Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 25737 del 20/03/2015


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 25737 Anno 2015
Presidente: FIANDANESE FRANCO
Relatore: BELTRANI SERGIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
GEIROLA CARLO N. IL 03/05/1953
avverso la sentenza n. 3470/2011 CORTE APPELLO di BOLOGNA,
del 27/11/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 20/03/2015 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. SERGIO BELTRANI
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. 00
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che ha concluso per
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Udito, per la parte civile, l’Avv
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Data Udienza: 20/03/2015

RITENUTO IN FATTO
1. La Corte di appello di Bologna, con la sentenza indicata in epigrafe, ha parzialmente
confermato la sentenza con la quale, in data 12 maggio 2011, il Tribunale della stessa città
aveva dichiarato – per quanto in questa sede rileva – CARLO GEIROLA, in atti generalizzato,
colpevole di usura aggravata in danno di più soggetti, limitatamente ai fatti commessi in
danno di ALESSANDRO SOMMA ed ADRIANO PATELLI, in atti generalizzati, con esclusione
delle circostanze aggravanti di cui all’art. 644, comma 5, nn. 2 e 4, c.p.; per effetto di tale

limitata conferma delle iniziali affermazioni di responsabilità, la Corte di appello ha
rideterminato sia la pena che le statuizioni accessorie.
2. Contro tale provvedimento, l’imputato ha proposto ricorso per cassazione, deducendo i
motivi che saranno in seguito enunciati, nei limiti strettamente necessari per la motivazione,
come disposto dall’art. 173, comma 1, disp. att. c.p.p.

3. All’udienza pubblica 12 dicembre 2014 è stata disposta l’acquisizione di tutti i verbali di
dibattimento di primo grado, non trasmessi dalla cancelleria del giudice a quo.

3.1. All’odierna udienza pubblica, è stata verificata la regolarità degli avvisi di rito;
all’esito, le parti presenti hanno concluso come da epigrafe, e questa Corte Suprema, riunita
in camera di consiglio, ha deciso come da dispositivo in atti, pubblicato mediante lettura in
pubblica udienza.

4. Il ricorso è nel complesso fondato.

5.

Con il primo motivo il ricorrente lamenta violazione della legge processuale per

utilizzazione di prove che afferma essere state illegittimamente acquisite od assunte in
violazione di legge, ed inosservanza di norme previste a pena di nullità dagli artt. 177 ss. e
191 c.p.p.: sarebbero state illegittimamente affidate al perito valutazioni riguardanti
l’attendibilità delle dichiarazioni testimoniali acquisite al contrario di esclusiva pertinenza del
giudice.

5.1. Il motivo è generico e manifestamente infondato.
Nelle 13 pagine di argomentazioni che pone a sostegno della doglianza, il ricorrente non
dedica alcuna riflessione a risultanze specificamente inerenti agli unici due reati relativamente
ai quali ha conclusivamente riportato condanna, dilungandosi a ricordare presunte discrasit
riguardanti la vicenda relativa alla p.c. POSSATI, relativamente alla quale risulta essere già
stato assolto.

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D’altro canto, la Corte di appello (cfr. f. 27 ss. della motivazione della sentenza
impugnata) ha con evidenza valorizzato ai fini delle residue affermazioni di responsabilità le
dichiarazioni delle rispettive pp.00., motivatamente argomentandone l’attendibilità, con
considerazioni proprie, non certo mutuate da valutazioni di terzi.

5.2. Con motivi nuovi pervenuti in data 19 novembre 2014, il ricorrente reitera i già
sollevati dubbi sull’ambito dell’indagine devoluta al perito.

5.2.1. La doglianza, che ripropone quella di cui al primo motivo, non può essere accolta
per le medesime ragioni.

6. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta violazione della legge processuale per
asserita violazione dell’obbligo di pronuncia sulla richiesta di declaratoria di nullità della
sentenza di primo grado, con violazione degli artt. 192, comma 1, e 546, comma 1, c.p.p. e
vizio di motivazione: erroneamente la Corte di appello non avrebbe motivato sulle censure in
rito formulate con l’atto di appello, indebitamente estendendo l’ambito della parziale rinunzia
ai motivi di gravame operata dall’imputato.

6.1. Il motivo è sotto più profili generico e manifestamente infondato.

6.1.1. Questa Corte ha già chiarito che è inammissibile il motivo in cui si deduca la
violazione dell’art. 192 c.p.p., anche se in relazione agli artt. 125, 530, 533 e 546, comma 1,
lett. e), c.p.p., per censurare l’omessa od erronea valutazione di ogni elemento di prova
acquisito o acquisibile, in una prospettiva atomistica ed indipendentemente da un raffronto
con il complessivo quadro istruttorio, in quanto i limiti all’ammissibilità delle doglianze
connesse alla motivazione, fissati specificamente dall’art. 606, comma 1, lett. e), c.p.p., non
possono essere superati ricorrendo al motivo di cui all’art. 606, comma 1, lett. c), c.p.p.,
nella parte in cui consente di dolersi dell’inosservanza delle norme processuali stabilite a pena
di nullità (Cass. pen., Sez. VI, sentenza n. 45249 dell’8 novembre 2012, CED Cass. n.
254274).

6.1.2. Il motivo è ancora generico e non autosufficiente, in difetto di compiuto riferimento
a specifici capi o punti della sentenza impugnata censurati, ed alle relative argomentazioni
poste in ipotesi a sostegno delle censure.
Questa Corte (Sez. II, sentenza n. 9029 del 25 febbraio 2014, CED Cass. n. 258962) ha,
in proposito, già chiarito che è inammissibile il ricorso per cessazione i cui motivi si limitino a
lamentare l’omessa valutazione, da parte del giudice d’appello, delle censure articolate con il
relativo atto di gravame, rinviando genericamente ad esse, senza indicarne specificamente,
sia pure in modo sommario, il contenuto, al fine di consentire l’autonoma individuazione delle, ‘

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questioni che si assumono irrisolte e sulle quali si sollecita il sindacato di legittimità, dovendo
l’atto di ricorso essere autosufficiente, e cioè contenere la precisa prospettazione delle ragioni
di diritto e degli elementi di fatto da sottoporre a verifica.

6.1.3. Può aggiungersi, per completezza, che il ricorrente in concreto censura una
presunta mancata disamina delle doglianze inerenti all’attendibilità delle pp.00., al contrario
puntualmente operata dalla Corte di appello a f. 27 ss. della sentenza impugnata.

7. Con il terzo motivo, il ricorrente lamenta violazione di legge e vizio di motivazione,
lamentando che l’affermazione di responsabilità si limiterebbe a riprendere passi della
sentenza di primo grado, al più parafrasati, a loro volta ripresi dalla perizia della dr. RAGO;
nessun documento riscontrerebbe quanto dichiarato dalla p.o. PATELLI, peraltro incerta
sull’anno in cui contrasse il debito in relazione al quale si contesta essere stati corrisposti
interessi usurari (detta incertezza emerge con evidenza dal verbale dell’udienza 14 ottobre
2009, f. 86), ed in proposito, lo stesso perito – in riferimento alle diverse epoche evocate
dalla p.o. come quelle possibili – ha ricostruito tassi al 29% (penalmente rilevante) ovvero al
9,42% (consentito). Su ciò, la Corte di appello è rimasta del tutto silente. Non sarebbe stata,
in oltre, considerata l’assoluta esiguità degli interessi in ipotesi percepiti ultra legem dalla p.o.
SOMMA, ammontanti nel complesso ad euro 119,58.

7.1. Con il quarto motivo il ricorrente lamenta violazione dell’art. 644 c.p. e vizio di
motivazione quanto agli elementi costitutivi del reato di usura, asseritamente insussistenti.

7.2. Con motivi nuovi pervenuti in data 19 novembre 2014, il ricorrente ribadisce che, alla
stregua delle risultanze conclusivamente valorizzate, gli interessi

ultra legem

in ipotesi

percepiti erano molto esigui.

7.3. I motivi, che possono essere esaminati congiuntamente, sono fondati.

7.3.1. Per quanto riguarda l’usura ipotizzata in danno della p.o. PATELLI, pur dovendo
ribadirsi quanto già premesso in ordine alla (non censurabile in questa sede) valutazione di
attendibilità delle dichiarazioni della p.o. in relazione all’an della vicenda, deve, peraltro,
rilevarsi, in ordine alla collocazione temporale di essa, che l’esame dell’indicato verbale
dibattimentale (senz’altro consentito ove si deduca, come nella specie, un travisamento della
prova) conferma l’assoluta incertezza emersa dalle dichiarazioni della p.o. quanto alla precisa
epoca di contrazione del debito nei confronti dell’imputato (f. 86 in fine:

«2005, 2006 non

mi ricordo perfettamente però»; f. 87; «Guardi, mi creda non lo ricorso, non mi ricordo se
è 2005, 2006 cioè non … per me è più 2006 che 2005»). Come ricordato dal ricorrente, lo
stesso perito, in relazione alle ipotesi alternative emergenti dalla deposizione, ha operato un

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doppio calcolo, giungendo, quanto alla possibile rilevanza penale della condotta, a risultati di
segno contrario.
Al relativo accertamento di fatto, assolutamente decisivo onde legittimare la conclusiva
affermazione di responsabilità, la Corte di appello (f. 27 s.), non ha dedicato cenno alcuno,
avendo apoditticamente ritenuto di poter collocare con certezza (pur a fronte dei non
menzionati dubbi emersi in sede di esame dibattimentale della p.o.) l’erogazione del prestito

7.3.2. Per quanto riguarda l’usura ipotizzata in danno della p.o. SOMMA, è stato
conclusivamente accertato che l’imputato avrebbe indebitamente percepito la somma di euro
119,58 (f. 30 della sentenza impugnata).
Ma la sua estrema esiguità non può non imporre una penetrante disamina (del tutto
assente nella sentenza impugnata) sulla consapevolezza e volontà dell’usurarietà degli
interessi percepiti, tenuto anche conto dell’evidente ed estremo ridimensionamento delle
iniziali ipotesi di accusa.

7.3.3. La sentenza impugnata va, pertanto, annullata con rinvio ad altra sezione della
Corte di appello di Bologna per nuovo giudizio, che andrà condotto conformandosi a quanto
affermato nei §§ 7.3.1. e seguente.

P.Q.M.
annulla la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Bologna
per nuovo giudizio.
Così deciso in Roma, udienza pubblica 20 marzo 2015

Il Cs ponente estensore

Il Presidente

alla data più sfavorevole per l’imputato.

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