Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 2579 del 03/12/2015


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 2579 Anno 2016
Presidente: ROMIS VINCENZO
Relatore: MENICHETTI CARLA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE D’APPELLO DI
TRENTO
nei confronti di:
D’ANGELO DOMENICO N. IL 01/11/1928
FEDELI VALERIO N. IL 22/07/1947
MERLONI FRANCESCO N. IL 17/09/1925
MILLS SLADE ALFRED N. IL 20/04/1935
SCOTT DAVID N. IL 28/11/1928
avverso la sentenza n. 1270/2012 GIUDICE UDIENZA
PRELIMINARE di ROVERETO, del 17/04/2014
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. CARLA MENICHETTI;
1434e/sentite le conclusioni del PG Dott.

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Data Udienza: 03/12/2015

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Considerato in fatto
1. Il Procuratore Generale della Repubblica di Trento propone ricorso avverso la
sentenza in data 17.4.2014 del G.U.P. del Tribunale di Rovereto con la quale è stato
dichiarato non luogo a procedere nei confronti degli imputati Mills Slade Alfred, Scott
David, D’Angelo Domenico, Fedeli Angelo e Merloni Francesco in ordine al reato p.e.p.
dagli artt.40, 113, 589 commi 1 e 2 c.p., per insussistenza del fatto.
Più precisamente, si era attribuito ai prevenuti, per colpa consistita in imprudenza,

dell’art.21 del Dpr n.303/1956 e dell’art.4 del Dpr n.547/1955, di aver cagionato la morte
di Cappelletti Innocente, dipendente della Rheem-Radi S.p.a. e quindi della Rheenn-Italia
S.p.a., poi Merloni Ternnosanitari S.p.a. dal 1978 al 2005 – società in cui ciascun
imputato, per distinti periodi ricompresi tra il 23.6.1978 al 1992 aveva rivestito la carica
di Presidente del Consiglio di Amministrazione, legale rappresentante e datore di lavoro per le quali svolgeva lavori di rifinitura, apposizione etichette, valvole e lana di roccia
degli scaldacqua nonché lavori di assemblaggio di scaldacqua a legna e montaggio di
scaldabagni più grandi (300 litri) presso lo stabilimento di Rovereto. Condotta consistita,
da un lato, nell’aver consentito che nel predetto stabilimento venissero utilizzati materiali
notoriamente pericolosi per la salute dei lavoratori quali l’amianto e, dall’altro, nell’avere
omesso di prendere tutte le misure prevenzionali, strutturali ed organizzative, idonee ad
impedire, da un lato, il diffondersi nell’ambiente di lavoro di polveri d’amianto prodotte
dalle lavorazioni ivi eseguite e, dall’altro, che i lavoratori comunque esposti alle polveri
d’amianto avessero dispositivi di protezione adeguati e idonei ad impedire l’inalazione
delle relative fibre e venissero adeguatamente informati ed edotti dei rischi specifici cui
erano esposti, facendo sì che il Cappelletti subisse, nel corso dello svolgimento delle sue
ordinarie mansioni, una consistente ed incontrollata esposizione a polveri di amianto
derivante dalla dispersione nell’ambiente di lavoro delle fibre di tale sostanza, esposizione
dalla quale derivava l’insorgere e lo sviluppo, con riduzione complessiva del periodo di
latenza della malattia, di un mesotelioma maligno che ne determinava il decesso in data
2 novembre 2007.
2. A motivo del ricorso il P.G. denuncia l’erronea applicazione della legge penale e
la manifesta illogicità della motivazione, per avere il GUP proceduto ad “una valutazione
di merito della tematica del processo, oltretutto inserendo elementi di conoscenza
personale e avventurandosi in una trattazione scientifica, soggettivamente sintetizzata ed
interpretata”, cui era impossibile attribuire il connotato di “fatti notori”, pervenendo ad
affermare l’insussistenza del fatto anticipatamente rispetto alla sede deputata al giudizio
meritorio, così travalicando i suoi poteri.
3. Il difensore di fiducia di Domenico D’Angelo, Valerio Fedeli e Francesco Merloni
ha depositato memoria ex art.611 c.p.p. rappresentando la manifesta infondatezza del
ricorso e la inammissibilità per violazione del principio di tassatività dei motivi.

negligenza ed imperizia nonché nella violazione dell’art.2087 cod.civ. e delle disposizioni

Ritenuto in diritto
4. Prima di procedere all’esame del ricorso è necessario individuare i limiti
decisionali della sentenza di non luogo a procedere resa all’esito della udienza
preliminare.
Le Sezioni Unite di questa Corte, in coerenza con le linee tracciate dalla Corte
Costituzionale, hanno affermato che l’art.425 c.p.p., anche dopo le sostanziali modifiche
apportate dalla legge n.479 del 1999, non attribuisce al giudice “il potere di giudicare in

valutazione critica di sufficienza, non contraddittorietà e comunque di idoneità degli
elementi probatori, secondo il dato letterale del novellato terzo comma dell’art.425
c.p.p., è sempre e comunque diretta a determinare, all’esito di una delibazione di tipo
prognostico, divenuta oggi più stabile per la tendenziale completezza delle indagini, la
sostenibilità dell’accusa in giudizio e, con essa, l’effettiva, potenziale, utilità del
dibattimento in ordine alla regiudicanda” (Sez.Un.26.11.2002, n.39915;
Sez.Un.29.5.2008, n.25695): in altri termini, il radicale incremento dei poteri di
cognizione e di decisione del giudice dell’udienza preliminare, pur legittimando
quest’ultimo a muoversi implicitamente anche nella prospettiva della probabilità di
colpevolezza dell’imputato, non lo ha tuttavia disancorato dalla fondamentale regola di
giudizio per la valutazione prognostica.
Anche successivamente si è quindi ribadito che la previsione di cui all’art.425,
comma terzo, c.p.p. – per la quale il G.u.p. deve emettere sentenza di non luogo a
procedere anche quando gli elementi acquisiti risultino insufficienti o contraddittori – è
qualificata dall’ultima parte del suddetto comma terzo, che impone tale decisione soltanto
ove i predetti elementi siano comunque inidonei a sostenere l’accusa in giudizio,
rivestendo caratteristiche tali da non poter essere ragionevolmente superabili, per cui
solo una prognosi di inutilità del dibattimento relativa alla evoluzione, in senso favorevole
all’accusa, del materiale probatorio raccolto – e non un giudizio prognostico in esito al
quale il giudice pervenga ad una valutazione di innocenza dell’imputato – può condurre
ad una sentenza di non luogo a procedere (Sez.V, 3.6.2009, n.22864; Sez.IV,
13.11.2009, n.43483; Sez.VI, 20.3.2012, n.10849): il criterio di valutazione per il
giudice dell’udienza preliminare non è dunque l’innocenza dell’imputato, ma l’inutilità del
dibattimento, anche in presenza di elementi di prova contraddittori o insufficienti (Sez.VI,
6.9.2012, n.33921).
Si è ancora precisato che ai fini della pronuncia della sentenza di non luogo a
procedere, il G.u.p., in presenza di fonti di prova che si prestano ad una alternatività di
soluzioni valutative, deve limitarsi a verificare se tale situazione possa essere superata
attraverso gli approfondimenti propri della fase del dibattimento, senza operare
valutazioni di tipo sostanziale e senza poter effettuare una complessa ed approfondita
disamina del merito del materiale probatorio, indagini che spettano al giudice natura

termini di anticipata verifica della innocenza-colpevolezza dell’imputato, poiché la

(Sez.V, 3.10.2014, n.41162; Sez.VI, 12.2.2014, n.6765; Sez.II, 15.11.2013, n.45989),
essendogli inibito il proscioglimento in tutti i casi in cui le fonti di prova si prestino a
soluzioni alternative e aperte o, comunque, ad essere diversamente rivalutate.
5. Consegue a quanto detto che il compito devoluto a questa Corte è quello di
verificare se siano stati o meno rispettati i limiti cognitivi connaturati al rito nel quale la
sentenza è adottata, limiti che dalla lettura della sentenza impugnata, appaiono
all’evidenza travalicati.

dopo aver dato atto che nella imputazione si fa espresso riferimento non solo
all’insorgenza della malattia, quale effetto causato dall’esposizione illecita alle polveri di
amianto, ma anche al suo sviluppo e alla riduzione progressiva del periodo di latenza con la conseguenza che causa della morte doveva ritenersi sia la condotta che aveva
provocato l’insorgenza della malattia sia quella che ne aveva provocato l’aggravamento,
determinando una significativa anticipazione dell’evento mortale – limita l’analisi al
secondo aspetto della condotta ed arriva ad escludere ogni responsabilità degli imputati
in base alla impossibilità, alla stregua delle conoscenze scientifiche attualmente a
disposizione, di accertare questa anticipazione della morte della vittima e alla pacifica
circostanza che la persona offesa aveva lavorato presso lo stesso stabilimento fin dal
1978, per circa 30 anni, arco di tempo nel quale si erano succeduti diversi datori di
lavoro cui era collegata la posizione di garanzia ipotizzata dall’accusa.
6.1. Sotto il primo profilo il Giudice ha ritenuto indimostrabile, anche a seguito di
eventuali approfondimenti dibattimentali, il nesso causale tra le singole condotte ascritte
agli imputati e la morte del dipendente – nonostante l’accertamento sia della omessa
informazione della pericolosità dell’amianto sia della mancata adozione di misure
precauzionali – pur ritenendo accertata, in base alla storia clinica del Cappelletti
risultante dalla perizia, che vi era stata un’assunzione di amianto importante (dato il
relativamente breve periodo di latenza di 27 anni) connessa alla esposizione alle polveri
presso lo stabilimento industriale di Rovereto, ove questi aveva iniziato a lavorare
nell’aprile del 1978 provenendo da differente attività svolta all’estero.
Il G.U.P. quindi ha proseguito la sua analisi evidenziando l’incertezza scientifica se
il mesotelioma rientrasse tra le patologie dose-dipendenti o tra quelle dose-indipendenti,
e ciò al fine di esaminare il secondo aspetto di cui si è detto, cioè se la condotta illecita
attribuibile al singolo imputato, spesso riferibile a periodi limitati rispetto all’esposizione
complessiva e collocati negli ultimi anni precedenti il decesso, abbia avuto un effettivo
ruolo causale sulla patologia, per il c.d. effetto acceleratore delle esposizioni successive.
La conclusione, ritenuta in sentenza, della insussistenza di una legge scientifica di
copertura del c.d. effetto acceleratore delle esposizioni successive a quelle che hanno
determinato l’insorgenza della malattia, è stata raggiunta dal G.U.P. in base alle
acquisizioni scientifiche di autorevole dottrina (i richiami sono all’opera di

Selikoff

6. Il G.U.P., nella premessa della motivazione della pronuncia di proscioglimento,

Asbestos and Diesease, Academic Press 1978, New York

e al lavoro dell’epidemiologo

Zocchetti, A proposito del quesito sulla dose dipendenza nella insorgenza del
mesotelioma da amianto, in www.penalecontemporaneo, 15 aprile 2011), ad uno studio
svedese del 1999 condotto sulla popolazione di un villaggio in Turchia esposta ad erionite
(sostanza costituente causa alternativa, rispetto all’amianto, del mesotelioma), di cui una
parte era emigrata in Svezia, ed ancora a studi compiuti nel 2009 in Gran Bretagna
(studio caso controllo Rake) e a Torino dal prof. Pira nel 2005 sui lavoratori della Società

conoscenze scientifiche il preteso effetto acceleratore del mesotelioma pleurico era una
semplice congettura o ipotesi e dunque non poteva ritenersi dato scientifico utilizzabile
per la spiegazione generale della causalità sul piano giuridico (su questo punto il richiamo
alla giurisprudenza civile inglese, decisioni Fairchild del 2002 e Barker del 2006 recepite
in una legge del 2006).
6.2. Passando all’esame del caso concreto il Giudice ha concluso allora che causa
certa del mesotelioma pleurico che aveva provocato la morte del Cappelletti era stata la
sua esposizione professionale alle polveri di amianto presso lo stabilimento industriale di
Rovereto, perché in base al giudizio controfattuale si doveva ritenere che eliminando la
complessiva esposizione sarebbe venuta meno anche la patologia. Questo sul piano sia
della c.d. causalità generale sia della c.d. causalità individuale, essendo possibile
escludere, con elevato grado di probabilità logica, cause alternative ragionevoli.
Questa prima certa conclusione è stata però ritenuta insufficiente per fondare un
giudizio di responsabilità degli imputati, poiché per ciascuno il giudizio controfattuale
doveva essere impostato nel senso di eliminare mentalmente solo l’esposizione
verificatasi durante il limitato periodo nel quale ogni imputato aveva ricoperto la carica
sociale che gli attribuiva la posizione di garanzia, mantenendo ferma tutta la esposizione
residua ascrivibile ad altri soggetti, operazione preclusa proprio dalle gravi lacune
conoscitive della scienza sulla patogenesi del mesotelioma.
7. Il ragionamento del GUP può quindi essere così sintetizzato: omesso ogni rilievo
sulla contestata condotta di induzione, mancando una legge scientifica certa sull’effetto
acceleratore, non può dirsi che vi sia stata una condotta causa-effetto per il singolo
imputato nel periodo a ciascuno contestato.
A tale conclusione il Giudice è pervenuto però non limitandosi ad esaminare il
materiale probatorio raccolto e a rilevarne la insufficienza ai fini della sostenibilità in
dibattimento della ipotesi accusatoria, ma facendo riferimento ad uni sapere scientifico
personale non utilizzabile per pervenire alla pronuncia di proscioglimento, sia perché
basato – a dire dello stesso giudicante – su ipotesi scientifiche non verificate, sia perché
non transitato nel processo e non sottoposto al confronto delle parti, che avrebbero
potuto opporre nella naturale sede del dibattimento altre ipotesi ed altri studi di pari
pregio e dignità e provocare sul punto un ulteriore approfondimento istruttorio, ovvero

Italiana Asbesto. Tali studi lo avevano portato a concludere che allo stato attuale delle

offrire una lettura dei dati acquisiti al processo alternativa e parimenti sostenibile rispetto
a quella ritenuta nell’impugnata sentenza.
8. Di qui l’annullamento della sentenza con rinvio per nuovo esame al Tribunale di
Rovereto.

P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 3 dicembre 2015

nsore

esame al Tribunale di Rovereto.

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