Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 2569 del 29/11/2012


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 2569 Anno 2013
Presidente: BRUSCO CARLO GIUSEPPE
Relatore: DELL’UTRI MARCO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
1) MICHELINI CLAUDIO N. IL 19/02/1943
avverso la sentenza n. 3374/2009 CORTE APPELLO di TORINO, del
20/04/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 29/11/2012 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. MARCO DELL’UTRI
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. E aoh…”1-10 V -fc.–rtApt
che ha concluso per ,
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Data Udienza: 29/11/2012

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Ritenuto in fatto
– Con sentenza resa in data 20.4.2012, la Corte d’appello di
Torino ha parzialmente riformato la sentenza del Tribunale della
stessa città, sezione distaccata di Moncalieri, del 17.7.2008, con la
quale Claudio Michelini è stato riconosciuto colpevole del reato di cui
all’art. 590, comma 3, c.p. in relazione all’art. 583, comma 1 n. 2, c.p.,
per aver cagionato, nella sua qualità di datore di lavoro e amministratore unico della società Michelini Uno s.r.1., con sede in Torino, corso
Tassoni n. 12, presso l’unità produttiva corrente in Vinovo, Via Nino
Bit° n. 32, a Nicola Giordano, dipendente della sopraindicata società
con contratto di lavoro a progetto, lesioni personali gravi – segnatamente “amputazione falange distale primo dito della mano sinistra” -,
in conseguenza delle quali tale soggetto riportava un’incapacità di attendere alle proprie ordinarie occupazioni per un tempo superiore a
40 giorni, e ciò per colpa consistita in imprudenza, negligenza, imperizia, violatone delle norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro, e segnatamente degli artt. 2087 c.c., 4, collima 2, e 35 del dagsl.
n. 626/1994, in quanto:
a) non valutava i rischi legati alla realizzazione, costruzione, messa in
funtone, montaggio e smontaggio, manutenzione e riparazione, regolatone e registratone delle macchine ideate e progettate nello stabilimento, per la messa in produzione di particolari metallici, per
conto terzi su commessa, nonché non analizzava i pericoli – possibilità di lesione o danno alla persona – legati all’utilizzo delle attrezzature
di lavoro e delle macchine in relazione alle lavorazioni eseguite e il
conseguente programma ritenuto opportuno per garantire il miglioramento nel tempo dei livelli di sicurezza;
b) ometteva di attuare misure tecniche atte a ridurre al minimo i rischi connessi alle fasi di lavorazione relative alla realizzazione, costrudone, messa a punto e registrazione delle macchine, ideate e progettate nello stabilimento della ditta, in quanto veniva rilevata l’assenza di procedure legate alla realizzazione, messa a punto e registratone delle macchine per piegatura “Century” dei profili metallici
componenti il paraurti posteriore della “Grande Punto”.
In presenza di tali presupposti, mentre il citato lavoratore, Nicola Giordano, era intento a regolare un “riferimento” per la piegatura della lamiera con le mani all’interno degli organi di movimento del
macchinario, un collega avviava la macchina che, in automatico, metteva in moto tutte le sue parti, ivi compresa la zona in cui stava operando il Giordano, e le lamine del “riferimento” (in cui il Giordano
aveva inserito le mani in quel momento) gli colpivano il pollice, procurandogli le lesioni sopraindicate; con l’aggravante che dal fatto il
soggetto riportava l’indebolimento permanente di un organo (interessante la funzione prensile), un’incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni per un tempo superiore a 40 giorni e con l’ulteriore
aggravante del fatto commesso in violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro.

i.

Fatto commesso in Vinovo,1’8.6.2005.
Con la sentenza di primo grado, il Tribunale ha inflitto all’imputato la pena di curo 1.000,00 di multa (pena sospesa), oltre alla
condanna al pagamento delle spese processuali e al risarcimento dei
danni in favore della parte civile, nei cui confronti ha liquidato la
somma di euro 3.000,00 a titolo di provvisionale.
In sede di gravame, la Corte d’appello ha rideterminato la pena, irrogando al Michelini la sanzione della multa nella minor misura
di euro 200,00, confermando nel resto la sentenza impugnata.
2. – Avverso la sentenza d’appello, ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell’imputato, affidato a un unico articolato motivo di doglianza, con il quale lo stesso ricorrente ha denunciato la nullità della sentenza, ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 606, comma
lett. b) ed e), c.p.p., per erronea applicazione degli artt. 590 c.p., in
relazione agli axtt. 2087 c.c. e 4, comma 2, e 35, comma 2, d. lgsl. n.
626/94, e 43, comma i alinea 3, c.p., nonché per mancanza e illogicità della motivazione, risultante dal testo della sentenza impugnata.
In particolare, si duole il ricorrente della mancata individuazione, da parte del giudice d’appello, della norma di diligenza oggetto
della supposta violazione ascritta all’imputato, essendosi il giudicante
pedissequamente attenuto all’astratto tenore del capo d’imputazione,
senza procedere alla concretizzazione della regola di comportamento
contestata al Michelini.
Nel caso di specie, ad avviso del ricorrente, gli specifici rischi
connessi all’esecuzione della lavorazione in esame – non fronteggiabili con dispositivi di sicurezza automatici – erano stati adeguatamente
presi in conto e ricondotti entro la soglia del rischio consentito, mediante la scelta corretta del personale esecutivo, la perfetta visibilità
dal pulpito della zona di lavorazione, l’assoluta linearità del compito
spettante al manovratore della macchina e le istruzioni verbali più
volte fornite dal datore di lavoro e dal responsabile della produzione
al fine di raccomandare a ciascun lavoratore il dovere di agire con la
massima avvertenza e prudenza.
Ciò premesso, essendo mancata la violazione di alcuna regola
di diligenza da parte dell’imputato, l’evento lesivo ascritto alla responsabilità del Michelini doveva viceversa ritenersi conseguenza
della condotta assolutamente anormale seguita dal collega del lavoratore infortunato, responsabile della specifica fase lavorativa in esame,
il quale si era sottratto all’adempimento della regola precauzionale
allo stesso imposta, di azionare la macchina dallo stesso governata
soltanto dopo che il collega si fosse allontanato dal c.d. ‘mascherone’;
condotta, che nessuna norma di diligenza, in ipotesi esigibile dall’imputato, avrebbe potuto in concreto scongiurare.

Considerato in diritto
3. – Il ricorso è infondato.

3

Diversamente da quanto criticamente esposto nei motivi
d’impugnazione illustrati nell’odierno ricorso, occorre evidenziare
come il giudice d’appello abbia espressamente rilevato come nel documento relativo alla valutatone dei rischi connessi all’azionamento
e arresto incontrollato e/o accidentale della piegatrice “Century”, non
si sia tenuto nel debito conto della circostanza che la fase della messa
a punto della macchina doveva essere effettuata da una squadra di
almeno due operai, con la conseguente creazione di un doppio fattore
di aumento del rischio, costituito, da un lato, dalla circostanza che il
prototipo non poteva essere ancora munito di tutti i dispositivi di sicurezza propri del macchinario finito; e, dall’altro, che gli addetti al
dispositivo sarebbero dovuto intervenire sul macchinario in coppia,
ma con compiti distinti.
Muovendo in particolare da questo specifico secondo fattore di
rischio, la corte territoriale ha sottolineato come si profilasse,
nell’occasione, l’insorgenza di un complesso di pericoli caratteristici,
segnatamente legati ai sempre possibili difetti di coordinamento o di
informazione, da errori di comprensione o dovuti alla mancanza di
una visione d’insieme del lavoro da parte dei membri della squadra,
necessariamente destinata a lavorare in équipe.
Proprio a tale riguardo, la corte di merito ha evidenziato l’assoluta inefficacia del modulo operativo nella specie prescritto e seguito,
essendosi questo esaurito nella sola predisposizione di un pulpito posto a distanza dalla macchina piegatrice (destinato al posizionamento
del lavoratore addetto alla manovra dei comandi di azionamento del
macchinario), là dove è propriamente mancata l’adozione di precise
misure di sicurezza, specificamente dirette a impedire che i menzionati difetti di coordinamento o di informazione, o che gli errori di
comprensione o dovuti alla mancanza di una visione d’insieme del lavoro da parte dei componenti dell’équipe, determinassero l’avvio del
macchinario proprio durante le operazioni di messa a punto, che richiedevano necessariamente l’inserimento delle mani della zona pericolosa.
Sulla scorta di tali premesse, contrariamente a quanto dedotto
in questa sede dal ricorrente, la corte territoriale ha specificamente
indicato, in termini positivi, come l’infortunio in esame avrebbe potuto essere evitato, qualora il datore di lavoro, conscio dei rischi prevedibili r ante connessi alla fase di messa a punto del prototipo, avesse
dato precise disposizioni agli operai in ordine alle procedure di sicure= da adottare, si da impedire l’avvio del macchinario da parte
dell’addetto al pulpito di comando, in assenza di un chiaro segnale di
consenso da parte del collega, il quale era obbligato a operare con le
mani all’interno della zona pericolosa, cui doveva necessariamente
accedere per regolare il riferimento e/o a rimanere nei pressi della
stessa durante le prove di curvatura per reggere il pezzo; operazione,
quest’ultima, nella prassi eseguita con le mani anziché con le pinze,
che avrebbero garantito una maggiore distanza dalla zona pericolosa.

4. — Al riscontro dell’infondatezza dei motivi di doglianza
avanzati dall’imputato segue il rigetto del ricorso e la condanna del
ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Per questi motivi
la Corte Suprema di Cassazione, rigetta il ricorso e condanna il
ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 29.11.2012.

Deve pertanto concludersi come il giudice d’appello abbia correttamente assolto al compito infondatamente censurato in questa
sede dal ricorrente, indicando in modo specifico l’ambito sprovvisto
di adeguata regolamentazione cautelare, propriamente individuandolo nel quadro delle misure di sicurezza dirette a impedire che i difetti
di coordinamento o d’informazione, gli errori di comprensione o
quelli dovuti alla mancanza di una visione d’insieme del lavoro da
parte dei componenti dell’équipe, determinassero l’avvio del macchinario proprio durante le operazioni di messa a punto, sottolineando
altresì come lo stesso imputato fosse perfettamente consapevole dei
rischi connessi alla fase della messa a punto, senza che ciò lo spingesse all’adozione di misure cautelati ulteriori e diverse dalle generiche
raccomandazioni alla prudenza inammissibilmente impartite per via
orale; raccomandazioni per loro natura inidonee a consentire di ritenere assolti gli obblighi connessi alla posizione di garanzia rivestita
dall’imputato e funzionali alla tutela dell’incolumità dei lavoratori
nell’ottica della prevenzione degli infortuni sul lavoro.
Lo sviluppo del ragionamento così seguito dal giudice d’appello, in sé perfettamente lineare e pienamente congruo sul piano logico-giuridico, deve ritenersi pertanto tale da sfuggire alle censure allo
stesso criticamente ascritte dal ricorrente, avendo la corte territoriale
adeguatamente individuato il contenuto concreto delle prescrizioni
cautelati ragionevolmente esigibili dall’imputato (e da questo totalmente disattese), e congruamente evidenziato la concreta ed effettiva
funzionalità di dette prescrizioni rispetto al prevedibile scongiuramento dell’evento infortunistico nel caso di specie successivamente
verificatosi.

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