Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 25670 del 17/03/2015


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 25670 Anno 2015
Presidente: CAVALLO ALDO
Relatore: ROCCHI GIACOMO

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
TAGLIATELA COSTANTINO N. IL 12/04/1978
avverso l’ordinanza n. 366/2014 GIP TRIBUNALE di NAPOLI, del
18/06/2014
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. GIACOMO ROCCHI;

Data Udienza: 17/03/2015

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 18/6/2014, il Giudice per le indagini preliminari del
Tribunale di Napoli, provvedendo alla rideterminazione della pena inflitta a
Taglialatela Costantino con sentenza dello stesso Giudice del 28/9/2010,
irrevocabile 1’8/6/2012, per il delitto di cui all’art. 73 d.P.R. 309 del 1990 in
conseguenza della sentenza della Corte Costituzionale n. 32 del 2014,
quantificava la nuova pena in anni tre di reclusione ed euro 12.000 di multa,

La condotta aveva ad oggetto la detenzione e la vendita di quattro stecche
di hashish, pari a circa 20 dosi medie singole nonché di una bustina della stessa
sostanza per una quantità pari a 5,5 dosi medie singole.
Il Giudice affermava la necessità di rideterminare la pena, sulla base
dell’orientamento delle Sezioni Unite di questa Corte; riteneva che essa non
potesse essere determinata nel minimo, anche se – in sede di cognizione – la
pena base era stata individuata in misura prossima al minimo edittale, atteso
che, nel vigore della disciplina poi dichiarata incostituzionale, che aveva
parificato il trattamento sanzionatorio di tutte le sostanze stupefacenti, la
necessità di adeguare la pena al disvalore del fatto aveva imposto di determinare
le pene per le cd. droghe leggere in misura prossima al minimo edittale; tale
necessità non sussisteva più e l’apprezzabile gravità del fatto nonché la
personalità negativa del condannato portavano il giudice a quantificare la pena
come sopra riportato.

2. Ricorre per cassazione il difensore di Taglialatela Costantino, deducendo
nullità dell’ordinanza per violazione dell’art. 125 c. 3, cod. proc. pen..
Nel giudizio di cognizione, la determinazione della pena in misura vicina al
minimo edittale non era stata affatto motivata con riferimento alla natura delle
sostanze stupefacenti, ma in relazione al quantitativo della sostanza detenuta e
al ruolo assunto dall’imputato. Si trattava di statuizioni intangibili per il giudice
dell’esecuzione che, invece, le aveva violate.
Il Giudice avrebbe dovuto rideterminare la pena base in anni due e mesi sei
di reclusione e procedere alla successiva riduzione per il rito. Il ricorrente chiede,
pertanto, che questa Corte ridetermini la pena nella misura di anni uno e mesi
otto di reclusione.
In conseguenza di tale rideterminazione, avrebbe dovuto essere ordinata la
sospensione dell’esecuzione: non avendo il P.M. proceduto ai sensi dell’art. 656,
comma 5, cod. proc. pen., il ricorrente chiede l’annullamento dell’ordinanza
impugnata e la scarcerazione immediata.
2

previa riduzione di un terzo della pena base.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile per manifesta infondatezza dei motivi.

La sentenza della Corte Costituzionale n. 32 del 2014 ha dichiarato
illegittima la novellazione all’originario testo dell’art. 73 del d.P.R. n. 309 del
1990 apportata con d. I. n. 272 del 30 dicembre 2005 (artt. 4-bis e 4-vicies ter)
convertito in legge n. 49 del 21 febbraio 2006.

la previgente disciplina incriminatrice e le correlate diverse sanzioni per i fatti
commessi dal 28 febbraio 2006 al 6 marzo 2014. Pertanto, se il soggetto
destinatario della esecuzione è stato condannato per fatto rientrante in detto
intervallo temporale, sono applicabili i principi affermati dalla sentenza delle
Sezioni Unite Gatto, trattandosi di pronuncia che riguarda la legittimità del
trattamento sanzionatorio vigente all’epoca della decisione del giudice della
cognizione. In particolare, risulta in ogni caso “illegale” il trattamento
sanzionatorio delle condotte illecite concernenti le droghe cd. ‘leggere’ (ossia le
sostanze rientranti nelle tabelle II e IV allegate al d.P.R. del 1990), atteso che, in
relazione a tali sostanze, l’intervento normativo dichiarato illegittimo aveva
comportato un massiccio incremento dei limiti edittali della sanzione detentiva: il
mimino edittale della condotta ordinaria era stato innalzato da 2 a 6 anni di
reclusione, quello della condotta attenuata da sei mesi a un anno di reclusione; il
massimo edittale era stato innalzato da 6 a 20 anni di reclusione nell’ipotesi
ordinaria e da 4 a 6 anni di reclusione per l’ipotesi attenuata.

Ora, posto che l’operazione di commisurazione della pena di cui agli artt.
132 e 133 cod. pen. è frutto di una scelta che il giudice della cognizione compie,
con discrezionalità guidata, in un ambito legislativamente definito tra il minimo e
il massimo edittale, il profondo mutamento di «cornice» derivante dalla
declaratoria di incostituzionalità rende necessaria – in ipotesi di condanna per
‘droghe leggere’ – una rivalutazione piena di tale aspetto in sede esecutiva, che il
giudice dell’esecuzione deve compiere tenendo conto del «fatto», così come
accertato da quello della cognizione, ma non anche dei termini matematici
espressi da tale giudice – in rapporto alla scelta tra minimo e massimo edittale trattandosi di scelte operate in un quadro normativo alterato dal criterio
legislativo (legge del 2006) teso a «parificare» il disvalore di condotte tra loro
diverse (in rapporto alla tipologia di sostanze oggetto delle condotte).
In altre parole, che se da un lato risulta doverosa ed obbligatoria, alla luce
di quanto sopra, la rideterminazione in sede esecutiva della pena inflitta in

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L’effetto della pronunzia di incostituzionalità è stato quello di «riespandere»

rapporto ad una squilibrata (e costituzionalmente illegittima) cornice edittale,
dall’altro non può escludersi che – con valutazione in concreto e rispettosa del
«fatto accertato» – il giudice dell’esecuzione possa rivalutarne la valenza in
rapporto ai «nuovi» e profondamente diversi parametri edittali, ovviamente
dando conto (ex artt. 132 e 133 cod. pen.) delle modalità di esercizio del potere
comnnisurativo e tenendo conto dei principi generali del sistema sanzionatorio.

Va precisato, inoltre che la decisione emessa dal giudice della esecuzione, in

sanzionatorio, assume una valenza sostitutiva di un titolo esecutivo (la
precedente decisione irrevocabile) solo in tale parte non più eseguibile, che
andrà pertanto integrato, in punto di entità della pena, dalla decisione emessa in
sede esecutiva (peraltro anch’essa ricorribile per cassazione ai sensi dell’art. 666
comma 6 cod. proc. pen.) secondo uno schema procedimentale non estraneo al
procedimento di esecuzione (si pensi a quanto previsto e regolamentato dall’art.
671 cod. proc. pen., norma che – a diverso fine – consente la modifica in
esecuzione dell’entità del trattamento sanzionatorio correlato a decisioni
parimenti irrevocabili circa ran della responsabilità).
Non si tratta, pertanto, di una revoca del precedente titolo (non versandosi
in ipotesi applicativa dell’art. 673 cod. proc. pen.) ma di una sua parziale
rinnovazione e integrazione per quanto concerne l’entità della pena, con ogni
conseguenza di legge.

Alla luce di questi principi, la pretesa del ricorrente di rideterminare la pena
inflitta con un calcolo meramente aritmetico appare palesemente infondata,
mentre il Giudice dell’esecuzione ha fornito adeguata motivazione dei criteri
addottati per rideterminare la pena base (gravità del fatto e personalità negativa
del condannato); altrettanto infondata è la richiesta di scarcerazione in
conseguenza della mancata adozione del provvedimento di t ospensione
dell’esecuzione da parte del P.M. ai sensi dell’art. 656, comma 5, cod. proc. pen.,
atteso che quella fase è, ormai, definitivamente conclusa e il provvedimento
adottato dal giudice dell’esecuzione incide esclusivamente sulla misura della
pena ancora da espiare.

2. Tenuto conto della peculiarità e novità della questione, si ritiene non
opportuno condannare il ricorrente al pagamento di una somma alla Cassa delle
Ammende, non emergendo profili di colpa nella presentazione del ricorso.

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ipotesi di accoglimento dell’istanza e rideterminazione del trattamento

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali.

Così deciso il 17 marzo 2015

Il Presidente

Il Consigliere estensore

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