Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 25763 del 13/03/2015


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 25763 Anno 2015
Presidente: NAPPI ANIELLO
Relatore: CAPUTO ANGELO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
SIGNORELLI AURELIO N. IL 20/10/1924
avverso la sentenza n. 3916/2013 CORTE APPELLO di MILANO, del
08/05/2014
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 13/03/2015 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. ANGELO CAPUTO
TT

cehaiiiuso

Data Udienza: 13/03/2015

Udito il Sostituto Procuratore generale della Repubblica presso questa Corte
di cassazione dott. M. Fraticelli, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza deliberata in data 08/05/2014, la Corte di appello di Milano
ha confermato la sentenza in data 01/02/2013 con la quale il Tribunale di Lecco
aveva dichiarato Aurelio Signorelli colpevole del reato di minaccia semplice – così

una pietra in mano ed alzando il braccio in aria, minacciava un danno ingiusto a
Michelangelo Maffioli, dicendogli “te la facciamo pagare” e lo aveva condannato
alla pena della multa di euro 51.

2. Avverso l’indicata sentenza della Corte di appello di Milano ha proposto
personalmente ricorso per cassazione Aurelio Signorelli, articolando quattro
motivi di seguito enunciati nei limiti di cui all’art. 173, comma 1, disp. att. cod.
proc. pen.
2.1. Violazione dell’art. 24 cod. proc. pen. Il Tribunale di Lecco ha escluso la
minaccia aggravata, derubricando il reato ascritto in minaccia semplice, ma non
ha dichiarato la propria incompetenza, con conseguente trasmissione degli atti al
P.M., né la Corte di appello ha rilevato tale vizio.
2.2. Violazione dell’art. 612, primo comma, cod. pen. La frase oggetto
dell’imputazione alludeva alla questione civile che contrappone l’imputato e la
persona offesa in ordine a una servitù di passaggio: sia la persona offesa, sia la
moglie hanno ricollegato la frase alla causa in corso, sicché l’espressione
intimidatoria non prospettava un male ingiusto, ma l’esercizio del diritto di
servitù. La frase oggetto di imputazione è “te la facciamo pagare” e non “ve la
faremo pagare” come affermato dalla Corte di appello, sicché difetta il requisito
del male futuro, poiché la frase prospettava una situazione legittima e attuale.
2.3. Mancata applicazione della circostanza attenuante della provocazione.
La persona offesa ha ammesso di aver preso sotto braccio l’imputato, pur
negando di averne causato la caduta, ma non vi sono i presupposti per ritenere
la credibilità del primo e non del secondo.
2.4. Vizi di motivazione. La sentenza impugnata è contraddittoria perché, da
un lato, ammette l’accertamento del diritto reale e, dall’altro, definisce ingiusta
l’azione esercitata contra ius. La servitù di passaggio era stata accertata con
sentenza del Tribunale di Lecco, come riferito dal teste De Bernardi, laddove,
come emerge da quanto riferito dai testi Maffioli e De Bernardi, l’espressione
usata non era idonea ad incidere sulla libertà morale del soggetto passivo.

2

riqualificata l’originaria imputazione di minaccia aggravata – perché, tenendo

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso deve essere rigettato.
Il primo motivo è infondato. L’art. 24 cod. proc. pen. richiamato dal
ricorrente, disciplina le decisioni del giudice di appello sulla competenza,
laddove, con riferimento all’ipotesi della riqualificazione operata dal giudice di
primo grado – ipotesi che ricorre nel caso di specie – questa Corte, con riguardo

attribuiti al giudice di pace, ha evidenziato come dal combinato disposto degli
artt. 21 e 23 cod. proc. pen. si evinca che «l’incompetenza per materia è rilevata
anche d’ufficio in ogni stato e grado del processo, con l’eccezione del caso in cui
il reato appartenga alla cognizione di un giudice di competenza inferiore. In tal
caso l’incompetenza deve essere rilevata o eccepita, a pena di decadenza, in
primo grado, entro il termine stabilito dall’art. 491 c.p.p., comma 1, cioè subito
dopo compiuto per la prima volta l’accertamento della costituzione delle parti»
(Sez. 3, n. 21257 del 05/02/2014 – dep. 26/05/2014, C.). In questa prospettiva,
la giurisprudenza di legittimità ha precisato altresì che la Corte di appello,
qualora riqualifica un fatto giudicato dal tribunale, riconducendo lo stesso ad una
fattispecie di reato di competenza del giudice di pace, può decidere nel merito
l’impugnazione ex art. 24, comma 2, cod. proc. pen. senza dover trasmettere gli
atti al pubblico ministero e dichiarare contestualmente la competenza del giudice
di pace, anche fuori dai casi previsti dall’art. 6 del D.Lgs. n. 74 del 2000 (Sez. 3,
n. 21257 del 05/02/2014 – dep. 26/05/2014, cit.; conf. Sez. 5, n. 42827 del
16/07/2014 – dep. 13/10/2014, Schintu, Rv. 262114). Nel caso di specie,
l’incompetenza del tribunale a conoscere del reato in questione non è stata
rilevata né risulta eccepita entro il termine stabilito dall’art. 491 cod. proc. pen.
(e, peraltro, neppure nei motivi di appello, secondo la non contestata sintesi
offertane dalla sentenza impugnata). Né la soluzione invocata dal ricorrente può
trovare fondamento nella disciplina dettata dall’art. 48 d. Igs. n. 274 del 2000,
disciplina, questa, che, secondo l’orientamento, condiviso dal Collegio, di gran
lunga maggioritario nella giurisprudenza di questa Corte, «non incide sul
disposto di cui all’art. 23 c.p.p., comma 2, che disciplina il potere della parte di
eccepire l’incompetenza per materia, allorché la stessa appartiene ad un giudice
inferiore, ancorandola, a pena di decadenza, al termine stabilito dall’art. 491
c.p.p., comma 1» del codice di rito (Sez. 5, n. 15727 del 22/01/2014 – dep.
08/04/2014, P.G. in proc. Bartolo, Rv. 260560); infatti, l’incompetenza del
tribunale a conoscere di reati appartenenti alla competenza del giudice di pace
va eccepita, a pena di decadenza, entro il termine stabilito dall’art. 491, comma

a un reato che, all’esito della riqualificazione, risultava rientrante tra quelli

primo cod. proc. pen., come richiamato dall’art. 23, comma 2, cod. proc. pen.
(Sez. 3, n. 31484 del 12/06/2008 – dep. 29/07/2008, Infante, Rv. 240752). La
disciplina dettata dall’art. 48 cit., dunque, deve essere interpretata nel senso che
«essa non deroga al regime della non rilevabilità d’ufficio dell’incompetenza per
materia del tribunale a favore del giudice di pace, ma stabilisce semplicemente
che, qualora il giudice, secondo le regole fissate nel codice di procedura penale,
debba dichiarare l’incompetenza per materia a favore del giudice pace, lo fa con
sentenza e trasmettendo gli atti al pubblico ministero e non direttamente al

contra, isolatamente, Sez. 3, n. 12636 del 02/03/2010 – dep. 01/04/2010, Ding
e altro, Rv. 246816).
Il secondo motivo è manifestamente infondato. L’inerenza della vicenda a
una controversia giudiziaria in corso tra le parti non esclude la rilevanza ex art.
612 cod. pen. della condotta espressiva, secondo quanto rilevato dalla Corte di
merito con motivazione incensurabile, della determinazione a procurare, con
modalità ingiuste, un danno all’avversario della contesa. Né in senso contrario
può invocarsi il tenore della frase pronunciata dall’imputato così come riportata
dal giudice di appello, posto che la parziale difformità della stessa rispetto
all’imputazione è manifestamente inidonea a disarticolare l’intero ragionamento
svolto dal giudicante, determinando al suo interno radicali incompatibilità, così
da vanificare o da rendere manifestamente incongrua o contraddittoria la
motivazione (Sez. 1, n. 41738 del 19/10/2011 – dep. 15/11/2011, Pmt in proc.
Longo, Rv. 251516).
Il terzo motivo è inammissibile. La Corte di merito, affrontando il punto
devoluto con i motivi di appello, ha escluso la sussistenza dei presupposti della
circostanza attenuante della provocazione, rilevando, tra l’altro, come non vi sia
prova che l’imputato sia scivolato per terra a causa di un comportamento della
persona offesa: al riguardo, il motivo di ricorso, si limita a prospettare
l’inattendibilità del teste, la cui affidabilità, al contrario, è stata messa in luce
dalle concordi sentenze di merito in termini non compromessi, sul piano della
tenuta logico-argonnentativa, dal ricorso.
Il quarto motivo è del pari inammissibile. La Corte di merito ha sottolineato
come l’appellante non avesse indicato i dati probatori in base ai quali ritenere
che la persona offesa e la moglie avrebbero percepito un tenore inoffensivo della
frase pronunciata dall’imputato. Al riguardo, il ricorrente richiama alcune brani
delle testimonianze rese che, oltre a dar conto della sola – già evidenziata inerenza della vicenda ad una controversia giudiziaria esistente tra le parti, sono
dedotte in termini del tutto aspecifici.

4

giudice di pace» (Sez. 3, n. 21257 del 05/02/2014 – dep. 26/05/2014, cit.;

Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato e il ricorrente deve essere
condannato al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.

Così deciso il 13/03/2015

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