Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 25783 del 12/05/2015


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 25783 Anno 2015
Presidente: LOMBARDI ALFREDO MARIA
Relatore: DE MARZO GIUSEPPE

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
ISI VITO N. IL 22/05/1980
avverso la sentenza n. 6424/2011 CORTE APPELLO di MILANO, del
29/04/2014
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 12/05/2015 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. GIUSEPPE DE MARZO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. t ottAQ-,,,,L,
che ha concluso per a

5

Data Udienza: 12/05/2015

Ritenuto in fatto
1. Con sentenza del 29/04/2014 la Corte d’appello di Milano, per quanto ancora
rileva, ha confermato l’affermazione di responsabilità di Vito Isi, titolare
dell’omonima impresa individuale, dichiarata fallita in data 09/07/2007, in
relazione ai reati di bancarotta fraudolenta per distrazione e di bancarotta
semplice documentale.
2. Nell’interesse dell’imputato è stato proposto ricorso per cassazione, affidato ai
seguenti motivi.

fotografie prodotte dalla difesa erano relative a parte dei beni indicati dal
curatore come mancanti e riportati nel capo di imputazione, laddove la Corte
territoriale si era limitata a sostenere la diversità tra i beni riprodotti e quelli
indicati nel registro dei cespiti.
2.2. Con il secondo motivo, si lamenta l’erronea applicazione della circostanza
aggravante della pluralità di fatti di bancarotta, criticando la ritenuta
indipendenza degli episodi contestati, perché non sorretta da alcuna motivazione
e comunque contrastante con il rilievo che i beni, ancorché appartenenti a
diversa tipologia, erano tutti connessi con l’attività svolta dall’imprenditore
fallito.
Con ulteriore articolazione del motivo, il ricorrente rileva che la sottrazione dei
beni, di infimo valore, non aveva comportato alcun aggravamento dello stato di
dissesto, giacché, anche in caso di vendita, il passivo non avrebbe subito alcuna
significativa variazione. Si aggiunge che era sufficiente leggere i libretti di
circolazione della autovetture non ritrovate per comprendere che la risalente
datazione delle stesse privava i mezzi di qualunque valore economico.
2.3. Con il terzo motivo si lamentano vizi motivazionali, per non avere la Corte
territoriale considerato la necessità di una stima del valore dei beni sottratti, la
cui dimostrazione, decisiva per apprezzare la stessa esistenza di un pregiudizio
per i creditori, oltre che per graduare la pena, gravava sull’accusa.
2.4. Con il quarto motivo – erroneamente indicato in ricorso anch’esso con il
numero 3 – si lamenta erronea applicazione dell’art. 219, comma secondo, n. 1,
I. fall., rilevando che la “parziale asportazione dei beni sia tutta della stessa
tipologia, avendo un’unica destinazione che era quella di trasportare e lavorare il
materiale necessario per la posa in opera di pavimentazione e realizzazione di
condutture fognarie e simili”.
2.5. Con il quinto motivo si lamenta la mancata applicazione della circostanza
attenuante di cui all’ultimo comma dell’art. 219 I. fall.

Considerato in diritto

1

2.1. Con il primo motivo, si lamentano vizi motivazionali, sottolineando che le

1. Il primo motivo è inammissibile, per genericità, dal momento che: a)
l’indicazione nel capo di imputazione di alcuni beni è meramente esemplificativa,
in quanto la contestazione concerne letteralmente la distrazione di tutto il
compendio mobiliare, costituito da diversi automezzi ed attrezzature edili,
risultanti dal registro dei beni ammortizzabili; B) inoltre, la Corte territoriale ha
chiarito che il curatore aveva escluso di avere rinvenuto presso la sede
dell’impresa gli oggetti riprodotti nelle fotografie prodotte, aggiungendo che non
vi era alcuna prova che i beni raffigurati fossero di pertinenza della società,

Queste ultime considerazioni sono rimaste prive di qualunque contestazione, con
la conseguenza che le censure, come si diceva in principio, sono prive di
specificità.
2. Il secondo motivo e il quarto motivo, esaminabili congiuntamente, per la loro
stretta connessione logica, sono inammissibili.
La prima articolazione della censura contenuta nel secondo motivo, in
particolare, è, per come prospettata, manifestamente infondata.

Sez. U, n. 21039 del 27/01/2011, Loy, Rv. 249667 hanno infatti chiarito che
l’art. 219, comma secondo, n. 1, I. fall. opera sia nel caso di reiterazione di fatti
riconducibili alla medesima ipotesi di bancarotta che in quello di commissione di
più fatti tra quelli previsti indifferentemente dai precedenti artt. 216 e 217.
Ora, in tema di individuazione dei “più fatti” a cui allude la norma in esame, il
giudice – ove intenda applicare l’aggravante – deve individuare e valorizzare la
possibile indipendenza strutturale e modale degli episodi criminosi (Sez. 5, n.
8403 del 03/02/2011, Signori, Rv. 249722, in motivazione).
Il ricorrente denuncia l’illogicità e contraddittorietà della motivazione della Corte
territoriale, che ha sottolineato la differente tipologia dei beni distratti, la cui
natura ed entità rendeva assai difficile ipotizzarne la contestuale asportazione,
neppure allegata dall’imputato: tuttavia, egli non spiega in che cosa si
sostanzierebbe il vizio motivazionale lamentato, se non valorizzando la riferibilità
di tutti i beni all’attività d’impresa, ossia un argomento che, svalutando
l’autonomia delle singole vicende distrattive (tutte evidentemente configurabili
solo in relazione a beni correlati all’attività imprenditoriale), finisce, in contrasto
con il ricordato orientamento giurisprudenziale, per escludere la ravvisabilità
della pluralità di fatti riconducibili alla medesima fattispecie.
A non diverse conclusioni si giunge esaminando le critiche espresse, a tal
riguardo, nel quarto motivo, che investono la ritenuta pluralità degli episodi di
asportazione, attraverso la deduzione dell’inconferente argomento della unitaria
finalità imprenditoriale perseguita attraverso l’utilizzo dei beni: quest’ultima,

anche in considerazione del perdurante silenzio dell’imputato sul punto.

tuttavia, non contrasta con l’autonomia ravvisata dalla Corte territoriale dei
singoli episodi distrattivi.
Quanto poi alle considerazioni, svolte nel secondo motivo, sullo scarso valore dei
beni sottratti, osserva il Collegio che esse sono del tutto generiche, oltre che in
contrasto con il dato che, in tale ipotesi, non sarebbe stato economico
sopportare le spese del loro spostamento. Il ricorrente, infatti, senza alcuno
specifico riferimento ai singoli beni, omette persino di fornire i dati necessari per
apprezzare il fondamento di tale deduzione e ancor meno indica il contenuto

3. Il terzo motivo è, del pari, inammissibile per difetto di specificità, in quanto si
traduce, in termini meramente assertivi, nella ribadita assenza di valore dei beni
sottratti e insiste per la necessità di una stima, che, del tutto logicamente, non è
stata operata, a mezzo di accertamento tecnico nel processo, in quanto la
pluralità di beni sottratti rendeva evidente, secondo meri criteri di
ragionevolezza, che il valore degli stessi non era tale da giustificare la
conclusione dell’assenza di un pregiudizio per le ragioni dei creditori.
4. Il quinto motivo è inammissibile poiché l’applicazione della circostanza
attenuante di cui all’art. 219, ult. co ., I. fall. non è stata invocata con l’atto di
gravame, talché la critica finisce per prospettare una violazione di legge non
dedotta con i motivi di appello (art. 606, ult. co ., cod. proc. pen.).
5.

Il presente ricorso, in conclusione, va dichiarato inammissibile e tale

situazione, implicando il mancato perfezionamento del rapporto processuale,
cristallizza in via definitiva la sentenza impugnata, precludendo in radice la
possibilità di rilevare di ufficio l’estinzione del reato per prescrizione intervenuta
successivamente alla pronuncia in grado di appello (Cfr., tra le altre, Sez. U, n.
21 de1111/11/1994, Cresci, Rv. 199903; Sez. 3, n. 18046 del 09/02/2011,
Morra, Rv. 250328, in motivazione).
6. Alla pronuncia di inammissibilità consegue, ex art. 616 cod. proc. pen., la
condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché al
versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una somma che, in ragione
delle questioni dedotte, appare equo determinare in euro 1.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro 1.000,00 in favore della Cassa delle
Ammende.

1

Così deciso in Roma il 12/05/2015
Il Componente estensore
Gi eppe De Marzo

Il Presidente

INIPOPTATA 1 CANCEUER

fredo Maria Lombardi

degli atti processuali sui quali riposa tale affermazione.

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