Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 25753 del 05/02/2015


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 25753 Anno 2015
Presidente: SAVANI PIERO
Relatore: MICCOLI GRAZIA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PEZZA UMBERTO N. IL 14/10/1950
avverso la sentenza n. 1517/2012 CORTE APPELLO di ANCONA, del
05/02/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 05/02/2015 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. GRAZIA MICCOLI
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per

Udito, per la parte civile, l’Avv
Uditi difensor Avv.

Data Udienza: 05/02/2015

Il Procuratore Generale della Corte di Cassazione, dott. Giuseppe CORASANITI, ha concluso
chiedendo l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata.

RITENUTO IN FATTO
1. La Corte di appello di Ancona in data 12 febbraio 2013, in parziale riforma della sentenza di
primo grado emessa dal Tribunale di Ascoli Piceno, ha corretto il riferimento erroneo all’articolo
442 cod. proc. pen e ha ridotto la pena inflitta a Umberto PEZZA, condannato per il reato di
cui all’art. 483 cod. pen., perché, presentando presso la Camera di commercio di Ascoli Piceno
una dichiarazione finalizzata ad ottenere l’iscrizione nel registro delle imprese, attestava

normativamente, tra cui v’è quello di non essere stato dichiarato fallito (essendo invece stato
dichiarato fallito in data 7 maggio 1981) e di essere stato condannato ad una pena per la quale
non sono trascorsi 5 anni da quanto la pena è stata dichiarata estinta (fatto commesso in
data 20 ottobre 2007).
2. Con atto sottoscritto dal suo difensore, ha proposto ricorso l’imputato deducendo la
violazione di legge, con riferimento agli artt. 2 cod. pen. e 71, comma 3, del decreto legislativo
59/2010.
Secondo il deducente l’art. 71 citato sarebbe più favorevole ed applicabile per questo anche a
fatti commessi in precedenza.

CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile.
Infatti, i motivi dedotti in questa sede reiterano pedissequamente quelli già proposti in appello
avverso la sentenza di primo grado; e l’esame della sentenza d’appello consente di ritenere
che su di essi è stata fornita adeguata, congrua e logica risposta in motivazione.
Va ricordato a tal proposito che la funzione tipica dell’impugnazione è quella della critica
argomentata avverso il provvedimento cui si riferisce, che si realizza con la presentazione di
motivi che, a pena di inammissibilità (artt. 581 e 591 cod. proc. pen.), debbono indicare
specificamente le ragioni di diritto e gli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta.
Il motivo di ricorso in cassazione, poi, è caratterizzato da una duplice specificità. Deve essere
senz’altro conforme all’art. 581, lett. c, cod. proc. pen. ovvero contenere l’indicazione delle
ragioni di diritto e degli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta presentata al giudice
dell’impugnazione; ma quando censura le ragioni che sorreggono la decisione deve, altresì,
enucleare in modo specifico il vizio denunciato, in modo che sia chiaramente sussumibile fra i
tre soli vizi previsti dall’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., deducendo poi, altrettanto
specificamente, le ragioni della sua decisività rispetto al percorso logico seguito dal giudice del
merito per giungere alla deliberazione impugnata, sì da condurre a decisione differente (Sez.
6, n. 8700 del 21/01/2013 – dep. 21/02/2013, Leonardo e altri, Rv. 254584). Risulta pertanto
di chiara evidenza che se il motivo di ricorso si limita – come nel caso in esame- a riprodurre il
motivo d’appello, viene meno in radice l’unica funzione per la quale è previsto e ammesso (la
critica argomentata al provvedimento), posto che con siffatta mera riproduzione il
2

falsamente con dichiarazione sostitutiva di essere in possesso dei requisiti morali previsti

provvedimento impugnato, invece di essere destinatario di specifica critica argomentata, è di
fatto del tutto ignorato (tra le tante, Sez. 5 n. 25559 del 15 giugno 2012, Pierantoni; Sez. 6 n.
22445 del 8 maggio 2009, p.m. in proc. Candita, rv 244181; Sez. 5 n. 11933 del 27 gennaio
2005, Giagnorio, rv. 231708).
In conclusione, la riproduzione, totale o parziale, del motivo d’appello può essere presente nel
motivo di ricorso solo quando ciò serva a “documentare” il vizio enunciato e dedotto con
autonoma specifica ed esaustiva argomentazione, che si riferisca al provvedimento impugnato
con il ricorso e che si confronti con la sua integrale motivazione (si vedano, tra le più recenti,

34521 del 27/06/2013 – dep. 08/08/2013, Ninivaggi, Rv. 256133).
Nel caso in esame il ricorso, per quanto già accennato, si limita a ribadire le contestazioni
mosse in appello alla sentenza di primo grado, senza tener conto del tenore effettivo della
sentenza impugnata e della argomentazioni espresse per superare i rilievi; sentenza che
peraltro va apprezzata per la motivazione congrua ed improntata a criteri di logicità e
coerenza.
2.

Pertanto il ricorso deve essere dichiarato inammissibile; alla declaratoria di inammissibilità

segue, per legge, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di euro
1000 in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 5 febbraio 2015
siglie estensore

Il ,Presidente

Sez. 3, n. 44882 del 18/07/2014 – dep. 28/10/2014, Cariolo e altri, Rv. 260608; Sez. 6, n.

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