Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 25664 del 17/03/2015


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 25664 Anno 2015
Presidente: CAVALLO ALDO
Relatore: ROCCHI GIACOMO

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
FRANZE’ DOMENICO N. IL 04/04/1962
avverso l’ordinanza n. 356/2013 CORTE APPELLO di CATANZARO,
del 07/03/2014
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. GIACOMO ROCCHI;

Data Udienza: 17/03/2015

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 7/3/2014, la Corte di appello di Catanzaro, in funzione
di giudice dell’esecuzione, rigettava l’istanza di Franzè Domenico di
riconoscimento della continuazione tra i reati di cui all’art. 73 d.P.R. 309 del
1990 commesso nel dicembre 2006 e quello di cui agli artt. 1, 2 e 4 legge 895
del 1967 commesso il 30/12/2006, oggetto di due diverse sentenze di condanna.
Secondo la Corte, il dato della vicinanza cronologica tra i reati non era

illecite apparivano essere conseguenza di autonome ed estemporanee decisioni,
non ravvisandosi una originaria ideazione e deliberazione di entrambe le
violazioni nei loro elementi essenziali. La detenzione dell’arma era sganciata
dall’acquisto di stupefacenti da trafficanti albanesi, con le quali le trattative erano
iniziate da tempo.

2. Ricorre per cassazione il difensore di Franzè Domenico, deducendo
violazione degli artt. 81 cpv. cod. pen. e 671 cod. proc. pen..
A carico del richiedente non sussiste l’onere di provare la continuazione tra i
reati, ma solo quello di allegazione. L’ordinanza ammetteva esplicitamente che
Falbo Domenico, al quale Franzè aveva consegnato la pistola oggetto della
condanna, era coinvolto anche nell’acquisto di sostanze stupefacenti.
Per il riconoscimento della continuazione, la programmazione iniziale può
anche non essere dettagliata, ma solo di massima. Nel caso di specie, Franzè
aveva posto in essere i reati nel medesimo contesto temporale e di luogo e con
gli stessi soggetti, indice evidente di un unico atteggiamento sistematico che non
può non identificarsi con un unico disegno criminoso: esisteva, infatti, un unico
programma delinquenziale di base, di cui le singole condotte delittuose
costituivano semplice attuazione.
In un secondo motivo, il ricorrente deduce vizio della motivazione del
provvedimento, consistente in generiche proposizioni e inidonea a fondare il
provvedimento, così da trasformarsi in motivazione apparente.
Il ricorrente conclude per l’annullamento dell’ordinanza impugnata.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile in quanto basato su motivi manifestamente
infondati.
Questa Corte ha costantemente affermato che, in tema di reato continuato,
l’unicità del disegno criminoso presuppone l’anticipata ed unitaria ideazione di
2

sufficiente per ritenere sussistente il vincolo della continuazione: le due condotte

più violazioni della legge penale, già presenti nella mente del reo nella loro
specificità, e la prova di tale congiunta previsione deve essere ricavata, di
regola, da indici esteriori che siano significativi, alla luce dell’esperienza, del dato
progettuale sottostante alle condotte poste in essere.

Il ricorrente addebita alla Corte territoriale di avere adottato una
motivazione apparente ma, in realtà, pretende di sostituire il “medesimo disegno
criminoso” di cui all’art. 81, comma 2, cod. pen., con un “atteggiamento

delinquenziale di base”.
Quindi è il ricorso a basarsi su argomentazioni sostanzialmente apparenti,
atteso che – oltre a sottolineare ciò che il Giudice già aveva evidenziato (vale a
dire la vicinanza cronologica dei reati, la vicinanza dei luoghi e il coinvolgimento
nei reati di Falbo), ritenendolo insufficiente ai fini del riconoscimento della
continuazione – non chiarisce affatto se e quando era stata adottata una
decisione iniziale e contestuale di Franzè di acquistare droga da trafficanti
albanesi e di detenere una pistola: di fronte al Giudice che non rinviene alcun
segno di tale deliberazione, il ricorrente non riesce ad indicare alcun elemento
concreto.

2. Alla declaratoria di inammissibilità dell’impugnazione consegue ex lege, in
forza del disposto dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese del procedimento ed al versamento della somma, tale
ritenuta congrua, di euro 1.000 (mille) in favore delle Cassa delle Ammende, non
esulando profili di colpa nel ricorso (v. sentenza Corte Cost. n. 186 del 2000).

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e al versamento della somma di euro 1.000 alla Cassa delle
Ammende.

Così deciso il 17 marzo 2015

Il Consigliere estensore

sistematico” che dimostrerebbe implicitamente “un unico programma

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