Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 25777 del 06/05/2015


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 25777 Anno 2015
Presidente: LAPALORCIA GRAZIA
Relatore: DEMARCHI ALBENGO PAOLO GIOVANNI

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
MOSCHETTO ANTONINO ALFIO DOMENICO N. IL 25/07/1968
avverso la sentenza n. 1971/2005 CORTE APPELLO di CATANIA, del
15/10/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 06/05/2015 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. PAOLO GIOVANNI DEMARCHI ALBENGO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per

Udito, per la parte civile, l’Avv
Uditi difensor Avv.

Data Udienza: 06/05/2015

Il Procuratore generale della Corte di cassazione, dr. Alberto Cardino, ha
concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
Per il ricorrente è presente l’Avvocato Russo, il quale insiste per
l’accoglimento del ricorso.

Ritenuto in fatto

Con sentenza del 15/10/2013 la Corte d’appello di Catania ha

confermato la decisione di primo grado, che aveva condannato alla pena
di giustizia Antonino Alfio Domenico Moschetto, avendolo ritenuto
responsabile, nella qualità di presidente del consiglio di amministrazione
della Sole Telecomunicazioni s.r.I., dichiarata fallita in data 10/05/2001,
di bancarotta fraudolenta documentale e per distrazione della somma di
240 milioni di lire.
2. Nell’interesse dell’imputato è stato proposto ricorso per cassazione, con
il quale si lamentano vizi motivazionali.
In particolare, dopo una critica dell’attendibilità del socio Vernetti, il quale
aveva negato circostanze (la consegna al Moschetto di assegni sottoscritti
da lui e da altro socio, il Gea), al contrario confermate da una sentenza
del Tribunale di Ivrea, ha sottolineato: a) con riferimento alla bancarotta
distrattiva, che la Corte territoriale non aveva considerato, nonostante la
documentazione allegata alla memoria che era stata presentata, la
rilevanza degli importi che il Moschetto aveva anticipato per conto della
società, dal momento che i tre decimi del capitale sociale erano stati
immediatamente ritirati dagli altri soci, dopo la costituzione della società;
b) con riferimento alla bancarotta documentale, che il Moschetto aveva
l’esclusivo compito di curare lo sviluppo della rete commerciale, mentre
era suo padre che si era occupato della tenuta delle scritture contabili e
che, in ogni caso, come affermato dal liquidatore, era stata possibile una
fedele ricostruzione dell’attività compiuta e dei movimenti contabili.

Considerato in diritto

1. La prima articolazione del motivo di ricorso è infondata. Deve
premettersi che, essendosi in presenza di una doppia pronuncia
conforme in punto di penale responsabilità dell’imputato, le
motivazioni delle due sentenze di merito vanno ad integrarsi
reciprocamente, saldandosi in un unico complesso argomentativo
1

1.

(cfr., in motivazione, Sez. 2, n. 46273 del 15/11/2011, Battaglia,
Rv. 251550).
2.

Ora, con riguardo alla critica sollevata a proposito dell’attendibilità
del Vernetti, nel silenzio del ricorrente sul punto, deve ritenersi
che essa concerna le dichiarazioni riportate nella sentenza di primo
grado, a pag. 2, quanto al fatto che fu l’imputato a scegliere, quale
consulente amministrativo e fiscale, il dott. Paolo Bottari. E,
tuttavia, proprio la deposizione di quest’ultimo – trascurata

professionale, sia l’impossibilità di gestire la contabilità, in assenza
di trasmissione di qualunque documentazione contabile o
amministrativa, nonostante le richieste indirizzate, oltre che agli
altri soci, anche all’imputato, il quale poi provvide al ritiro degli
stessi, in bianco come si trovavano e come sarebbero poi state
consegnate al liquidatore.
3.

In tale prospettiva, non è dato cogliere alcuna frattura
motivazionale nelle argomentazioni dei giudici di merito che, alla
luce di tali circostanze, hanno valorizzato il ruolo dell’imputato di
presidente del consiglio di amministrazione della società fallita e il
conseguente diretto e personale obbligo dello stesso di tenere e
conservare le scritture contabili, in un contesto nel quale, anche a
voler seguire il ricorrente nella prospettata ripartizione dei compiti
dei soci e quanto al luogo in cui la documentazione si trovava, è
sicuro che il Moschetto era ben consapevole dello stato delle
scritture. Né, in senso contrario, può valorizzarsi il fatto che
l’imputato abbia, a seguito di contrasti insorti con gli altri soci,
cessato la sua collaborazione, in tal modo omettendo di
collaborare con il liquidatore e successivamente con il curatore.

4.

Va aggiunto, con riferimento al cenno svolto in ricorso all’avvenuta
ricostruzione dell’attività compiuta, che la genericità del rilievo si
scontra con la puntuale conclusione della sentenza di primo grado,
fondata sulle affermazioni del curatore quanto alle rilevanti
discrasie tra le fatture di acquisto e quelle di vendita e all’assenza
di idonea documentazione dei crediti verso i clienti, che aveva
impedito qualunque recupero.

5.

Quanto alle articolazioni del motivo che concernono la bancarotta
distrattiva, rileva la Corte che, non contestato il prelievo della
somma di lire 240.000.000 da parte dell’imputato, le giustificazioni
fornite da quest’ultimo sono rimaste prive di ogni riscontro
2

completamente dal ricorrente – conferma sia l’incarico

probatorio e, anzi, in un caso, sono state documentalmente
smentite. Egli, infatti, secondo quanto si legge nella sentenza di
primo grado, ha riferito di avere trattenuto per sé la somma di
100.000.000 di lire, per recuperare somme che avrebbe anticipato
per conto della società, per poi versare 50.000.000 di lire sul
conto del padre e impiegare la somma restante per soddisfare le
pretese di vari fornitori.
6.

Ora, a tacer del fatto che proprio l’assenza di riscontri documentali

conferma l’assoluta incompletezza della documentazione contabile,
va osservato che le anticipazioni personali e i pagamenti dei
fornitori sono rimaste solo genericamente dedotte, talché non
appare incrinata la logicità della motivazione con la quale i giudici
di merito hanno sorretto l’affermazione di responsabilità, mentre
del versamento della somma indicata sul conto del padre
dell’imputato non s’è rinvenuta alcuna traccia.
7.

Il ricorrente si duole dell’omesso esame, da parte della Corte
territoriale, della documentazione di cui alla memoria presentata,
dimenticando, però, che la responsabilità per il delitto di
bancarotta per distrazione richiede l’accertamento della previa
disponibilità, da parte dell’imputato, dei beni non rinvenuti in seno
all’impresa (Sez. 5, n. 7588 del 26/01/2011, Buttitta, Rv.
249715), ciò che, nella specie, non è posto in discussione. Va
ribadito che la prova della distrazione o dell’occultamento dei beni
della società dichiarata fallita può essere desunta dalla mancata
dimostrazione, ad opera dell’amministratore, della destinazione dei
beni suddetti (Sez. 5, n. 22894 del 17/04/2013, Zanettin, Rv.
255385), in quanto le condotte descritte all’art. 216, comma
primo, n. 1 I. fall., hanno (anche) diretto riferimento alla condotta
infedele o sleale del fallito nel contesto della garanzia che su di lui
grava in vista della conservazione delle ragioni creditorie. È in
funzione di siffatta garanzia che si spiega l’onere dimostrativo
posto a carico del fallito, nel caso di mancato rinvenimento di
cespiti da parte della procedura. Trattasi, invero, di sollecitazione
al diretto interessato della dimostrazione della concreta
destinazione dei beni o del loro ricavato, risposta che
(presumibilmente) soltanto egli, che è (oltre che il responsabile)
l’artefice della gestione, può rendere (Sez. 5, n. 7588 del 2011
cit., in motivazione). D’altra parte, le spiegazioni richieste al fallito

di attività che hanno riguardato la vita economica della società

non possono, a pena di vanificarne la funzione sopra ricostruita,
tradursi in mere congetture.
8. Ne consegue il rigetto del ricorso; alla pronuncia di rigetto
consegue/ ex art. 616 cod. proc. pen, la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

processuali.
Così deciso il 6/5/2015

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese

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