Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 25780 del 06/05/2015


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 25780 Anno 2015
Presidente: LAPALORCIA GRAZIA
Relatore: PISTORELLI LUCA

SENTENZA

sui ricorsi proposti dai difensori di:
Serban Viorel, nato in Romania, il 12/9/1980;
Hornea Augustin Pantazie, nato a Drobeta Turnu Severin, 1’11/8/1986;
Fieraru Nicolae Ionut, nato a Bucarest, il 21/9/1988;

avverso la sentenza del 28/4/2014 della Corte d’appello di Venezia;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Luca Pistorelli;
udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. Alberto
Cardino, che ha concluso per il rigetto dei ricorsi.

RITENUTO IN FATTO
1.Con la sentenza impugnata la Corte d’appello di Venezia confermava la condanna di
Serban Viorel, Hornea Augustin Pantazie e Fieraru Nicolae Ionut per i reati di furto

Data Udienza: 06/05/2015

aggravato e ricettazione come rispettivamente contestati, mentre, in parziale riforma
della pronunzia di primo grado emessa a seguito di giudizio abbreviato, condannava il
Serban anche per il reato di cui all’art. 416 comma 1 c.p. e in relazione ad un ulteriore
furto, fatti per i quali era stato in precedenza assolto, provvedendo invece ad escludere
la recidiva riconosciutagli in prime cure.
2. Avverso la sentenza ricorrono tutti gli imputati a mezzo dei propri difensori.
2.1 Il ricorso proposto nell’interesse del Serban deduce errata applicazione della legge

dell’imputato per i reati per i quali era stato in precedenza assolto e con riguardo al
mancato accoglimento della revisione del giudizio di bilanciamento. Sotto il primo
profilo il ricorrente lamenta il difetto della prova dell’effettiva costituzione di una
organizzazione di mezzi e di persone riconducibile allo schema tipizzato dall’art. 416
c.p., mentre con riguardo al furto di cui al capo b) la Corte territoriale non avrebbe
compiutamente valutato le dichiarazioni a discarico rese dai testi Chiucu e Tamas.
Quanto al trattamento sanzionatorio la sentenza non avrebbe invece tenuto nella
debita considerazione la collaborazione resa dall’imputato e il fatto che egli abbia
provveduto al parziale risarcimento del danno.
2.2 II ricorso dell’Hornea denuncia analoghi vizi in merito alla commisurazione della
pena e al bilanciamento delle circostanze, lamentando la mancata replica ad alcuni dei
motivi d’appello e la valutazione negativa del comportamento processuale illogicamente
fondata sulla convinzione che l’imputato si fosse reso latitante, quando invece la difesa
aveva dimostrato che egli non si era sottratto all’esecuzione della misura cautelare
disposta nei suoi confronti.
2.3 il ricorso proposto dal Fieraru deduce a sua volta l’errata applicazione dell’ad: 133c.p. e il difetto di motivazione nella commisurazione della pena e nel giudizio di
bilanciamento, non avendo la Corte territoriale tra l’altro valutato il comportamento
collaborativo dell’imputato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I ricorsi sono inammissibili.
2. La Corte territoriale, con articolata motivazione coerente ai dati probatori esposti, ha
dato ampiamente conto delle ragioni che hanno portato, con riguardo alla posizione del
Serban, alla riforma del pronunziamento di primo grado in merito alla responsabilità
dell’imputato per il reato associativo e per il furto di cui al capo b). Ed in tal senso la
sentenza ha indicato gli elementi che consentono di ritenere la sussistenza del sodalizio
ed il ruolo apicale rivestito al suo interno dal Serban, identificandoli anche, ma non
solo, nella serie di reati fine accertati. La sentenza ha altresì evidenziato l’irrilevanza

penale e vizi della motivazione in merito all’affermazione della responsabilità

del contenuto arco temporale nel quale si è dispiegata l’attività dell’associazione,
rilevando come la stessa non si sia interrotta spontaneamante, ma solo a seguito
dell’intervento degli inquirenti. La linea argomentativa così sviluppata è immune da
qualsiasi caduta di consequenzialità logica, evidenziabile dal testo del provvedimento,
mentre le doglianze del ricorrente si rivelano del tutto generiche in quanto non
correlate al contenuto specifico del discorso giustificativo dispiegato dai giudici
dell’appello. E considerazioni analoghe valgono ‘per furto di cui al capo b), in relazione

dell’imputato dalle risultanze dell’attività di intercettazione, confutando altresì la tenuta
del presunto alibi del Serban. In proposito ancora una volta le censure del ricorrente
sfuggono al confronto con l’effettivo contenuto della motivazione e si riducono a
denunciare l’omessa valutazione delle dichiarazioni di due testi solo evocate e senza
precisazione alcuna sul loro contenuto e sulla loro decisività.
3. Parimenti inammissibili sono poi le censure proposte da tutti i ricorrenti in merito alla
commisurazione della pene e agli esiti del giudizio di bilanciamento tra circostanze. In
proposito è necessario ricordare come le valutazioni di cui si tratta appartengono al
giudice del merito e l’esercizio del potere discrezionale attribuitogli dalla legge può
essere sindacato in questa sede nei limiti della verifica della motivazione posta a
sostegno della decisione adottata sui punti menzionati. In tal senso allora si rivelano al
di fuori del perimetro della cognizione del giudice della legittimità le doglianze dei
ricorrenti in quanto mirate ad ottenere soltanto una nuova valutazione della
meritevolezza da parte degli imputati di una pena di entità inferiore o della prevalenza
delle attenuanti sulle contestate aggravanti, nella misura in cui le stesse solo in
maniera assertiva ed apparente avanzano , una critica della motivaziene-resa dai- giudici -d’appello, con la quale in realtà nemmeno si confrontano. La Corte territoriale invece
ha argomentato in maniera logica ed adeguata le ragioni delle scelte operate in merito
al trattamento sanzionatorio, spiegando le ragioni per cui la collaborazione del Serban
poteva essere valutata solo nei limiti presi in considerazione e quelle per cui non
poteva per contro ritenersi documentata quella eccepita dal Fieraru. Quanto all’Hornea
in maniera altrettanto logica e coerente alle risultanze processuali esposte i giudici
dell’appello hanno dimostrato che egli si è effettivamente reso latitante, valutando
correttamente la circostanza ai fini qui di interesse.
4. Alla declaratoria di inammissibilità dei ricorsi consegue ai sensi dell’art. 616 c.p.p. la
condanna dei ricorrenti ciascuno al pagamento delle spese processuali e al versamento
della somma, ritenuta congrua, di euro mille alla cassa delle ammende.

al quale parimenti la sentenza ha logicamente dedotto la prova della responsabilità

P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma di euro 1.000 in favore della Cassa delle Ammende.

Così deciso il 6/5/2015

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