Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 25663 del 17/03/2015


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 25663 Anno 2015
Presidente: CAVALLO ALDO
Relatore: ROCCHI GIACOMO

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
CLEMENTE VALERIO GASPARE N. IL 15/06/1968
avverso l’ordinanza n. 270/2014 TRIBUNALE di PALERMO, del
03/06/2014
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. GIACOMO ROCCHI;

Data Udienza: 17/03/2015

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 3/6/2014, il Tribunale di Palermo, in funzione di giudice
dell’esecuzione, rigettava l’istanza di Clemente Valerio Gaspare con cui si
chiedeva di rivalutare le sentenze oggetto del provvedimento di unificazione di
pene concorrenti emesso nei suoi confronti in quanto alcune di esse avrebbero
avuto ad oggetto reati nel frattempo estinti per prescrizione, mentre in altre la
pena sarebbe stata quantificata calcolando un aumento per la recidiva errato,

all’epoca della loro pronuncia.
Il Tribunale rilevava che, in sede di esecuzione, è preclusa ogni indagine
concernente vizi del giudizio di cognizione; l’istanza avrebbe dovuto, quindi,
essere dichiarata inammissibile e, comunque, doveva essere rigettata.

2. Ricorre per cassazione Clemente Valerio Gaspare, ribadendo di avere più
volte evidenziato l’errata applicazione della recidiva e la condanna subita per
reati prescritti e chiedendo che venga riparato l’errore giudiziario, previo
riconoscimento che egli aveva consegnato i titoli bancari alla stessa persona
offesa, che era stata risarcita.
In una successiva memoria, il ricorrente lamenta che non sia stata
riconosciuta la continuazione tra i reati per i quali è intervenuta condanna. Il
ricorrente sottolinea di avere commesso un unico reato; in un’ulteriore memoria
approfondisce gli elementi sulla base dei quali riconoscere la continuazione tra i
reati.
Il ricorrente ha fatto pervenire motivi nuovi con cui contesta la condanna
per ricettazione di assegni rubati, dallo stesso ricevuti in buona fede, come
dimostrava l’avvenuto risarcimento del danno, e lamenta l’eccessività della pena
irrogata, la mancata concessione delle attenuanti generiche e l’applicazione della
recidiva contestata.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile in quanto basato su motivi manifestamente
infondati e comunque generico.

Il giudice dell’esecuzione ha dato atto che erroneamente l’incidente di
esecuzione era stato inquadrato – come emergeva dal decreto di fissazione
dell’udienza in camera di consiglio – come relativo all’applicazione della
continuazione in sede esecutiva ex art. 671 cod. proc. pen., avendo, in realtà,

2

atteso che la riforma della recidiva del 2005 non era ancora entrata in vigore

l’istanza ad oggetto l’applicazione della recidiva da parte del giudice della
cognizione e la intervenuta condanna per reati prescritti: in effetti, il ricorso e le
memorie integrative dimostrano che, effettivamente, si tratta proprio delle due
questioni su cui verte l’incidente di esecuzione. Anche la diretta visione
dell’istanza con cui era stato promosso l’incidente di esecuzione dimostra che il
tema della continuazione (che era già stato valutato in un precedente
provvedimento) non era stato affatto toccato.

intervenuto preclude al giudice dell’esecuzione ogni indagine sui vizi intervenuti
in sede di cognizione, tra essi dovendosi comprendere sia la condanna per reati
già prescritti, sia la determinazione della pena che non si trasformi in pena
illegale.

Il ricorrente accenna in più passaggi anche alla questione della
continuazione tra i diversi reati per i quali è stato giudicato e, addirittura, alla
tematica del ne bis in idem: temi, come già anticipato, estranei al contenuto
dell’istanza proposta al giudice dell’esecuzione che, pertanto, non li ha affrontati.

2. Alla declaratoria di inammissibilità dell’impugnazione consegue ex lege, in
forza del disposto dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese del procedimento ed al versamento della somma, tale
ritenuta congrua, di euro 1.000 (mille) in favore delle Cassa delle Ammende, non
esulando profili di colpa nel ricorso (v. sentenza Corte Cost. n. 186 del 2000).

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e al versamento della somma di euro 1.000 alla Cassa delle
Ammende.

Così deciso il 17 marzo 2015

Il Consigliere estensore

Il Presidente

Ebbene, come costantemente insegnato da questa Corte, il giudicato

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