Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 25799 del 08/01/2015


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 25799 Anno 2015
Presidente: SIOTTO MARIA CRISTINA
Relatore: CAVALLO ALDO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
DI MATO VINCENZO N. IL 15/03/1961
avverso la sentenza n. 2509/2013 CORTE APPELLO di PALERMO,
del 09/12/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 08/01/2015 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. ALDO CAVALLO
4„,22,,k,
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. h-1.
che ha concluso per Sa Q”..J..ex”, ‘AQ,;:4>

Udito, per la parte civile, l’Avv
Uditi difensor Avv. G;

Data Udienza: 08/01/2015

Ritenuto in fatto

1. Con sentenza resa il 9 dicembre 2013 la Corte di Appello di Palermo
confermava quella pronunciata il 14 febbraio 2013 dal GUP del Tribunale della
sede e con essa la condanna alla pena di anni cinque di reclusione di Di Maio
Vincenzo, riconosciuto colpevole di partecipazione all’associazione mafiosa Cosa
Nostra e segnatamente alla famiglia San Lorenzo – Tommaso Natale, reato
contestato come commesso in Palermo dal settembre 1982 al dicembre 2000

comma 4 cod. pen., trattandosi di associazione armata ed ex art. 416 bis comma
6 cod. pen. in quanto l’attività economica posta a disposizione di quel sodalizio
dall’imputato, è stata finanziata, in parte, con il prezzo, il prodotto o il profitto di
delitti.
1.1 I giudici di appello – con valutazione totalmente sintonica rispetto a
quella svolta dal primo giudice – hanno valorizzato, ai fini dell’affermazione di
penale responsabilità del Di Maio, il quadro probatorio costituito: (a) dalle
attendibili dichiarazioni del collaboratore di giustizia Cracolici Isidoro, membro
della famiglia mafiosa di Tommaso Natale, secondo cui l’indagato,
soprannominato u Tignusu – per quanto appreso da Lo Piccolo Sandro (figlio del
noto boss mafioso Salvatore e figura apicale del sodalizio), nonché dallo stesso
Di Maio direttamente – era socio “occulto” di Sandro Lo Piccolo in un’impresa di
costruzioni (nel senso che il boss mafioso procacciava, con l’autorevolezza che gli
derivava dalla sua caratura criminale, i lavori che poi venivano materialmente
eseguiti dal Di Maio, che dedotte le spese, divideva con lui i guadagni, a metà),
pienamente riscontrate, (b) da quelle, anch’esse intrinsecamente attendibili, di
Ferrante Giovan Battista (che ha riferito anche lui della nota vicinanza ai Lo
Piccolo dell’indagato, seppure costui non fosse formalmente un affiliato) e di
Pasta Manuel, secondo cui l’indagato era territorialmente operante nella zona di
Cardillo-Tommaso Natale, storicamente controllata dai Lo Piccolo, per quanto suo
fratello Girolamo (Minnmuccio), aveva rapporti anche con Salvatore Genova (noto
esponente apicale del mandamento di Resuttana, come già giudizialmente
accertato in via definitiva), per conto del quale aveva anche custodito delle armi,
nonché, (c) dal contenuto di svariati colloqui oggetto di captazione, intercorsi tra
l’indagato e Caporrimo Giulio (associato di spicco della famiglia mafiosa Partanna
Mondello, delegato dai Lo Piccolo, latitanti, a mantenere i contatti con gli altri
esponenti di Cosa Nostra) delle quali emergeva un diretto coinvolgimento
dell’indagato in attività estorsive svolte dalla famiglia mafiosa (adoperandosi per
la riscossione del pizzo) per una delle quali (quella perpetrata ai danni
dell’esercente il bar Break), per altro, il Di Maio aveva già riportato condanna
definitiva (ad anni sei dì reclusione) giusta sentenza del 2 luglio 2004; nonché

(data di una precedente sentenza di condanna), ed aggravato, ex art. 416 bis,

(d) gli accertamenti di p.g. asseveranti i contatti tra il Di Maio ed altri esponenti
mafiosi, quali il Caporrimo ed il Lo Piccolo.
1.2 In particolare, la Corte territoriale, nel riconoscere che la richiesta di
applicazione di una misura cautelare nei confronti del Di Maio – sia pure per la
originaria e diversa imputazione di concorso esterno e riciclaggio – era stata
rigettata e che la condanna in appello dell’imputato per tali delitti era stata
annullata con rinvio dalla Cassazione, evidenziava:
– che intanto tali decisioni non avevano tenuto conto del dato, sopravvenuto

per concorso nel reato di estorsione in danno dell’esercente il bar Break;
– che il rapporto tra il Di Maio ed i Lo Piccolo, contrariamente a quanto
dedotto dalla difesa dell’appellante, non si esauriva in un semplice rapporto
individuale di natura privatistica (economico-societaria) tra l’indagato ed un
singolo soggetto, Sandro Lo Piccolo, per quanto sicuramente partecipe ad un
sodalizio mafioso, emergendo dal complessivo quadro probatorio, ed in
particolare dal coacervo delle intercettazioni, di cui in sentenza vengono riportati
alcuni dei passaggi ritenuti più significativi, la piena interazione dell’imputato con
il sodalizio mafioso, la ribadita sua fedeltà allo stesso ed ai suoi vertici, la piena
consapevolezza e disponibilità a cooperare con l’entità mafiosa, anche in campi
diversi (le estorsioni) rispetto a quello rappresentato dall’esecuzione di lavori
edili, ottenuti grazie all’intermediazione mafiosa.
1.3 Quanto poi alla configurabilità delle contestate aggravanti, la Corte
territoriale disattendeva le deduzioni dell’appellante al riguardo, richiamando, per
un verso, in diritto, l’orientamento giurisprudenziale secondo cui «hanno natura
oggettiva le circostanze aggravanti del reato di associazione di tipo mafioso,
consistenti nell’avere l’associazione la disponibilità di armi e nella destinazione
del prezzo, prodotto o profitto dei delitti al finanziamento delle attività
economiche di cui gli associati intendano assumere o mantenere il controllo,
sicchè dette circostanze devono essere riferite all’attività dell’associazione e non
alla condotta del singolo partecipe» (in termini, ex multis, Sez. 6, n. 42385 del
15/10/2009 dep. 04/11/2009, Ganci, Rv. 244904); in fatto, che poteva
ritenersi costituire un dato, ormai, di notoria conoscenza, che “Cosa Nostra
palermitana” è un’associazione per delinquere di tipo mafioso, avente una
disponibilità di armi, e che la stessa destina prezzo, prodotto o profitto dei delitti
al finanziamento delle attività economiche di cui gli associati intendano assumere
o mantenere il controllo.

2. Propone ricorso per Cassazione avverso detta sentenza l’imputato,
assistito dal suo difensore di fiducia, chiedendone l’annullamento sulla base di
tre motivi di impugnazione.
2

e di significativa rilevanza, che l’imputato era stato condannato, in via definitiva,

2.1 Con il primo motivo denuncia la difesa ricorrente violazione di leggepenale e processuale – relativamente all’affermazione di penale responsabilità
dell’imputato, frutto di una incongrua valutazione degli elementi di prova.
In particolare nel ricorso si denunzia l’insufficienza del quadro indiziario
raccolto a carico del Di Maio e la scarsa tenuta logica della motivazione,
evidenziandosi al riguardo: (a) che le dichiarazione generiche

e de relato del

Cracolici, oltre a risultare prive di riscontri esterni o individualizzanti, non
descrivono comunque una condotta tipica di partecipazione ad associazione

Carnevale e Mannino) nel senso che l’intestazione fittizie all’imputato di quote di
una società riconducibili in realtà ad un esponente di associazione mafiosa,
configura una diversa (ed ormai prescritta) ipotesi di reato, che oltretutto
costituisce semmai una prova della sua estraneità all’associazione, altrimenti il
ricorso all’attribuzione fittizia non avrebbe un reale significato; (b) che la
“vicinanza” ad esponenti dell’associazione mafiosa, non prova, da sola,
l’appartenenza all’associazione; (c) che le intercettazioni valorizzate dai giudici di
merito, non costituiscono un autonomo riscontro individualizzante alle
dichiarazioni del Cracolici, in quanto, riguardando l’unica condotta penalmente
rilevante riferita dal predetto collaboratore l’asserito rapporto societario di fatto
tra il ricorrente e Sandro Lo Piccolo per l’esecuzione di non meglio precisati lavori
edili, occorre considerare che il contenuto delle intercettazioni non riguarda
affatto tale tema, con la conseguenza che le dichiarazioni del collaboratore, prive
di riscontri, dovevano ritenersi individualizzanti; (d) che l’affermazione dei giudici
di appello, secondo cui dalle intercettazioni emergerebbe “l’inserimento, quanto
meno di fatto, dell’imputato nella consorteria mafiosa facente capo ai Lo Piccolo”,
deve ritenersi assolutamente illogica, tenuto conto che le stesse conversazioni di
cui trattasi sono state ritenute da questa Corte di legittimità, non idonee a
provare il “concorso esterno” del Di Maio; (e) che le dichiarazioni dei
collaboratori Pasta e Ferrante, non potevano essere utilizzate quale elemento di
prova a carico dell’imputato, tenuto conto che le prime, oltre a riferire delle
vicende (la detenzione di armi) che coinvolgono diverse persone e si riferiscono
ad un arco temporale comunque successivo all’imputazione contestata, si
limitano a riferire di una irrilevante “vicinanza” del Di Maio ad esponenti
dell’associazione mafiosa; mentre le seconde si risolvono nella irrilevante
affermazione del collaboratore Ferrante, di aver notato la presenza dell’indagato,
in alcune occasioni, presso attività commerciali di esponenti dell’associazione
mafiosa (quali Genova Salvatore) legati all’imputato da un rapporto di amicizia
oltre che di parentela.
2.2 Con il secondo motivo si denunzia, sotto il profilo della violazione di
legge e del vizio di motivazione, la ritenuta sussistenza delle contestate
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mafiosa quale delineata dalla prevalente giurisprudenza di legittimità (sentenze

aggravanti, evidenziando al riguardo che la decisione impugnata si discosta dai
più recenti e condivisibili arresti giurisprudenziali in materia, che è nel senso di
ritenere perché ricorra quella di cui al quarto comma dell’art. 416 bis sotto il
profilo del reinvestimento dei profitti in imprese non è sufficiente la mera
dimostrazione dell’affiliazione del gruppo locale a “Cosa nostra” (nella sentenza
di merito si affermava l’autonomia organizzativa e funzionale del clan rispetto
alla più ampia organizzazione), mentre per la configurabilità di quella di cui al
sesto comma non è sufficiente che uno degli associati disponga di un’arma,

termini Sez. 6, n. 10800 del 21/09/2000 – dep. 20/10/2000, Gattuso V, Rv.
218408; Sez. 6, n. 15668 del 01/12/2011 – dep. 23/04/2012, Vellini, Rv.
252548).
2.3 Con il terzo ed ultimo motivo, infine, si denuncia l’illegittimità della
sentenza impugnata per violazione di legge, penale e processuale, e vizio di
motivazione relativamente al trattamento sanzionatorio, avendo la Corte
territoriale incongruamente disatteso il motivo di appello relativo all’eccessività
della pena, che segnalava la sostanziale vanificazione da parte del primo giudice,
dell’applicazione della diminuente per la scelta del rito, per effetto della
determinazione della pena base, in applicazione della disciplina ante riforma, in
quella di anni 5 e mesi 9 di reclusione, senza considerare che in ben due
sentenze di condanna, sia pure per concorso esterno, l’imputato era stato
condannato alla pena di anni 4 di reclusione.
2.4 Con memoria depositata il 30 dicembre 2014, i difensori del Di Maio,
illustrato il “travagliato iter processuale” che ha caratterizzato il giudizio
promosso nei confronti dell’imputato (respinta dal GIP la richiesta di applicazione
dì misura cautelare coercitiva, nei confronti del ricorrente si era proceduto,
infatti, inizialmente, per i delitti di concorso esterno in associazione mafiosa e
riciclaggio; imputazioni per le quali solo in sede di appello era intervenuta
condanna, da ultimo con sentenza dell’Il ottobre 2004, annullata con rinvio da
questa Corte di legittimità, con sentenza deliberata il 30 novembre 2005, alla
quale seguivano, l’annullamento da parte del giudice di rinvio – la Corte di
appello di Palermo – della sentenza assolutoria deliberata dal GUP palermitano, a
ragione della diversità del fatto descritto nel capo d’imputazione da quello
emerso dalle indagini, e, successivamente, la riformulazione dell’imputazione, da
parte del pubblico ministero, ai sensi dell’art. 516 cod. proc. pen., negli odierni
termini della partecipazione al sodalizio mafioso) hanno ribadito l’inidoneità del
materiale probatorio a dimostrare l’effettiva partecipazione del ricorrente ad
un’associazione di tipo mafioso.
e
Considerato in diritto
4

perché le armi devono essere a disposizione dei compartecipi del gruppo. (in

1. L’impugnazione proposta nell’interesse di Di Maio Vincenzo è fondata e
merita accoglimento.
1.1 Preliminarmente questo Collegio non può esimersi dal rilevare la
effettiva singolarità del presente procedimento, il cui travagliato

iter risulta

correttamente illustrato nella memoria difensiva depositata, rappresentata,
essenzialmente, dal dato che il quadro probatorio ora valorizzato dai giudici di
merito per la condanna del Di Maio per il delitto di partecipazione ad

stato posto a sostegno della diversa imputazione di concorso esterno in
associazione mafiosa e riciclaggio.
1.2 Attesa tale obiettiva singolarità, non è superfluo evidenziare che questa
Corte di legittimità, con la richiamata ultima sentenza di annullamento della
condanna del Di Maio per concorso esterno in associazione mafiosa (la n. 2802
del 2006), all’esito dell’analisi degli elementi di prova utilizzati dai giudici di
merito nei diversi gradi di giudizio – le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia
Cracolici e Ferrante e le intercettazioni, ritenute validi elementi di riscontro aveva ritenuto, in primo luogo, che le dichiarazioni collaborative lasciavano
trasparire «una ricostruzione della condotta del ricorrente», la quale, di per sé,
non appariva «concludente al fine della sussistenza degli elementi costitutivi dei
reati contestati». Ed invero: a) il Cracolici aveva riferito «che soci di fatto del Di
Maio, nella sua attività imprenditoriale, erano i mafiosi Lo Piccolo Salvatore,
Sandro e Calogero, coi quali l’imputato divideva i proventi, dopo aver versato la
quota “dovuta” a titolo di “pizzo”; b) sempre il Cracolici aveva altresì affermato
«che il ricorrente conosceva altri associati»; c) affermazione analoga a quella
sub b), era stata effettuata dal collaboratore Ferrante.
Quanto poi alle intercettazioni, questa Corte di legittimità evidenziava che
da esse, era possibile soltanto dedurre: d-1) che il Di Maio «era a conoscenza
della latitanza dei Lo Piccolo»; d-2) «che lo stesso si mostrava disponibile nei
confronti della struttura malavitosa»; d-3) che «l’imputato sapeva che taluni
commercianti erano disposti a versare denaro»; d-4) che Di Maio segnalò il fatto
che il titolare di un ristorante «subiva la concorrenza di altro esercizio» e che il
suo interlocutore (il Caporrimo) «rispose che il concorrente era all’attenzione del
clan».
In particolare questa Corte di legittimità, nell’indicata sentenza riteneva: che
seppure era risultato provato che il Di Maio era certamente «persona contigua
alla associazione mafiosa»; che lo stesso ne conoscesse parecchi adepti, anche
di livello elevato, essendo in confidenza con gli stessi, ed in rapporti di affari con
i Lo Piccolo; che l’imputato ne conoscesse, altresì, i problemi giudiziari, e
mostrasse «(almeno a parole) disponibilità nei confronti dell’associazione»,
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associazione per delinquere di tipo mafioso, nella fase iniziale delle indagini, era

avendo segnalato la opportunità che la struttura criminosa intervenisse «per
scoraggiare un comportamento troppo concorrenziale da parte di un operatore
economico (ristoratore) rispetto ad un altro, il riferito compendio probatorio,
tuttavia, destava certamente grave allarme sociale, in quanto testimoniava … «il
grado di penetrazione delle logiche e della cultura della criminalità organizzata
nel palermitano», ma, per quanto specificamente riguardava il Di Maio, non
consentiva «di definire in maniera significativa» quale fosse la condotta
integrante gli estremi della fattispecie ex artt. 110, 416 bis cod. pen..

di poter superare l’evidenziata insufficienza probatoria, formulata per altro con
riferimento alla diversa ipotesi di concorso “esterno”, rimarcando che, rispetto
all’indicata pronuncia di questa Corte di Cassazione, il quadro probatorio
complessivo raccolto a carico del Di Maio, risultava essersi arricchito di ulteriori
elementi indizianti, non valutati dal giudice di legittimità, consistiti: nella
definitività della condanna del ricorrente per concorso nel reato di estorsione
aggravata in danno di un titolare del bar; nelle dichiarazioni di altri collaboratori
di giustizia (Ferrante Giovan Battista e Pasta Manuel) che avevano confermato la
vicinanza dell’indagato ai Lo Piccolo; negli accertamenti di polizia giudiziaria
“asseveranti i contatti tra il Di Maio ed altri esponenti mafiosi, quali il Caporimmo
ed il il Lo Piccolo Sandro.
Tali ulteriori elementi, aggiunti al già accertato rapporto societario
intrattenuto dal Di Maio con i Lo Piccolo, consentivano quindi, secondo ì giudici di
merito, di affermare con certezza la partecipazione del Di Maio all’organizzazione
mafiosa Cosa Nostra.
1.4 Tale valutazione del complessivo materiale probatorio si rivela, però,
come dedotto dalla difesa dell’imputato e sostenuto anche del Procuratore
Generale presso questa Corte nella sua requisitoria, assolutamente incongrua e
non aderente alle emergenze istruttorie.
1.4.1 In particolare, a prescindere dall’inesattezza dell’assunto secondo cui
le dichiarazioni del collaboratore Ferrante non avrebbero formato oggetto di
valutazione in sede di annullamento della sentenza di condanna del Di Main per
concorso esterno in associazione mafiosa, si rivela incongrua e contraddittoria,
l’affermazione dei giudici di appello secondo cui le dichiarazioni del collaboratore
dì giustizia Ignazio Cracolici, relative alla partecipazione occulta di Salvatore Lo
Piccolo alla impresa di costruzioni gestita dall’imputato, sarebbero già di per sé
un elemento indicativo di un sicuro e stabile inserimento dell’imputato nella
famiglia mafiosa “San Lorenzo – Tommaso Natale”.
Al riguardo è opportuno precisare, in primo luogo, che secondo la lezione
interpretativa ormai consolidata di questa Corte, la condotta di partecipazione ad
associazione di tipo mafioso è riferibile a colui che si trovi in rapporto di stabile e
6

1.3 Ciò premesso, deve qui rilevarsi che la sentenza impugnata ha ritenuto

organica compenetrazione con il tessuto organizzativo del sodalizio, tale da
implicare, più che uno “status” di appartenenza, un ruolo dinamico e funzionale,
in esplicazione del quale l’interessato “prende parte” al fenomeno associativo,
rimanendo a disposizione dell’ente per il perseguimento dei comuni finì criminosi
(in termini, ex multis, Sez. 1, n. 1470 del 11/12/2007 – dep. 11/01/2008, P.G. in
proc. Addante e altri, Rv. 238838).
Secondo tale indirizzo, dal quale questo Collegio non intende discostarsi,
pertanto, la “mera contiguità compiacente”, la “vicinanza” o “disponibilità” nei

qualificano la condotta dei partecipe (in termini, Sez. 5, n. 12679 del
24/01/2007 – dep. 27/03/2007, Mercadante, Rv. 235986).
Orbene, nel caso di specie, la Corte territoriale, malgrado la puntuale e
specifica indicazione contenuta nella sentenza che aveva annullato la condanna
del Di Maio per concorso esterno, non ha saputo indicare in qual modo l’asserita
vicinanza dell’imputato a soggetti mafiosi dello spessore dei Lo Piccolo, “si
sarebbe tradotta in un vero e proprio contributo, avente effettiva rilevanza
causale, ai fini della conservazione o rafforzamento dell’associazione”.
Precisazione tanto più necessaria ove si consideri che il collaboratore
Ferrante, nelle sue dichiarazioni, aveva comunque escluso che il Di Maio facesse
parte di una famiglia mafiosa.
1.5 Nè un significativo apporto dimostrativo sul punto è ricavabile dal
contenuto delle intercettazioni quale illustrato nella sentenza, ricavandosi dallo
stesso, piuttosto, l’esistenza di un rapporto esclusivo e di natura essenzialmente
fiduciaria, tra l’imputato ed il Lo Piccolo Salvatore.
1.6 Quanto poi ai nuovi elementi indizianti, ed in particolare la condanna
definitiva del Di Maio per concorso in estorsione aggravata, è agevole rilevare
che l’accertato contributo fornito dall’imputato alla consumazione di uno dei
“delitti fine” dell’associazione mafiosa, premesso che lo stesso è consistito,
secondo quanto si legge nella sentenza impugnata (pag. 11), nella mera
riscossione, da parte del titolare di un bar, della somma dovuta alla consorteria
mafiosa, rileva il Collegio che esso, per il suo carattere obiettivamente singolare
ed occasionale, non può costituire, da solo, in assenza di ulteriori significativi
elementi processuali, un dato probatorio sufficente a confermare una effettiva
partecipazione associativa, specie ove si consideri che, per consolida
giurisprudenza, la contestazione della circostanza aggravante di cui all’art. 7 del
D.L. 13 maggio 1991 n.152, convertito in legge 12 luglio 1991 n. 203 è
configurabile rispetto ad ogni tipo di delitto, punibile con pena diversa
dall’ergastolo, che sia stato commesso avvalendosi delle condizioni previste
dall’art. 416 bis cod. pen. ovvero al fine di agevolare l’attività di associazioni di

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cA-c(

riguardi di singoli esponenti, anche di spicco, del sodalizio mafioso, non

tipo mafioso (in termini Sez. 1, n. 2667 del 30/01/1997 – dep. 19/03/1997,
Barcella ed altro, Rv. 207178).
1.7 Considerazioni analoghe, valgono, infine, anche per le dichiarazioni rese
dal collaboratore di giustizia Manuel Pasta e per gli accertamenti di polizia
giudiziaria relativi ai plurimi controlli in cui l’imputato risultava accompagnarsi a
noti esponenti mafiosi.
1.7.1 Quanto al primo elemento probatorio, a prescindere dal rilievo che
come riconosciuto dalla stessa Corte territoriale trattasi “di dichiarazioni piuttosto

di tali dichiarazioni, così come illustrato dai giudici di appello, si riferisce a fatti
relativi ad un periodo successivo rispetto a quello di commissione del fatto
contestato (che riguarda l’arco temporale tra il settembre 1982 ed il dicembre
2000), e descrivono, oltretutto, delle condotte (la custodia di armi) attribuita
però al fratello del ricorrente (Di Maio Girolamo) e che che avrebbe riguardato,
per altro, una diversa compagina mafiosa (la famiglia di Resuttana).
1.7.2 Per quanto attiene, infine, il contenuto degli accertamenti di polizia, è
agevole rilevare che la semplice frequentazione di componenti di un’associazione
mafiosa, emergenza investigativa, per altro, affatto nuova nel presente giudizio,
non può costituire elemento dimostrativo di un effettivo stabile inserimento
dell’imputato nella compagine associativa.

2. Da quanto sin qui affermato discende, in conclusione, che in presenza di
un quadro probatorio che valutato anche unitariamente non evidenzia elementi
di prova certi che dimostrino l’effettiva partecipazione del Di Maio all’associazione
mafiosa Cosa Nostra, s’impone allora, ai sensi dell’art. 620 cod. proc. pen., in
accoglimento del primo motivo d’impugnazione dedotto in ricorso, di carattere
assorbente rispetto al secondo, l’annullamento senza rinvio della sentenza
impugnata, perché il fatto non sussiste.
Ed invero, considerate le esigenze di economia processuale sottese alla
previsione di cui alla lettera I) dell’art. 620 cod. proc. pen., l’annullamento della
sentenza di condanna va disposto senza rinvio, poiché la rilevata insufficienza del
quadro probatorio, insuscettibile di ulteriori apporti, non può essere colmata in
un eventuale giudizio di rinvio. Principio giurisprudenziale, questo, già più volte
affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte (Sez. U, n. 22327 del 30/10/2002 dep. 21/05/2003, Carnevale, Rv. 224182; Sez. U, n. 45276 del 30/10/2003 dep. 24/11/2003, P.G., Andreotti e altro, Rv. 226100), che merita di essere
condiviso ed applicato soprattutto quando la sentenza di condanna, come nel
caso in esame, sia fondata su elementi di prova inidonei a corroborare l’ipotesi
accusatoria, e non delineandosi, neppure sulla base di una rinnovata valutazione

8

generiche”, risultano comunque fondati i rilievi difensivi secondo cui il contenuto

dei fatti da parte del giudice di rinvio, la possibilità di rinvenire ed utilizzare
ulteriori emergenze processuali.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non sussiste.

Così deciso in Roma, 1’8 gennaio 2015.

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