Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 25772 del 22/04/2015


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 25772 Anno 2015
Presidente: LAPALORCIA GRAZIA
Relatore: PISTORELLI LUCA

SENTENZA

sui ricorsi presentati da:
Rossi Gian Piero, nato a Castel San Giovanni, il 27/7/1934;
Capece Italo, nato a Poirino, il 3/5/1958;
Elia Annunziata, nata a Mileto, il 7/5/1951;
Gremo Giuseppe, nato a Milano, 1’11/1/1963;

avverso la sentenza del 23/9/2013 della Corte d’appello di Milano;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Luca Pistorelli;
udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore generale Dott.
Gioacchino Izzo, che ha concluso per il rigetto dei ricorsi;
udito per gli imputati gli avv.ti Claudio Zadra, Maurizio Antoniazzi, Ciro Paparo e
Farncesco Bosco, che hanno concluso chiedendo l’accoglimento dei ricorsi proposti
nell’interesse dei rispettivi assistiti.
RITENUTO IN FATTO

Data Udienza: 22/04/2015

1.Con la sentenza impugnata la Corte d’appello di Milano ha confermato la condanna
dei Rossi Gian Piero, Capece Italo, Elia Annunziata e Gremo Giuseppe per i reati di
bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale, nonché di causazione dolosa del
fallimento della Yclis s.r.I., commessi nelle rispettive qualità di amministratori di fatto di
tale società o di concorrenti esterni. In parziale riforma della pronunzia di primo grado
la Corte territoriale ha dichiarato non doversi procedere per prescrizione nei confronti
degli stessi imputati per il concorrente reato di associazione a delinquere per il quale

conseguentemente provveduto alla rimodulazione delle pene.
La vicenda
riguarda l’acquisizione della Yclis, società che già era stata posta in
, _
liquidazione, e la sua successiva strumentalizzazione per la consumazione in un arco
temporale assai ristretto di una serie di truffe consistite nell’acquisto, previa falsa
rappresentazione di una lecita e florida attività commerciale, di rilevanti quantità di
merci di natura eterogenea di cui non veniva pagato il prezzo e che erano poi rivendute
con conseguente impossessamento dei relativi proventi. La società, alla cui guida era
stato formalmente posto un anziano prestanome deceduto nelle more del giudizio
d’appello, veniva dunque utilizzata come mero schermo per realizzare le truffe
(prescrittesi già nel corso del primo grado di giudizio) e veniva successivamente
spogliata dei ricavi percepiti dalla vendita dei beni pur illecitamente.acquistati ed infine
abbandonata all’inevitabile fallimento, sopravvenuto a causa dei rilevanti debiti
accumulati e non onorati.

2. Avverso la sentenza ricorrono tutti gli imputati per mezzo dei rispettivi difensori.
2.1 II ricorso proposto nell’interesse del Rossi deduce errata applicazione della legge
penale e correlati vizi di motivazione. Con riguardo al reato associativo lamenta la
mancata individuazione da parte della Corte territoriale del ruolo effettivamente
ricoperto dall’imputato all’interno del sodalizio e della condotta associativa allo stesso
attribuibile. Quanto ai fatti di bancarotta parimenti la sentenza non avrebbe saputo
identificare il contenuto della condotta concorsuale addebitabile al Rossi, mentre dalle
risultanze processuali emergerebbe come egli non abbia partecipato alla consumazione
delle presunte truffe, né abbia mai svolto funzioni amministrative in seno alla società o
abbia assunto la qualifica di amministratore di fatto della medesima.
2.2 II ricorso proposto nell’interesse del Capece articola quattro motivi. Con il primo
eccepisce inutilizzabilità della deposizione del M.Ilo Buccoliero in quanto questi sarebbe
stato indebitamente autorizzato a consultare la propria annotazione – poi acquisita dal
Tribunale – contenente quanto riferito de relato all’ufficiale di p.g. e che dunque, in
violazione dell’art. 195 comma 4 c.p.p., sarebbe poi stato utilizzato nella motivazione
della sentenza di primo grado. Con il secondo motivo eccepisce invece l’inutilizzabilità
dell’interrogatorio reso dal coimputato Pellegrini, posto che le dichiarazioni

pure avevano riportato condanna nel precedente grado di giudizio e ha

predibattimentali del coimputato possono essere utilizzate solo a fini di contestazione e
allo scopo di valutare la credibilità del dichiarante. Non di meno tale interrogatorio
sarebbe stato assunto in assenza del difensore di fiducia del Pellegrini (non avvisato), a
nulla rilevando che questi fosse stato nominato in altro procedimento, atteso che lo
stesso sarebbe poi confluito in quello presente, ed altresì di quello d’ufficio,
allontanatosi. Ancora l’eventuale utilizzabilità contra alios delle dichiarazioni rese dal
coimputato comunque avrebbe richiesto il consenso delle parti interessate, invero mai

giustificare l’utilizzazione delle sue dichiarazioni ex art. 512 c.p.p., in quanto
l’istruttoria si era esaurita con la chiusura del dibattimento di primo grado e dunque la
successiva acquisizione delle stesse ha pretermesso il diritto dell’imputato di proporre
istanze istruttorie funzionali a contestarne il contenuto. Infine la Corte territoriale non
avrebbe svolto alcuna verifica dell’attendibilità intrinseca ed estrinseca delle suddette
dichiarazioni. Con il terzo motivo vengono – dedotti vizi della motivazione -in merito alla
ritenuta responsabilità del Capece per i reati di bancarotta, ritenendosi in proposito che
la Corte territoriale avrebbe sostanzialmente travisato le testimonianze del Biffi, del
Cosentino e del Sacchini e trascurato quella della Lamberti, mentre il teste Urso non
sarebbe stato in grado di riconoscere con certezza l’imputato e ancor più
significativamente numerosi – altri- testi escussi nel corso dell’istruttoria avrebbero
escluso di averlo conosciuto. Ancora le dichiarazioni del teste Marcotriggiano sarebbero
invece idonee a suffragare le ipotesi accusatorie. In definitiva dal complesso delle
risultanze processuali emergerebbe la sua sostanziale estraneità al contesto associativo
descritto in sentenza e ai fatti di bancarotta contestati, in relazione ai quali
l’affermazione di responsabilità si fonderebbe esclusivamente sulle inutilizzabili e non
riscontrate dichiarazioni del Pellegrini. Con il quarto ed ultimo motivo analoghi vizi di
motivazione vengono prospettati con riguardo al mancato accoglimento delle richieste
di esclusione dell’aumento di pena relativo alla contestata recidiva e di concessione
delle attenuanti generiche, nonché in merito alal commisurazione della pena.
2.3 Il ricorso proposto nell’interesse della Elia articola tre motivi. Con il primo anche la
ricorrente solleva negli stessi termini l’eccezione di inutilizzabilità della deposizione del
Buccoliero già contenuta nel corrispondente motivo del ricorso del Capece e di cui
si è già detto. Con-il-secondo motivo lamenta vizi della motivazione in ordine al ritenuto
concorso dell’imputata nei reati di bancarotta contestati. In tal senso si evidenzia come
i testimoni escussi non abbiano fornito elementi indicativi della responsabilità della Elia,
la cui prova è stata tratta esclusivamente dalla citata deposizione del Buccoliero.
Analoghi vizi della motivazione vengono dedotto con il terzo motivo in merito alla
denegata concessione delle attenuanti generiche.
2.4 Il ricorso proposto nell’interesse del Gremo articola due motivi. Con il primo
vengono dedotti vizi della motivazione in merito alla prova dei reati contestati. In realtà

accordato ed anzi espressamente negato. Né infine la morte del Pellegrini poteva

il ricorrente non contesta la sussistenza di questi ultimi, ma il raggiungimento della
prova del coinvolgimento in essi dell’imputato, osservando come il Gremo non risulti
dalle emergenze processuali aver mai partecipato all’amministrazione della fallita o alla
gestione dei suoi rapporti bancari o anche solo del magazzino in cui venivano depositati
i beni acquistati. Né vi sarebbe evidenza del coinvolgimento dell’imputato in alcuna
delle truffe che sarebbero state realizzate dietro lo schermo della Yclis. A suo carico vi
sarebbe invero solo la prova di aver in alcuni casi commissionato parte della merce poi

In tal senso la Corte territoriale non avrebbe in alcun modo fornito la prova della
consapevolezza del Gremo, soggetto

extraneus,

di agevolare con il proprio

comportamento le condotte illecite dell’intraneus, né le ragioni per cui egli debba
rispondere dell’intero volume delle distrazioni e della bancarotta documentale, non
risultando che egli si sia mai occupato della contabilità e dei bilanci della fallita. Con il
secondo motivo analoghi vizi vengono dedotti con riguardo alla commisurazione della
pena e alla mancata concessione delle attenuanti generiche.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.1 ricorsi sono inammissibili.
2. Pregiudiziale è l’esame delle eccezioni processuali sollevate con i ricorsi del Capece e
della Elia, le quali sono peraltro manifestamente infondate o generiche.
2.1 Quanto alla prospettata inutilizzabilità delle dichiarazioni del Kilo Buccoliero già la
Corte territoriale, nel rigettare l’analoga eccezione sollevata con i gravami di merito, ha
osservato come la sentenza di primo grado non avesse utilizzato la sua deposizione
nella parte in cui lo stesso aveva riportato quanto riferitogli dalle persone sentite nel
corso delle sue indagini. Pacifica la legittimità ai sensi del combinato disposto degli artt.
499 comma 5 e 514 comma 2 c.p.p. dell’autorizzazione data al teste di consultare
l’annotazione di p.g. a propria firma in aiuto alla memoria nel corso della deposizione,
era dunque onere dei ricorrenti precisare quali sarebbero state invece le dichiarazioni de
relato rilasciate dall’ufficiale di p.g. indebitamente utilizzate dai giudici del merito in
violazione del quarto comma dell’art. 195 c.p.p.. Onere che gli stessi non hanno assolto,
prospettando in maniera generica che le ‘dichiarazioni del teste si fonderebbero su
quanto riferitogli dai soggetti dallo stesso escussi, senza specificare quali delle
informazioni veicolate attraverso la sua deposizione nel processo trovino il loro effettivo
presupposto nelle dichiarazioni rese al Buccoliero dalle persone da lui sentite. Non di
meno i ricorrenti si sono limitati in maniera altrettanto generica ad affermare che la
prova della responsabilità degli imputati si fonderebbe sulle dichiarazioni dell’ufficiale di
p.g. di cui era vietata l’utilizzazione ovvero sull’annotazione consultata dal medesimo,
senza precisare quali siano le circostanze ritenute in tal modo provate dai giudici del

distratta, ma vi è evidenza per cui in tali casi dei pagamenti si sarebbe occupata l’Elia.

merito. Invece le sentenze, tanto di primo che di secondo grado, evocano la deposizione
del Buccoliero esclusivamente al fine della prova di fatti oggetto di diretto accertamento
da parte del medesimo, affidandosi per il resto alle dichiarazioni rese in dibattimento
dagli altri testimoni, e mai fanno riferimento all’annotazione citata come fonte
autonoma della prova dei reati in contestazione, talchè qualsiasi questione relativa alla
sua eventuale acquisizione da parte del Tribunale rimane irrilevante.
2.2 L’eccezione proposta dal solo Capece in ordine all’inutilizzabilità dell’interrogatorio

manifestamente infondata. Va innanzi tutto ricordato che tale interrogatorio è stato
acquisito mediante lettura dalla Corte d’appello ai sensi dell’art. 512 c.p.p. in seguito al
decesso del Pellegrini, avvenuto nelle more del giudizio di secondo grado. Acquisizione
che deve ritenersi legittima ancorchè l’atto fosse già stato acquisito nel primo grado di
giudizio, ma ai sensi dell’art. 513 c.p.p. e dunque senza che le dichiarazioni rese dal
Pellegrini potessero – essere utilizzate erga – omnes. Infatti la sopravvenuta irripetibilità
dell’interrogatorio consente la sua nuova acquisizione a diverso titolo e la sua
utilizzazione secondo le differenti regole che questo comporta (cfr. Sez. 6, n. 313/00 del
29 settembre 1999, Petralia ed altri, Rv. 216406; Sez. 1, n. 25791 del 22 maggio 2002,
Fragalà e altri, Rv. 221583). Acquisizione che dal testo della sentenza risulta essere
peraltro avvenuta all’udienza del 23 settembre 2013 nel contraddittorio delle parti e
senza la loro espressa opposizione – che peraltro non sarebbe stata ostativa – posto che
quella manifestata in precedenza (nel corso del dibattimento di primo grado) riguardava
l’utilizzabilità erga omnes delle dichiarazioni acquisite, però, ai sensi dell’art. 513 c.p.p.
2.3 Né ha fondamento il rilievo difensivo per cui tale acquisizione sarebbe vietata
perchè “tardiva” in quanto intervenuta dopo l’esaurimento dell’istruttoria dibattimentale
nel primo grado di giudizio con la conseguente impossibilità per l’imputato di
promuovere istanze difensive tese a contestare il contenuto delle dichiarazioni rese dal
Pellegrini. Infatti la nuova acquisizione è stata disposta sostanzialmente nell’esercizio
dei poteri officiosi di procedere alla rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale in
appello, ipotesi in cui, per consolidata giurisprudenza è riconosciuto alle parti il diritto
alla prova contraria, che il giudice può non ammettere solo se la prova richiesta non
corrisponde agli ordinari criteri di cui all’art. 190 c.p.p. e non sulla base di una
valutazione discrezionale, come nel caso di cui all’art. 603 comma- c.p.p.- (ex multis
Sez. 6, n. 48645 del 6 novembre 2014, G. e altro, Rv. 261256). L’iniziativa della Corte
non ha dunque impedito all’imputato di esercitare il proprio diritto alla controprova, ma
più semplicemente egli ha rinunziato ad esercitarlo non avendo presentato al giudice
dell’appello le istanze istruttorie che aveva facoltà di proporre.
2.4 Quanto alla nullità dell’interrogatorio in questione per l’omesso avviso della sua
fissazione al difensore di fiducia, si tratta di eccezione manifestamente infondata. Al di
là della questione relativa all’effettiva efficacia della nomina effettuata dal Pellegrini in

reso nella fase delle indagini preliminari dal coimputato Pellegrini è invece

altro procedimento – la cui eventuale confluenza in quello in cui venne svolto
l’interrogatorio prima della sua celebrazione è apoditticamente affermata dal ricorrente,
su cui invece gravava l’onere di specifica documentazione della circostanza il cui
mancato assolvimento rivela in ogni caso il difetto’ di autosufficienza del ricorso – deve
ricordarsi che la presenza del difensore all’interrogatorio non è obbligatoria e che
pertanto l’imputato, accettando che questo si svolgesse in assenza del difensore di
fiducia non avvisato, ha – come sua facoltà – sostanzialmente rinunziato ad eccepire

2.5 Non di meno deve ricordarsi come l’eventuale nullità dell’interrogatorio
dell’indagato, determinata dall’assenza del difensore, non invalida le dichiarazioni
accusatorie che nel corso dello stesso interrogatorio siano state rese nei confronti di
altri, non potendosi dire pregiudicato il diritto di difesa di questi ultimi dal momento che
i loro difensori non avrebbero comunque avuto titolo per essere avvisati

dell’interrogatorio stesso, nè tanto meno -ad assistervi (Sez. – 2, •n-: 38021/03 del 16
novembre 2001, Cincotti, Rv. 226704).
2.6 Con riguardo infine al lamentato difetto della verifica dell’attendibilità intrinseca ed
estrinseca delle dichiarazioni del Pellegrino, la doglianza si rivela generica atteso che la
Corte territoriale ha specificamente indicato in che termini le stesse debbano ritenersi
riscontrate da altre risultanze processuali, mentre la valutazione sulla loro intrFnseca
attendibilità è stata implicitamente effettuata attraverso la motivazione relativa alla
ritenuta consistenza del compendio probatorio a carico del dichiarante. Quanto invece
alla mancata instaurazione del contraddittorio sul punto si tratta di censura parimenti
generica, non avendo il ricorrente spiegato per quali ragioni gli sarebbe stato impedito
nella discussione finale di affrontare il tema dell’attendibilità delle suddette
dichiarazioni.
3. Inammissibili sono le doglianze avanzate da alcuni ricorrenti in merito alla prova della
effettiva partecipazione degli imputati all’ipotizzata associazione (la cui sussistenza non
viene invero contestata nei ricorsi). In proposito è appena il caso di sottolineare come la
Corte territoriale abbia dichiarato prescritto il reato di cui al capo 1, limitandosi a
rilevare, in maniera peraltro coerente alle risultanze processuali per come riportate in
sentenza, l’insussistenza dei presupposti,. per un proscioglimento nel merito degli
imputati. In tal senso va allora ricordato come, per il consolidato insegnamento di
questa Corte, in presenza di una causa di estinzione del reato, non sono rilevabili in
sede di legittimità vizi di motivazione della sentenza impugnata in quanto il giudice del
rinvio avrebbe comunque l’obbligo di procedere immediatamente alla declaratoria della
causa estintiva (Sez. Un., n. 35490 del 28 maggio 2009, Tettamanti, Rv. 244275).

tale inadempimento sanando l’eventuale nullità che ne conseguiva.

4. Venendo alle censure svolte in riferimento ai reati fallimentari nei diversi ricorsi,
risultano o irrimediabilmente generiche o tese a sollecitare al giudice di legittimità una
inammissibile rivalutazione nel merito del compendio probatorio di riferimento.
4.1 Va infatti osservato come le doglianze formulate dal Rossi, dalla Elia e dal Gremo
non siano nella loro sostanza specificamente correlate alla motivazione attraverso cui la
Corte territoriale ha evidenziato le ragioni del loro ritenuto concorso nei reati in
questione, ricavando la relativa prova dalla non occasionale partecipazione degli stessi

dichiarazioni dei testimoni escussi nel primo grado di giudizio, fossero essi fornitori
truffati piuttosto che meri collaboratori dell’azienda. Tenuto conto della natura
totalmente illecita dell’impresa gestita attraverso la Yclis in un arco di tempo assai
ristretto e registrate le peculiari modalità di svolgimento dell’attività commerciale
(come ad esempio il ricorso diffuso a nomi di fantasia nei rapporti esterni, l’acquisto di
merce eterogenea incompatibile con l’oggetto sociale, il sistematico inadempimento
delle obbligazioni, l’improvvisa chiusura dell’azienda), nonché il coinvolgimento dei tre
sunnominati imputati in altra analoga precedente vicenda, i giudici d’appello in maniera
logica e coerente alle risultanze processuali hanno ritenuto il concorso del Rossi, della
Elia e del Gremo nei reati contestati e la loro consapevolezza di partecipare
all’esecuzione di un progetto predatorio, rimanendo in tal modo irrilevante che essi non
risultino coinvolti in ogni singolo episodio tra quelli accertati o conosciuti da ognuna
delle persone entrate in contatto con la società ovvero che abbiano ricoperto ruoli o
funzioni diverse ed eventualmente specializzate, come invece nella sostanza si sono
limitati a dedurre i suddetti ricorrenti quando non si sono spinti a proporre una rilettura
soggettivamente orientata dei singoli elementi indiziari, per di più in un’ottica
atomistica che trascura le sinergie interne al compendio probatorio nel suo complesso
considerato che sono state evidenziate dalla Corte territoriale.
4.2 E considerazioni non diverse devono essere riservate alle censure solo
apparentemente più articolate svolte con il terzo motivo del ricorso del Capece, atteso
che il ricorrente si è limitato alla confutazione di solo alcuni degli elementi che hanno
fondato il ragionamento probatorio svolto dalla sentenza in merito alla posizione
dell’imputato, sorvolando sugli altri, circostanza che di per sé evidenzia la genericità del
ricorso. Quanto poi alla contestazione della certezza dei riconoscimento del Capece
effettuato dal teste Ursi, la doglianza si traduce nell’altrettanto generica deduzione del
vizio di travisamento della prova in quanto non sostenuta dalla documentazione del suo
effettivo contenuto. Circa invece l’evocazione dei testi che non hanno indicato nel
Capece uno dei soggetti con cui sono entrati in rapporto si tratta di argomento del tutto
irrilevante, atteso che, come già rilevato, l’accertata ripartizione dei ruoli nella
consumazione delle attività illecite presuppone che non tutti gli imputati abbiano
materialmente partecipato ad ogni singolo segmento esecutivo del comune proge

a vari aspetti della gestione dell’attività della fallita per come certificata dalle

criminoso, ma non per questo ne impedisce l’imputazione soggettiva a tutti i
concorrenti nella misura in cui le sentenze di merito hanno dimostrato la colletiva
adesione alla loro realizzazione.

5. Manifestamente infondate e generiche si rivelano infine anche le critiche mosse dai
ricorrenti alla motivazione della sentenza in punto di trattamento sanzionatorio.
5.1 In proposito va innanzi tutto ricordato come, secondo il consolidato insegnamento

possibilità di adeguamento della pena in senso favorevole all’imputato in
considerazione di altrimenti non codificabili situazioni e circostanze che effettivamente
incidano sull’apprezzamento dell’entità del reato e della capacità a delinquere del suo
autore. In tal senso la necessità di tale adeguamento non può mai essere data per
scontata o per presunta, avendo il giudice l’obbligo, quando ne affermi la sussistenza,
di fornire apposita e specifica motivazione id-onea a fare emergere gli elementi atti a
giustificare la mitigazione del trattamento sanzionatorio (ex multis e da ultime Sez. 3,
n. 19639 del 27 gennaio 2012, Gallo e altri, Rv. 252900; Sez. 5, n. 7562 del
17/01/2013 – dep. 15/02/2013, P.G. in proc. La Selva, Rv. 254716). Ed è in questa
cornice che devono essere inseriti gli ulteriori principi per cui la concessione o meno
delle -attenuanti generiche -rientra nell’ambito di un giudizio di fatto rimesso alla
discrezionalità del giudice, il cui esercizio deve essere motivato nei soli limiti atti a far
emergere in misura sufficiente la sua valutazione circa l’adeguamento della pena alla
gravità effettiva del reato ed alla personalità del reo, anche quindi limitandosi a
prendere in esame, tra gli elementi indicati dall’art. 133 c.p., quello che ritiene
prevalente ed atto a determinare o meno il riconoscimento del beneficio (Sez. 6 n.
41365 del 28 ottobre 2010, Straface, rv 248737; Sez. 2, n. 3609 – dél 18 gennaio 2011,Sermone e altri, Rv. 249163).
5.2 La decisione dei giudici d’appello di negare a tutti gli imputati la concessione delle
attenuanti generiche deve dunque correttamente e logicamente motivata con riguardo
alla gravità dei fatti contestati, alla professionalità dimostrata dagli imputati nella loro
consumazione e ai precedenti da cui gli stessi risultano gravati. Motivazione attraverso
la quale la sentenza ha implicitamente evidenziato anche le ragioni per cui ha ritenuto
sussistenti i presupposti per l’effettiva applicazione dell’aumento relativo alle centestate
recidive e l’adeguatezza della commisurazione delle pene, che peraltro ha provveduto a
rimodulare in senso favorevole agli imputati, le cui lamentele risultano invece del tutto
generiche o tese ad ottenere una inammissibile rivalutazione del merito delle decisioni
assunte dalla Corte territoriale sui punti indicati.

6. Conclusivamente, per quanto riguarda la sollecitazione avanzata in discussione da
alcuni difensori a rilevare l’intervenuta prescrizione dei reati, va ricordato come la

di questa Corte, le circostanze attenuanti generiche hanno lo scopo di estendere le

causa estintiva – eventualmente maturata dopo la pronunzia della sentenza impugnata
– non possa essere dichiarata d’ufficio in questa sede, ostandovi la rilevata
inammissibilità dei ricorsi che non ha consentito il formarsi di un valido rapporto di
impugnazione, precludendo, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di
non punibilità a norma dell’articolo 129 c.p.p. (Sez. Un. n. 32 del 22 novembre 2000,
De Luca, rv 217266). Non di meno la richiesta difensiva è altresì destituita di
fondamento, atteso che i reati fallimentari per cui è intervenuta condanna sono

prescrizione prorogato e calcolato ai sensi dell’art. 157 c.p. nella sua nuova
formulazione (comunque più favorevole per gli imputati) non è quello già scaduto di
dodici anni e sei mesi, bensì quello di anni diciotto e mesi otto, con la conseguenza che,
anche non tenendo conto delle sospensioni, lo stesso si compirà al più presto non prima
del 2 maggio 2020.

7. Alla declaratoria di inammissibilità dei ricorsi consegue ai sensi dell’art. 616 c.p.p. la
condanna di ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento
della somma, ritenuta congrua, di euro mille alla cassa delle ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma di euro 1.000 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso il 22/4/2015

aggravati ai sensi dell’art. 219 comma 1 legge fall. Ne consegue che il termine di

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