Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 25774 del 10/04/2013


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 25774 Anno 2013
Presidente: CAMMINO MATILDE
Relatore: PRESTIPINO ANTONIO

SENTENZA
Sul ricorso proposto da:
Gagliarducci Juri
awerso la sentenza della Corte di Appello di Roma
del 18.5.2011
Udita la relazione fatta dal consigliere
PRESTIPINO ANTONIO
Sentito il Procuratore Generale in persona del dr. Enrico Delàgye che ha concluso per
l’inammissibilità del ricorso.

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Data Udienza: 10/04/2013

Ritenuto in fatto
1. Ha proposto ricorso Gagliarducci Juri, per mezzo del proprio difensore, avverso la
sentenza della Corte di Appello di Roma del 18.5.2011, che confermò la sentenza di
condanna pronunciata nei suoi confronti dal locale tribunale il 10.11.2005 per tre rapine
eseguite, rispettivamente, 1’8.1.2001 in danno della tabaccheria gestita da Parisi Lorenzo e
poche ore dopo in danno del centro commerciale Fortegruppo; e il giorno successivo,
nuovamente in danno di quest’ultimo centro.
2. Deduce la difesa il vizio di violazione di legge ai sensi dell’art. 606 lett. c) c.p.p., in
relazione agli artt. 213 e 214 c.p.p., e comunque il difetto di motivazione in ordine alla
valutazione delle prove con specifico riferimento alla ritenuta certezza dell’identificazione
del ricorrente come uno degli autori della rapina. Il riconoscimento fotografico del
ricorrente sarebbe stato predisposto dagli inquirenti con modalità atipiche, che avrebbero
consentito ai testi di vedere il ricorrente nei locali della questura prima dell’esperimento, in
questa situazione dovendosi ritenere la necessità di una formale ricognizione di persona ai
sensi degli artt. 213 e 214 c.p.p. ;la Corte di merito non avrebbe inoltre considerato che tra
tutti i testi sentiti solo il Marletta, uno dei testimoni della prima rapina, avrebbe dichiarato
di riconoscere il Gagliarducci, ma senza la necessaria certezza. La Corte avrebbe poi
ingiustificatamente svalutato l’alibi proposto dal ricorrente.
Considerato in diritto
Il ricorso è manifestamente infondato.
1. Riguardo alla questione della “ritualità” dei riconoscimenti personali effettuati nei
confronti del ricorrente, si deve premettere che l’individuazione di un soggetto – sia
personale che fotografica- è una manifestazione riproduttiva di una percezione visiva e
rappresenta una specie del più generale concetto di dichiarazione; pertanto, la sua forza
probatoria non discende dalle modalità formali del riconoscimento, bensì dal valore della
dichiarazione confermativa, alla stessa stregua della deposizione testimoniale (Corte di
Cassazione SEZ. 6, 05/12/2007, Major e altri) Naturale corollario di tale principio, è poi
l’assoggettabilità dell’individuazione alle regole processuali che consentono l’utilizzazione in
dibattimento di dichiarazioni rese da un teste nella fase delle indagini preliminari.
L’affermazione è peraltro coerente con l’ammissibilità, nel nostro ordinamento processuale,
di prove non espressamente disciplinate dalla legge (art. 189 c.p.p.), alle quali deve essere
assimilata anche l’individuazione dell’autore del reato con modalità diverse da quelle
regolate dall’art. 213 c.p.p. (cass. 15.1.2002, Deda). E in tema di ricognizione personale
deve ammettersi che il giudice possa ritenere maggiormente attendibile l’esito positivo
dell’individuazione effettuata dalla persona offesa nel corso delle indagini
preliminari, in prossimità temporale rispetto al fatto, rispetto a quello
incerto della
ricognizione effettuata in dibattimento, valorizzando,
a fondamento del proprio
convincimento, il decorso del tempo (Cassazione pen., SEZ. 4,22/01/2008 Distinto).
1.1. Di tali principi ha fatto retta applicazione la Corte di merito, ricordando come si vedrà
più oltre, alcune caratteristiche di uno dei rapinatori descritte dai testi, non solo macro
somatiche ma anche corrispondenti a particolari fisici più “individualizzanti” che nemmeno
in ricorso si contesta propri del ricorrente; e ricordando, inoltre che tutti i contributi
testimoniali relativi all’identificazione del ricorrente erano stati ritualmente introdotti in
dibattimento (pag- 8 della sentenza impugnata; il verbale di ricognizione fotografica, si
legge in ricorso, era stato acquisito per verificare le modalità dei riconoscimenti informali)
e traendo la valutazione dell’attendibilità dei riconoscimenti, anche di quelli non confermati
in giudizio, dalla contestualizzazione della varie dichiarazioni testimoniali in un più ampio
quadro probatorio . Corrisponde poi ad una soggettiva opzione difensiva la valutazione
della decisività delle circostanze che avevano preceduto i riconoscimenti “di polizia”, per la
possibilità che i testimoni avrebbero avuto di notare visivamente il ricorrente prima
dell’esperimento. Ed invero, a prescindere dalla circostanza che in ricorso si accenna
appunto soltanto alla possibilità di un contatto visivo, non essendo affatto certo che i testi
avessero di fatto osservato il ricorrente all’interno dei locali della questura, la circostanza

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non varrebbe ex se ad inficiare i riconoscimenti (d’altra parte, nelle modalità della stessa
ricognizione formale è previsto l’interpello del teste su precedenti occasioni di
identificazione del soggetto da riconoscere, ma solo come fattore di approfondimento
dell’attendibilità del teste, non come dato normativamente impeditivo della “validità” del
riconoscimento). Per il resto, te deduzioni difensive appaiono del tutto riduttive rispetto
all’ampia analisi delle risultanze istruttorie condotta dalla Corte di merito, che non contiene
alcun travisamento delle fonti di prova, ma le ricompone in una organica ricostruzione
complessiva esente da qualunque vizio logico-giuridico nel suo esito finale di conferma del
giudizio di responsabilità del ricorrente (vedi, per la successione temporale e sulle modalità
delle tre rapine, pagg. 4 e 5 della sentenza impugnata). La Corte stabilisce un collegamento
del tutto logico tra i tre fatti criminosi, sia per la tecnica usata dai rapinatori che per
l’impiego di un taglierino a scopo intimidatorio e per l’utilizzazione della stessa autovettura,
un FIAT Uno di colore azzurro tg. Roma 57407W; e giunge a conclusioni in termini di
certezza sul coinvolgimento del Gagliarducci in tutti e tre gli episodi rilevando, a proposito
dei motivi di appello, che il teste Marletta Antonio aveva sostanzialmente confermato in
termini di certezza il riconoscimento del ricorrente come uno dei rapinatori in occasione
dell’aggressione alla tabaccheria del Parisi (ed in effetti la difesa cerca di enfatizzare alcuni
isolate espressioni del teste nemmeno particolarmente significative di dubbi sopravvenuti,
quanto esplicative, piuttosto, della sicurezza della precedente individuazione : “per me non
c’erano dubbi al momento); e osservando, per la seconda rapina, (la prima’ in danno del
centro commerciale Fortegruppo), che la difesa si era limitata ad enfatizzare, la mancanza
di riconoscimenti a carico dell’imputato, trascurando l’evidente nesso che legava l’episodio
a quello di poco successivo, che aveva visto i rapinatori tornare alla carica contro lo stesso
obiettivo; i giudici di appello confutano, infine, analiticamente, in ordine all’ultima rapina,
le obiezioni difensive circa l’inattendibilità dei riconoscimenti (pag 7), rilevando che anche i
testi che non avevano confermato in dibattimento l’identificazione del ricorrente, avevano
pur sempre indicato in precedenza alcuni significativi particolari somatici di uno dei
rapinatori, come gli occhi chiari e un difetto all’arcata dentaria, corrispondenti a specifiche
caratteristiche del ricorrente.
2. Anche sulla prova d’alibi indicata dal ricorrente le valutazioni della Corte di merito si
sottraggono alle censure di legittimità della difesa, avendo la Corte territoriale sottolineato
non solo la sospetta provenienza di tutti i testi sentiti al riguardo dall’ambiente familiare del
ricorrente, ma anche la notevole distanza di tempo che separava il loro intervento come
testimoni dalla consumazione delle rapine; quanto all’obiezione difensiva che non si
potrebbe pretendere dal ricorrente addirittura l’esibizione dello scontrino di acquisto di un
paio di scarpe, è vero però che l’impressionante precisione con cui il Gagliarducci aveva
ricostruito i propri movimenti nella giornata dell’8.1.2001 (quella della prima rapina; vedi
pag. 6 della sentenza di appello), induce radicali perplessità sul fatto che egli non abbia
saputo indicare con la stessa precisione il negozio di calzature la visita del quale dovrebbe
completare il suo alibi.
3. Si può per quanto occorra rinviare più ampiamente alle diffuse motivazioni della
sentenza, rispetto alle quali le deduzioni difensive finiscono conclusivamente per esprimere
soltanto un alternativo apprezzamento di merito in termini non compatibili con i limiti
dell’impugnazione di legittimità.
Alla stregua delle precedenti considerazioni il ricorso va dichiarato inammissibile, con la
condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro
1000,00 alla Cassa delle Ammende, commisurata all’effettivo grado di colpa dello stesso
ricorrente nella determinazione della causa di inammissibilità.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
process i e della somma di euro 1000,00 alla Cassa delle Ammende.
Così d is in Roma, nella camera di consiglio, il 10.4.2013

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