione delle pene accessorie a durata fissa (interdizione perpetua
dall’ufficio di componente della Commissione Tributaria e pubblicazione della
sentenza ex art. 36 cod. pen.), tutte le altre pene accessorie non determinate in
misura fissa, inflitte al ricorrente, avrebbero dovuto essere parametrate alla
pena principale in concreto inflitta per il singolo reato di riferimento e, posto che
questo risulta[va] nella specie un reato satellite (il reato sub 2) unificato per
l’appunto in continuazione al reato sub 1), avrebbe dovuto aversi riguardo alla
pena che, se non vi fosse stato il concorso, sarebbe stata inflitta in concreto per
esso (così art. 77 c.p. cit.): pena la cui durata, dunque, il Giudice del rinvio
[avrebbe dovuto] determinare». Quanto, poi, alla pena accessoria della
interdizione dai pubblici uffici, posto che essa «è prevista in misura fissa dall’art.
29 cod. pen. per le condanne non inferiori a tre anni di reclusione, ma è anche
prevista in misura non fissa per talune condanne in materia di reati tributari (d.
Igs. n. 74 del 2000, art. 12, comma 2)», in relazione ad essa il giudice di rinvio,
avrebbe dovuto «specificare il reato e la singola pena principale cui intende[va]
parametrare la durata di quella accessoria in esame [ai sensi della] I. n. 74 del
2000, ex art. 12, comma 2, fissandone conseguentemente la entità secondo i
criteri sopra enunciati.»
1.3. Con la sentenza in epigrafe il Giudice dell’udienza preliminare del
Tribunale di Bergamo, rilevato che la rideterminazione delle pene accessorie era
da riferire alla pena inflitta per il reato continuato di cui all’art. 2 del d.lgs. n. 74
del 2000, ritenuto a sua volta in continuazione con il reato di bancarotta,
determinava ai sensi degli artt. 77 cod. pen. e 12 del medesimo decreto n. 74
del 2000 la pena che in concreto si sarebbe dovuta applicare per esso nella
misura di 1 anno e 2 mesi di reclusione (così calcolata: 1 anno e 6 mesi di
reclusione per il fatto più grave, relativo all’annualità del 2006; aumentata di 1
mese per ciascuna delle altre tre annualità; ridotta la pena così ottenuta di un
terzo per il rito) e applicava per conseguenza al Bonalumi le pene accessorie

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2. Con sentenza in data 18/10/2013, la Quinta Sezione della Corte di

dell’interdizione dagli uffici direttivi delle persone giuridiche, dell’incapacità di
contrattare con la pubblica amministrazione e dell’interdizione da funzioni di
rappresentanza ed assistenza tributaria per il periodo di un anno e due mesi.
Confermando nel resto la sentenza di applicazione della pena.
2. Ha proposto ricorso l’imputato a mezzo del difensore avvocato Paolo
Tosoni, che lamenta l’omessa ridetermìnazione altresì della pena accessoria
dell’interdizione dai pubblici uffici, evidenziando in particolare che, in base ai
criteri dettati dalla sentenza di annullamento e al calcolo effettuato dal giudice
ridotta a un anno e due mesi.
CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Osserva il Collegio che il ricorso appare fondato.
2. Come già rilevato dalla sentenza di annullamento con rinvio della Quinta
sezione, la pena accessoria della interdizione dai pubblici uffici è prevista in
misura fissa dall’art. 29 cod. pen. per le condanne non inferiori a tre anni di
reclusione, ed è anche prevista in misura non fissa, per un periodo non inferiore
a un anno e non superiore a tre anni, dall’art. 12 d.lgs. n. 74 del 2000 per le
condanne per i reati di cui agli artt. 2, 3 e 8 dello stesso decreto.
Poiché la pena complessivamente applicata per i reati di bancarotta,
dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture per operazioni inesistenti e altri
reati precedentemente giudicati era pari a tre anni, è evidente che alla stessa
non poteva conseguire l’interdizione dei pubblici uffici per cinque anni a mente
del’art. 29 cod. pen..
Tant’è che correttamente, in motivazione, la medesima sentenza di
annullamento disponeva che anche in relazione ad essa il giudice di rinvio,
avrebbe dovuto specificare il reato e la singola pena principale cui intendeva
parametrare la durata della interdizione dai pubblici uffici ai sensi dell’art. 12,
comma 2, I. n. 74 del 2000, fissandone conseguentemente la entità secondo i
criteri dell’art. 77 cod. pen. e tenuto conto della riduzione per il rito.
La circostanza che nel dispositivo di detta sentenza non fosse
espressamente menzionata anche l’interdizione dai pubblici uffici tra le pene
accessorie oggetto d’annullamento appare dunque evidentemente frutto di mero
errore materiale. E non consente comunque di ritenere preclusa la correzione
della pena accessoria illegale, giacché, conseguendo la stessa di diritto alla
sentenza di condanna quale effetto penale della stessa (art. 20 cod. pen.), e
dovendo la sua durata essere parametrata alla pena principale inflitta per il reato
a cui accede (art. 37 cod. pen.), alla sua riduzione nei termini di legge dovrebbe
comunque provvedere, anche dopo il passaggio in giudicato della sentenza di
condanna, il giudice dell’esecuzione (Sez. U, n. 620 del 27/11/2014, Basile, Rv.
262328 e Rv. 262327).

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del rinvio, anche la durata di detta pena accessoria avrebbe dovuto essere

Ma trattandosi, appunto, di pena accessoria determinabile, senza alcuna
discrezionalità, nella specie e nella durata, in base alla durata della pena
principale e delle altre pene accessorie calcolate dal giudice di merito per il reato
di cui all’art. 2 d.lgs. n. 74 del 2000, alla rideterminazione della sua durata può
provvedere direttamente questa Corte.
2. Per conseguenza, la sentenza impugnata deve essere annullata senza
rinvio limitatamente alla durata della pena accessoria dell’interdizione dai

P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alla durata della
pena accessoria della interdizione dai pubblici uffici, che determina in un anno e
due mesi.
Così deciso il 5 maggio 2015
Il consigliere stensore

Il Presidente

pubblici uffici, che va fissata in un anno e due mesi.

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