Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 25806 del 04/03/2015


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 25806 Anno 2015
Presidente: CORTESE ARTURO
Relatore: MAGI RAFFAELLO

Data Udienza: 04/03/2015

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE D’APPELLO DI
REGGIO CALABRIA
nei confronti di:
LATELLA CARMELO N. IL 09/10/1965
avverso la sentenza n. 705/2013 CORTE APPELLO di REGGIO
CALABRIA, del 02/04/2014
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 04/03/2015 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. RAFFAELLO MAGI
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Net CAD F;JUA. (k:
che ha concluso Per ,s,e.
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RITENUTO IN FATTO

1. In data 2 aprile 2014 la Corte d’Appello di Reggio Calabria ha emesso
sentenza di assoluzione per non aver commesso il fatto nei confronti di Latella
Carmelo classe ’65, così riformando la decisione di primo grado – emessa dal
Tribunale di Reggio Calabria in data 13 dicembre 2012 – che aveva riconosciuto il
Latella responsabile del reato di detenzione illegale aggravata ai sensi dell’art. 7
d. I. n.152 del 1991 (conv. in legge n.203 del 1991) di armi da guerra, esplosivi,

Ad avviso dei giudici di secondo grado il quadro indiziario posto a carico di Latella
Carmelo, in rapporto alla custodia delle armi e delle munizioni per conto di terzi,
non presenta i caratteri di gravità, precisione e concordanza richiesti dalla norma
di cui all’art. 192 co.2 cod.proc.pen. .
Va ricordato, in premessa, che l’imponente arsenale descritto in imputazione (n.
8 fucili calibro 12, n. 1 pistola mitragliatrice calibro 9, n. 2 pistole calibro 22, n.1
pistola calibro 9 x 19, n.1 pistola calibro 9 x 21, n.10 formelle di tritolo, n.11
spezzoni di gelatina esplosiva, più di mille cartucce di vario calibro ed altro)
venne rinvenuto in data 3 giugno 2010 in un casolare adibito a ricovero di
attrezzi agricoli sito in località Bocale di proprietà di tal Baccellieri Carlo ma di
fatto utilizzato da più di quaranta anni da Latella Giovanni, padre di Latella
Carmelo, soggetto di età avanzata (88 anni al momento del rinvenimento).
Le armi e le munizioni erano, in particolare, custodite in alcuni grossi sacchi di
cellophane (e in una valigetta) riposti in un soppalco cui si poteva accedere
tramite una scala ed erano in ottimo stato di conservazione, alcune pronte
all’uso. Uno dei fucili risultava oggetto di furto denunziato il 31 gennaio 2010
(dunque pochi mesi prima del rinvenimento).
L’istruttoria dibattimentale svoltasi in primo grado ha pertanto avuto ad oggetto
l’analisi della «disponibilità effettiva» del casolare, in tutta evidenza utilizzato
anche come luogo di deposito di materiale balistico che per le sue caratteristiche
(numerose armi con matricola abrasa, esplosivi, munizioni) è stato ritenuto
‘servente’ alle necessità della organizzazione criminale denominata

indrangheta

operante in zona.
E’ emerso, in particolare che il principale utilizzatore del casolare – il cui accesso
principale sulla via Nazionale era chiuso con un lucchetto apposto pochi mesi
prima del fatto – era l’anziano Latella Giovanni che si recava pressocchè ogni
giorno nel fondo circostante e che deponeva gli attrezzi agricoli al suo interno.
E’ emerso altresì che le chiavi del lucchetto erano per lo più riposte all’interno di
un furgoncino – motoape – bene di pertinenza della ditta intestata ad uno dei figli
del Latella Giovanni di rivendita di sementi (soggetto diverso dall’imputato
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munizioni e armi comuni da sparo (fatto del 3 giugno 2010).

Latella Carmelo) che il Latella Giovanni utilizzava abitualmente per i suoi
spostamenti, sia pure facendosi accompagnare da un operaio. Vi era anche un
secondo accesso dal giardino, sovente lasciato aperto ma che all’atto del
sopralluogo dei carabinieri venne trovato chiuso tramite un fil di ferro annodato
dall’interno.
L’opzione di accusa si era indirizzata verso il Latella Carmelo, figlio di Giovanni,
posto che costui era ritenuto soggetto ‘vicino’ a persone stabilmente inserite
nella organizzazione mafiosa operante in zona (Pellaro) ed in particolare a tal

appartenenza alla associazione mafiosa).
Latella Carmelo era stato controllato con il Riggio il 22 e il 25 settembre 2007.
Inoltre, in precedenza, il Latella Carmelo ed il Riggio avevano intrapreso una
comune attività commerciale in Lamezia Terme.
I due erano anche citati insieme in una ‘ballata’ che inneggiava alla Madonna
della Montagna di Polsi.
Il Tribunale, nella decisione affermativa di responsabilità di Latella Carmelo
evidenziava alcuni aspetti di valenza indiziaria consistenti :

nel fatto che il Latella Carmelo cooperava di fatto alla gestione della ditta di

rivendita di sementi del fratello Pasqualino ed aveva pertanto la disponibilità di
fatto del furgone ove erano custodite le chiavi di accesso al casolare;
– nel fatto che il Latella Giovanni, a causa dell’età particolarmente avanzata, si
muoveva con difficoltà e di certo non avrebbe potuto salire sul soppalco ove
erano custodite le armi, posto ad una altezza di circa due metri;
– nel fatto che il Latella Carmelo in sede di interrogatorio aveva in un primo
momento affermato di essersi recato in quel fondo ‘solo da bambino’ mentre
alcuni testi hanno riferito della sua presenza, sia pure saltuaria, in tempi recenti;
– nel fatto che la costante presenza in quei luoghi di Latella Giovanni escludeva
di poter definire il casolare come luogo abbandonato, il che implicava peraltro un
sicuro rapporto di fiducia tra chi aveva la disponibilità del luogo in questione e
chi aveva scelto di depositare lì le armi e le munizioni di consistente valore
strategico;

nelle frequentazioni di Latella Carmelo con esponenti di rilievo della

organizzazione, tra cui il Riggio.
In secondo grado veniva realizzata perizia al fine di accertare eventuali tracce
biologiche o dattiloscopiche riconducibili all’imputato, sulle armi o sui contenitori,
con esito negativo.
La Corte d’Appello, nel rivalutare gli indizi tesi a rappresentare il collegamento
tra Latella Carmelo ed il luogo di deposito delle armi li riteneva imprecisi.

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Riggio Carmelo detto ‘il petroliere’ (sottoposto a misura cautelare per

Il ragionamento muove dalla constatazione del sicuro ‘dominio’ del casolare da
parte di Latella Giovanni, definito il ‘grande assente’ della scena processuale.
Quanto al Latella Carmelo, si osserva che nessuno dei dati valutati in primo
grado ha una reale portata significativa.
Vero è che costui poteva avere facile accesso al luogo e poteva procurarsi
altrettanto facilmente le chiavi ma ciò non è sufficiente ad individuarlo come
soggetto che mise a disposizione di terzi il deposito.
Le frequentazioni accertate con il Riggio risalgono al 2007, dunque vi è

sospetto, ed anche la compresenza nella ‘ballata’ dedicata alla Madonna della
Montagna non è un dato univoco.
Non possono trasi indizi dalla condotta processuale tenuta dal Latella Carmelo,
tesa ad allontanare da sè i sospetti.
Si è in presenza, pertanto, di un circolo indiziario imperfetto che non riesce a
saldarsi, ulteriormente impoverito dall’assenza di tracce riferibili all’imputato
sugli involucri delle armi.

2. Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione – a mezzo del
difensore – il PG territoriale, deducendo vizio di motivazione.
Si rappresenta un primo vizio di contraddittorietà, posto che anche per i giudici
di secondo grado il deposito di un simile quantitativo di armi e munizioni
implicava un rapporto fiduciario tra i soggetti ‘titolari’ delle armi e coloro che ne
assicuravano la pronta reperibilità.
Tale rapporto fiduciario viene ipotizzato come sussistente in capo all’anziano
Latella Giovanni, ormai novantenne e con gravi difficoltà deambulatorie, il che
appare del tutto irragionevole anche in rapporto al fatto che nell’arsenale era
presente un fucile rubato di recente e le armi erano tutte in ottimo stato di
conservazione.
Vi è stata pertanto assoluta sottovalutazione di alcuni dati, nonchè lettura
parziale e atomistica del compendio probatorio.
Si evidenzia che Latella Carmelo aveva il possesso di fatto del furgoncino ove
erano custodite le chiavi e che la lettura fornita dalla Corte di secondo grado
delle frequentazioni tra il Latella Carmelo ed il Riggio è del tutto superficiale.
Non si è tenuto conto del fatto che secondo il dichiarante Barreca Santo nel
locale adibito a pub che il Latella ed il Riggio gestivano in Lamezia Terme si
erano tenute riunioni di ‘ndrangheta, il che rappresenta conferma della
particolare valenza del rapporto tra i due. E’ stato svalutato il dato rappresentato
dalla presenza del Latella e del Riggio nel testo della ‘ballata’, dato l’alto valore

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consistente distanza temporale dal fatto. Può parlarsi sul punto di un mero

simbolico del culto della Madonna della Montagna di Polsi nel contesto criminale
di riferimento.
Si conclude pertanto per un cattivo utilizzo dei criteri logici più volte evidenziati
da questa Corte di legittimità quali linee guida sulla ricostruzione indiziaria.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1.1 La decisione impugnata non realizza una coerente ed organica valutazione
dei dati indizianti emersi nel corso dell’istruttoria, omettendo l’analisi di dati
informativi rilevanti ed in ciò violando il dovere di completezza motivazionale.
Sul punto è bene premettere che il sindacato esercitabile nella presente sede di
legittimità riguarda solo in via indiretta il risultato della valutazione ma si esplica
essenzialmente sul metodo seguito, in ossequio a principi ormai sedimentati che
consentono di disegnare un profilo generalizzato del controllo di congruità e
logicità motivazionale da parte di questa Corte.
Il dato di partenza resta rappresentato dal rapporto esistente tra tre dati
normativi :
– l’art. 192 comma 2 secondo il cui contenuto l’esistenza di un fatto non può
essere desunta da indizi a meno che questi non siano gravi, precisi e
concordanti;
– l’art. 546 comma 1 lett. e in tema di struttura argomentativa della motivazione,
con il correlato obbligo di indicazione delle prove poste a base della decisione e
l’enunciazione delle ragioni per le quali il giudice ritiene non attendibili le prove
contrarie;
– l’art. 533 comma 1 lì dove esplica il criterio di giudizio per cui la decisione di
condanna va emessa (solo) se l’imputato risulta colpevole del reato contestatogli
al di là di ogni ragionevole dubbio.
Legare i contenuti di dette norme in un unico precetto di fondo equivale a dire
che la motivazione della sentenza, per resistere alle critiche espresse nel ricorso
deve fornire una piena e coerente spiegazione circa l’avvenuta considerazione
del peso dimostrativo dei singoli elementi indizianti e circa la loro valenza
nell’ambito della necessaria correlazione, senza trascurare alcun dato
significativo, e deve esplicitare – lì dove necessario – se il ‘ragionevole dubbio’ si
fondi su una possibile spiegazione alternativa dei fatti (coerente con le risultanze
istruttorie) o se tragga origine dalla semplice inconsistenza dei dati dimostrativi
posti a base della ricostruzione.

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1. Il ricorso risulta fondato e va pertanto accolto, per le ragioni che seguono.

L’assoluzione, nell’attuale quadro normativo, può infatti fondarsi – in un processo
basato su prova indiziarla – o sulla mancata attribuzione ai dati probatori della
caratteristica di indizi nel senso imposto dall’art. 192 (dunque insufficienza dei
contenuti dimostrativi) o sulla emersione, pur in presenza di dati indizianti
significativi, di un ragionevole dubbio tratto da altri dati istruttori capaci di
introdurre una concreta (e non manifestamente illogica) ipotesi alternativa.
Il dubbio, peraltro, per determinare l’ingresso di una reale ipotesi alternativa di
ricostruzione dei fatti, è solo quello «ragionevole» e cioè quello che trova

escludere o di superare (in tal senso Sez. I n.3282 del 2012 del 17.11.2011,
nonchè, in termini generali, Sez. I n. 31546 del 21.5.2008, rv 240763) .
Così come la sua affermazione impone un confronto con le emergenze
processuali, nel senso che per pervenire alla affermazione di responsabilità è
necessario che il dato probatorio acquisito deve essere tale da lasciar fuori solo
eventualità remote, pur astrattamente formulabili come possibili

‘in rerum

natura’ ma la cui effettiva realizzazione nella fattispecie concreta risulti priva del
benchè minimo riscontro nelle emergenze processuali, ponendosi al di fuori
dell’ordine naturale delle cose e della ordinaria razionalità umana, secondo Sez. I
n. 31456 del 21.5.2008, rv 240763.
E’ evidente, pertanto, che i copiosi insegnamenti espressi negli arresti di questa
Corte trovano un comune denominatore nella verifica non solo di «logicità» dei
contenuti motivazionali (nel senso di corretta applicazione di massime di
esperienza capaci di identificare il reale valore dimostrativo degli elementi di
prova rispetto al fatto da provare) ma soprattutto di «completezza» della
motivazione, nel senso che nessun elemento significativo – sia esso dotato di
valenza a carico o a discarico – può essere trascurato nella economia della
decisione, pena la vanificazione del contenuto precettivo dell’art. 546
cod.proc.pen. .
In tal senso, fermo restando che il sindacato sulla motivazione del
provvedimento impugnato va compiuto attraverso l’analisi dello sviluppo
motivazionale espresso nell’atto e della sua interna coerenza logico-giuridica,
trattandosi di valutare non già il fatto in quanto tale ma l’opzione del fatto come
recepita dal giudice di merito (Sez. I, 6.6.1996, ric. Lombardi), non può dirsi
estranea al giudizio di legittimità la verifica dei punti in cui si articola il percorso
decisòrio anche nelle ipotesi – come quella in esame – in cui il giudice di merito
ha ritenuto di non pervenire alla affermazione di penale responsabilità.
Il controllo di completezza e logicità, in tali ipotesi, non viene espresso in chiave
– è bene precisarlo – di raggiungimento di un «risultato» necessariamente
diverso rispetto a quello espresso nella decisione impugnata ma resta ancorato
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conforto nella buona logica, non certo quello che la logica stessa consente di

alla verifica del metodo utilizzato e delle singole operazioni ricostruttive operate,
dato che il vizio di metodo – ove riscontrato – non può che determinare
l’annullamento della decisione in vista di una futura deliberazione capace di
emendarlo.
2. Ciò posto, vanno ricordate le principali coordinate giurisprudenziali in tema di
controllo motivazionale emerse nella presente sede di legittimità.
Le funzioni di controllo sull’apparato argomentativo, delimitate dalla avvenuta
esplicazione dei motivi di ricorso, possono comportare diversi livelli di verifica,

– verifica circa la completezza e la globalità della valutazione operata in sede di
merito, non essendo consentito operare irragionevoli parcellizzazioni del
materiale indiziario raccolto (in tal senso, tra le molte, Sez. H n. 9269 del
5.12.2012, Della Costa, Rv. 254871) nè omettere la valutazione di elementi
obiettivamente incidenti nella economia del giudizio (in tal senso Sez. IV,
n.14732 del 1.3.2011, Molinari°, Rv 250133 nonchè Sez. I, n.25117 del
14.7.2006, Stojanovic, Rv 234167) ;
– verifica circa l’assenza di evidenti errori nell’applicazione delle regole della
logica tali da compromettere passaggi essenziali del giudizio formulato (si veda
in particolare la ricorrente affermazione della necessità di scongiurare la
formulazione di giudizi meramente congetturali, basati cioè su dati ipotetici e
non su massime di esperienza generalmente accettate, rinvenibile di recente in
Sez. VI n. 6582 del 13.11.2012, Cerrito, Rv 254572 nonchè in Sez. H n. 44048
del 13.10.2009, Cassarino, Rv 245627) ;
– verifica circa l’assenza di insormontabili contraddizioni interne tra i diversi
momenti di articolazione del giudizio (cd. contradditorietà interna) ;
– verifica circa la corretta attribuzione di significato dimostrativo agli elementi
valorizzati nell’ambito del percorso seguito (applicazione dell’art. 192) e circa
l’assenza di incompatibilità di detto significato con specifici atti del procedimento
indicati ed allegati in sede di ricorso (cd. travisamento della prova) lì dove tali
atti siano dotati di una autonoma e particolare forza esplicativa, tale da
disarticolare l’intero ragionamento svolto dal giudicante (in tema di incidenza del
travisamento, ex multis , Sez. I n. 41738 del 19.10.2011, rv 251516).
Ciò posto, va ulteriormente premesso che nel caso in esame gli elementi
sottoposti a valutazione risultano, come si è detto, tutti di natura indiziaria.
Non è un fuor d’opera, pertanto, ricordare che l’apprezzamento della valenza
dimostrativa degli indizi è l’operazione di maggiore difficoltà in campo
ricostruttivo, essendo l’indizio un dato cognitivo soggetto a un deficit strutturale
in punto di rappresentazione del fatto da provare.

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così sintetizzabili :

Da ciò la cautela normativa prima ricordata, il cui fondamento è ben espresso,
tra le molte, da Sez. U n. 6682 del 4.2.1992, rv 191230, secondo il cui
insegnamento la correttezza del metodo è l’unica garanzia circa l’affidabilità del
risultato ricostruttivo.
L’indizio è un fatto certo dal quale, per interferenza logica basata su regole di
esperienza consolidate ed affidabili, si perviene alla dimostrazione del fatto
incerto da provare secondo lo schema del cosiddetto sillogismo giudiziario.
È possibile che da un fatto accertato sia logicamente desumibile una sola

fatti non noti ed in tal caso può pervenirsi al superamento della relativa
ambiguità indicativa dei singoli indizi applicando la regola metodologica fissata
nell’art. 192, comma secondo, cod. proc. pen; peraltro l’apprezzamento unitario
degli indizi per la verifica della confluenza verso un’univocità indicativa che dia la
certezza logica dell’esistenza del fatto da provare, costituisce un’operazione che
presuppone la previa valutazione di ciascuno singolarmente, onde saggiarne la
valenza qualitativa individuale. Acquisita la valenza indicativa – sia pure di
portata possibilistica e non univoca – di ciascun indizio deve allora passarsi al
momento metodologico successivo dell’esame globale ed unitario, attraverso il
quale la relativa ambiguità indicativa di ciascun elemento probatorio può
risolversi, perché nella valutazione complessiva ciascun indizio si somma e si
integra con gli altri, di tal che l’insieme può assumere quel pregnante ed univoco
significato dimostrativo che consente di ritenere conseguita la prova logica del
fatto; prova logica che non costituisce uno strumento meno qualificato rispetto
alla prova diretta (o storica), quando sia conseguita con la rigorosità
metodologica che giustifica e sostanzia il principio del cosiddetto libero
convincimento del giudice.
Il singolo indizio, inteso come dato con contenuto informativo tale da
‘concorrere’ all’accrescimento della verità contenuta nell’ipotesi di partenza, va
pertanto sottoposto a verifica al fine di individuarne il «grado di persuasività» (si
veda, sul tema, Sez. I n. 42750 del 9.11.2011, rv 251502) fermo restando che
non può pretendersi che il giudizio di ‘gravità’ (ossia il peso dimostrativo in
rapporto al fatto da provare) sia uguale per ogni singolo dato indiziante, essendo
del tutto logica – nell’ambito della valutazione unitaria richiesta dalla norma – la
concorrenza di elementi indizianti di maggiore o minore gravità, ferma restando
la necessaria (al fine di raggiungere il risultato dimostrativo) precisione (intesa
come direzione tendenzialmente univoca del contenuto informativo) e
concordanza (il che implica – almeno sul piano tendenziale – la pluralità dei dati
sottoposti a valutazione, la loro convergenza dimostrativa e, in ogni caso,
l’assenza di dati antagonisti, di ‘smentita’).
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conseguenza, ma di norma il fatto indiziante è significativo di una pluralità di

Il diverso ‘grado’ di gravità del singolo indizio influisce peraltro sulla valutazione
complessiva, nel senso che, come è stato ribadito, di recente, da Sez. V n.
16397 del 21.2.2014, rv 259552, in tema di prova indiziaria, il requisito della
molteplicità, che consente una valutazione di concordanza, e quello della gravità

in presenza di
indizi poco significativi, può assumere rilievo l’elevato numero degli stessi,
quando una sola possibile è la ricostruzione comune a tutti, mentre, in presenza
di indizi particolarmente gravi, può essere sufficiente un loro numero ridotto per
il raggiungimento della prova del fatto.
3. Nel caso in esame, pertanto, non può prescindersi dalla considerazione del
necessario e particolare «rapporto fiduciario» esistente tra i soggetti detentori per conto terzi – dell’imponente arsenale rinvenuto e i soggetti per conto dei
quali l’attività di detenzione veniva posta in essere.
Il numero, la qualità e il valore (economico e strategico) del materiale balistico
rinvenuto (in luogo

tutt’altro che abbandonato, come ritenuto nella stessa

decisione impugnata) è di tale rilievo da imporre una attenta considerazione di
tale circostanza di fatto, posto che i soggetti cui le armi sono riferibili ‘devono’
poter contare non solo sulla assoluta riservatezza dei loro fiduciario ma
soprattutto sulla concreta possibilità di entrare in possesso – in ogni momento di ciò che serve per realizzare gli scopi illeciti perseguiti.
Tale aspetto risulta considerato nella decisione impugnata (si veda quanto
affermato a pagina 15) che tuttavia finisce con l’attribuire tale ruolo – in chiave
di ipotesi alternativa

escludente – all’anziano Latella Giovanni, in ragione del

fatto che costui era il principale utilizzatore del casolare e dello spazio
circostante, da lui frequentato con cadenza pressocchè quotidiana.
Si riconosce che le chiavi del casolare erano – di fatto – anche in possesso dì
Latella Carmelo, ma tale dato viene reputato come unico realmente ‘indiziante’,
tale da determinare scarsa precisione e concludenza.
La accertata frequentazione e le pregresse iniziative imprenditoriali assunte da
Latella Carmelo con il Riggio (soggetto raggiunto da gravità indiziaria per il
delitto di cui all’art. 416 bis cod.pen.) vengono qualificate come ‘mero sospetto’.
In ciò la decisione si espone – effettivamente – ai rilievi formulati nel ricorso.
Il primo riguarda la stessa individuazione del ‘fiduciario’ della cosca di
‘ndrangheta (in termini di attualità del ruolo, dato che il lucchetto posto al

portone di accesso risulta cambiato poco prima del rinvenimento) in una persona
di età molto avanzata, affetta per forza di cose da problemi fisici che ne limitano
la possibilità di ‘immediato contatto’ in caso di improvvisa necessità di
reperimento di una delle numerose armi. In ciò la decisione mostra un vizio di

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sono tra loro collegati e si completano a vicenda, nel senso che,

logicità, intesa come aderenza della considerazione svolta al complesso delle
risultanze processuali.
L’ipotesi ‘alternativa’ (rispetto alla proposta di identificazione del fiduciario in
Latella Carmelo) mostra, in altre parole, evidente fragilità ove la si rapporti come è doveroso fare – alle concrete circostanze di fatto emerse durante
l’istruttoria.
Il secondo riguarda la ‘degradazione’, in tale quadro, a mero sospetto
dell’accertata «comunanza di interessi» tra il Riggio Carmelo e il Latella Carmelo.

illogico, posto che il «tema di prova» non è qui rappresentato da una
contestazione di partecipazione alla associazione camorristica (che implica
l’emersione di dati indizianti dal contenuto significativo circa il ruolo attribuito)
ma dalla necessità di identificare chi, tra i componenti della famiglia Latella
(visto il rinvenimento delle armi) abbia potuto svolgere il suddetto ruolo di
‘fiduciario’, pur senza divenire un soggetto affiliato alla cosca. Il contenuto
informativo derivante dalla accertata frequentazione e dallo svolgimento in
comune di attività economica – tra il Riggio e Latella Carmelo – va dunque
qualificato come indizio, posto che fornisce una possibile chiave di lettura della
concreta identificazione del fiduciario, ferma restando la necessità di valutare anche in via incidentale – l’effettività della appartenenza del Riggio alla
associazione di stampo mafioso.
Peraltro, appare fondata – circa tale aspetto – la correlata denunzia di
incompletezza della valutazione, posto che le dichiarazioni rese dal collaborante
Barreca Santo, citate nel ricorso e indicate (ma non valutate) nella decisione
impugnata a pag. 10 (circa il fatto che nel locale sito in Lametia di cui erano soci
il Riggio e Latella Carmelo erano state tenute riunioni tra affiliati) esprimono,
ferma restando la necessità di valutazione complessiva dei dati, un potenziale
apporto significativo circa la reale natura del rapporto intercorso tra Latella
Carmelo e Riggio Carmelo, con possibili ricadute logiche sul tema in trattazione.
Gli evidenziati vizi logici interni al ragionamento decisorio impongono, pertanto,
l’annullamento della decisione impugnata, con rinvio, per un nuovo giudizio, con
globale esame delle risultanze probatorie, a diversa sezione della Corte di
Appello di Reggio Calabria, ai sensi dell’art. 623 co.1 lett. c cod.proc.pen. .

7
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Sul punto, la Corte di merito applica un criterio di classificazione del tutto

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio ad altra sezione della
Corte d’Appello di Reggio Calabria.

Così deciso il 4 marzo 2015

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