Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 25671 del 17/03/2015


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 25671 Anno 2015
Presidente: CAVALLO ALDO
Relatore: ROCCHI GIACOMO

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
TAGLIALATELA EMANUELA N. IL 20/12/1986
avverso l’ordinanza n. 111/2014 GIP TRIBUNALE di NAPOLI, del
18/06/2014
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. GIACOMO ROCCHI;

Data Udienza: 17/03/2015

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 18/6/2014, il Giudice per le indagini preliminari del
Tribunale di Napoli, provvedendo alla rideterminazione della pena inflitta a
Taglialatela Emanuela con sentenza dello stesso Giudice del 28/9/2010,
irrevocabile 18/6/2012, per il delitto di cui all’art. 73 d.P.R. 309 del 1990 in
conseguenza della sentenza della Corte Costituzionale n. 32 del 2014,
determinava la nuova pena in anni tre e mesi quattro di reclusione ed euro

La condotta aveva per oggetto la detenzione per la vendita di tre panetti e
100 stecche di hashish, per un peso complessivo di grammi 512 pari a circa
1201 dosi medie singole.
Il Giudice affermava la necessità di rideterminare la pena, sulla base
dell’orientamento delle Sezioni Unite di questa Corte; riteneva che essa non
potesse essere determinata nel minimo, anche se – in sede di cognizione – la
pena base era stata individuata in misura prossima al minimo edittale, atteso
che, nel vigore della disciplina poi dichiarata incostituzionale, che aveva
parificato il trattamento sanzionatorio di tutte le sostanze stupefacenti, la
necessità di adeguare la pena al disvalore del fatto aveva imposto di determinare
le pene per le cd. droghe leggere in misura prossima al minimo edittale; tale
necessità non sussisteva più e l’apprezzabile gravità del fatto nonché la
personalità negativa della condannata portavano il giudice a quantificare la pena
come sopra riportato.

2. Ricorre per cassazione il difensore di Taglialatela Emanuela, deducendo
nullità dell’ordinanza per violazione dell’art. 125 c. 3, cod. proc. pen..
Nel giudizio di cognizione, la determinazione della pena in misura vicina al
minimo edittale non era stata affatto motivata con riferimento alla natura delle
sostanze stupefacenti, ma in relazione al quantitativo della sostanza detenuta e
dal ruolo assunto dall’imputata. Si trattava di statuizioni intangibili per il giudice
dell’esecuzione che, invece, le aveva violate.
Il Giudice avrebbe dovuto rideterminare la pena base in anni quattro di
reclusione e procedere alla successiva riduzione per il rito. Il ricorrente chiede,
pertanto, che questa Corte ridetermini la pena nella misura di anni due e mesi
otto di reclusione.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile per manifesta infondatezza dei motivi.
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10.000 di multa, previa riduzione di un terzo della pena base.

La sentenza della Corte Costituzionale n. 32 del 2014 ha dichiarato
illegittima la novellazione all’originario testo dell’art. 73 del d.P.R. n. 309 del
1990 apportata con d. I. n. 272 del 30 dicembre 2005 (artt. 4-bis e 4-vicies ter)
convertito in legge n. 49 del 21 febbraio 2006.
L’effetto della pronunzia di incostituzionalità è stato quello di «riespandere»
la previgente disciplina incriminatrice e le correlate diverse sanzioni per i fatti
commessi dal 28 febbraio 2006 al 6 marzo 2014. Pertanto, se il soggetto
destinatario della esecuzione è stato condannato per fatto rientrante in detto

Sezioni Unite Gatto, trattandosi di pronuncia che riguarda la legittimità del
trattamento sanzionatorio vigente all’epoca della decisione del giudice della
cognizione. In particolare, risulta in ogni caso “illegale” il trattamento
sanzionatorio delle condotte illecite concernenti le droghe cd. ‘leggere’ (ossia le
sostanze rientranti nelle tabelle II e IV allegate al d.P.R. del 1990), atteso che, in
relazione a tali sostanze, l’intervento normativo dichiarato illegittimo aveva
comportato (a differenza di quanto previsto per le altre sostanze) un massiccio
incremento dei limiti edittali della sanzione detentiva: il mimino edittale della
condotta ordinaria era stato innalzato da 2 a 6 anni di reclusione, quello della
condotta attenuata da sei mesi a un anno di reclusione; il massimo edittale era
stato innalzato da 6 a 20 anni di reclusione nell’ipotesi ordinaria e da 4 a 6 anni
di reclusione per l’ipotesi attenuata.

Ora, posto che l’operazione di commisurazione della pena di cui agli artt.
132 e 133 cod. pen. è frutto di una scelta che il giudice della cognizione compie,
con discrezionalità guidata, in un ambito legislativamente definito tra il minimo e
il massimo edittale, il profondo mutamento di «cornice» derivante dalla
declaratoria di incostituzionalità rende necessaria – in ipotesi di condanna per
‘droghe leggere’ – una rivalutazione piena di tale aspetto in sede esecutiva, che il
giudice dell’esecuzione deve compiere tenendo conto del «fatto», così come
accertato da quello della cognizione, ma non anche dei termini matematici
espressi da tale giudice – in rapporto alla scelta tra minimo e massimo edittale trattandosi di scelte operate in un quadro normativo alterato dal criterio
legislativo (legge del 2006) teso a «parificare» il disvalore di condotte tra loro
diverse (in rapporto alla tipologia di sostanze oggetto delle condotte).
In altre parole, se da un lato risulta doverosa ed obbligatoria, alla luce di
quanto sopra, la rideterminazione in sede esecutiva della pena inflitta in rapporto
ad una squilibrata (e costituzionalmente illegittima) cornice edittale, dall’altro
non può escludersi che – con valutazione in concreto e rispettosa del «fatto
accertato» – il giudice dell’esecuzione possa rivalutarne la valenza in rapporto ai

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intervallo temporale, sono applicabili i principi affermati dalla sentenza delle

«nuovi» e profondamente diversi parametri edittali, ovviamente dando conto (ex
artt. 132 e 133 cod. pen.) delle modalità di esercizio del potere comrnisurativo e
tenendo conto dei principi generali del sistema sanzionatorio.

Alla luce di questi principi, la pretesa della ricorrente di rideterminazione
della pena inflitta con un calcolo meramente aritmetico appare palesemente
infondata, mentre il Giudice dell’esecuzione ha fornito adeguata motivazione dei
criteri addottati per rideterminare la pena base (gravità del fatto e personalità

2. Tenuto conto della peculiarità e novità della questione, si ritiene non
opportuno condannare la ricorrente al pagamento di una somma alla Cassa delle
Ammende, non emergendo profili di colpa nella presentazione del ricorso.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle
spese processuali.

Così deciso il 17 marzo 2015

Il Consigliere estensore

negativa della condannata).

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