Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 25655 del 29/05/2013


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 25655 Anno 2013
Presidente: ROMIS VINCENZO
Relatore: PICCIALLI PATRIZIA

Data Udienza: 29/05/2013

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
STARON TOMASZ N. IL 03/08/1987
CASELLA MATTIA N. IL 19/06/1988
avverso la sentenza n. 4792/2012 CORTE APPELLO di ROMA, del
28/09/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 29/05/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. PATRIZIA PICCIALLI
Udito il Procuratore GRnerale in persona del Dott. V 0/L u2 -Lo
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Ritenuto in fatto

STARON Tomasz e CASELLA Mattia ricorrono avverso la sentenza di cui in epigrafe che,
confermando quella di primo grado, resa in esito a giudizio abbreviato, li ha riconosciuti
colpevoli del reato di cui all’articolo 73 del dpr n. 309 del 1990, commesso in concorso tra
loro: detenzione illecita di sostanza stupefacente del tipo marijuana, per un quantitativo in
grado di consentire il confezionamento di 184 dosi. Veniva riconosciuto il fatto di lieve entità
ex articolo 73, comma 5, del dpr n. 309 del 1990, ma solo al CASELLA venivano concesse le

pena per il coimputato per la recidiva].

La condanna veniva argomentata attraverso la valorizzazione delle dichiarazioni degli operanti
e dei verbali di arresto, perquisizione e sequestro: da tali elementi si desumeva la percezione
diretta della consegna della droga dallo STARON al CASELLA, il quale, accortosi della presenza
della polizia giudiziaria, cercava di disfarsene. Il quantitativo della droga, valutato alla luce
della deteriorabilità del principio attivo, denotava la destinazione dello stupefacente alla
cessione a terzi soggetti. Conforto di tale destinazione veniva trovato anche nel tentativo del
CASELLA di disfarsi della droga. Non rilevante secondo il giudicante la presenza in loco di una
terza persona non identificata, né l’esito negativo delle successive perquisizioni.

Con i ricorsi si contesta la ricostruzione operata dai giudici di merito.

Nell’interesse dello STARON si propone come più plausibile non la ravvisata consegna della
droga da questi al CASELLA, ma semmai la consegna da parte di quest’ultimo della sostanza
che poi lo STARON stava confezionando per uso personale all’interno della sua autovettura.
Nulla autorizzava a ritenere che la droga che il CASELLA aveva tentato di occultare l’avesse
ricevuta dallo STARON.

Inoltre, erroneamente i giudici avevano ravvisato la destinazione illecita attraverso la
valorizzazione del solo dato quantitativo, sul rilievo che la nuova normativa non fonda una
presunzione di destinazione illecita basata solo sul superamento dei limiti ponderali stabili nel
decreto ministeriale integrativo del disposto dell’articolo 73, comma 1 bis, lettera a), del dpr n.
309 del 1990. Al contrario, qui avrebbe dovuto considerarsi che lo STARON era consumatore
abituale di marijuana

e che infruttuoso era stato l’esito delle perquisizioni – personale e

domiciliare- nel corso delle quali non era stato rinvenuto alcun oggetto utilizzabile per il
confezionamento delle dosi.

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attenuanti generiche, con conseguente differente trattamento sanzionatorio [aumento della

Analogamente, con il primo motivo, anche il CASELLA contesta la decisione laddove questa
avrebbe considerato satisfattiva mente dimostrativo della destinazione illecita il quantitativo
della droga, in assenza di altri elementi indiziari e senza fare alcun riferimento al principio
attivo che si assume molto basso.
Non significativo poteva considerarsi il tentativo del CASELLA di disfarsi della droga, che ben
poteva giustificarsi con l’intenzione del CASELLA di non essere coinvolto.

Con il secondo motivo si lamenta la violazione dell’art. 110 c.p. sul rilievo della non

della droga che si assume ricevuta dallo STARON. Si assume altresì che non era stata
adeguatamente considerata la presenza sul posto di terza persona, non identificata, alla quale
ben poteva essere destinata la sostanza stupefacente.
Con il terzo motivo, strettamente connesso ai primi due, ci si duole del vizio di motivazione
laddove la sentenza non aveva esplicitato le ragioni in forza delle quali la sostanza
stupefacente, qualora fosse entrata nella sfera di detenzione del Casella, fosse destinata con
assoluta certezza allo spaccio. Si sottolinea sul punto, oltre all’esito negativo delle perquisizioni
personali e domiciliari, il mancato rilievo dato dal giudicante alla presenza della terza persona
non identificata e le perplessità suscitate dalle dichiarazioni degli operanti, i quali si erano
trovati nella oggettiva impossibilità, date le circostanze di tempo e di luogo, di assistere ai
passaggio della sostanza stupefacente dallo Staron al Casella.

Con il quarto motivo si deduce che il fatto avrebbe dovuto essere qualificato a titolo di
favoreggiamento, che peraltro avrebbe dovuto essere ritenuto non punibile

ex articolo 384

c.p., giacchè il tentativo di occultamento era ispirato all’esigenza di evitare il rischio di vedersi
applicate le sanzioni amministrative di cui all’articolo 75 del dpr n. 309 del 1990.

Considerato in diritto

I ricorsi sono manifestamente infondati, a fronte di una doppia conforme pronuncia di
responsabilità, caratterizzata da adeguata valutazione del compendio probatorio e rispettosa
dei principi applicabili nella subiecta materia .

I ricorsi a ben vedere propongono una diversa lettura del compendio probatorio, tra l’altro
diametralmente opposta quanto alla riconducibilità della droga.

Il fatto nella sua materialità risulta ricostruito e spiegato in termini coerenti, attraverso la
disamina delle emergenze fornite dagli atti di p.g.

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ravvisabilità del concorso nella detenzione, per non avere il CASELLA acquisito la disponibilità

Ricostruite sono le condotte dei due imputati e , in questa prospettiva, anche il dato della
presenza di terza persona sul luogo dei fatti è stata valutata e ritenuta non significativa: né
qui, nei ricorsi, si forniscono elementi tali da doverne desumere un vulnus alla tenuta logica
della decisione di condanna.

Non può sostenersi che la Corte di appello abbia utilizzato un parametro valutativo erroneo per
ravvisare la destinazione illecita della droga.

stupefacenti, il superamento dei limiti massimi indicati nel decreto ministeriale cui fa
riferimento l’articolo 73, comma i bis, lettera a), del dpr 9 ottobre 1990 n. 309 non
costituisce una presunzione assoluta in ordine alla condotta di “spaccio” del detentore, ma
occorre valutare anche altre circostanze che siano indicative di un uso non esclusivamente
personale dello stupefacente detenuto, giacchè tale superamento non vale ad invertire l’onere
della prova – che è a carico dell’accusa- in ordine alla destinazione della sostanza stupefacente
ad un uso non esclusivamente personale: in questa prospettiva, pur a fronte del superamento
dei limiti tabellari, il giudice deve valutare globalmente, sulla base degli ulteriori parametri
indicati nella norma, se le “modalità di presentazione” e le “altre circostanze dell’azione” siano
tali da escludere una finalità esclusivamente personale della detenzione (Sezione VI, 26
ottobre 2011, Ascione).

In altri termini, il mero superamento dei limiti quantitativi stabiliti nel decreto ministeriale
non può fondare la presunzione “assoluta” della destinazione illecita, giacche, pur in presenza
di date “quantità”, superiori ai limiti quantitativi massimi stabiliti dal decreto ministeriale,
l’ipotesi della destinazione “ad un uso non esclusivamente personale” ben può essere
smentita, ad esempio, sulla base di “altre circostanze dell’azione” (tra le quali rientrano anche
l’eventuale stato di tossicodipendenza o anche solo l’uso abituale di droga), e ciò soprattutto se
il superamento della soglia è modesto.

Tale principio, infatti, va precisato nel senso che, ovviamente, a fronte a quantitativi “di
rilievo” e di molto superiori alla “soglia”, la destinazione ad uso personale può essere ritenuta
solo quando si sia in presenza di emergenze probatorie che spieghino in modo realmente
concludente le ragioni per cui l’agente si sia indotto a detenere, per uso personale,
stupefacente che eccede i bisogni di un breve arco temporale (cfr. Sezione IV, 15 aprile 2009,
Lahsoumi ed altro).

Nella specie, ci si trova in presenza di un quantitativo [184 dosi] non esorbitante, ma
neppure minimale, che il giudice ha adeguatamente valorizzato mettendo in evidenza la

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E’ vero che, anche di recente è stato affermato che, in tema di illeciti in materia di sostanze

”deteriorabilità” della sostanza, ritenuta non peregrinamente dimostrativa della destinazione
della stessa anche all’uso di terzi.

E’ un compendio argomentativo non arbitrario, pur dovendosi riconoscere che, in effetti, non
è convincente l’argomento del tentativo di nascondimento della droga ritenuto
concorrentemente dimostrativo della finalità illecita. E’ fin troppo ovvio che trattasi di
argomento non univoco, ma semmai (con analoga dignità) leggibile come dimostrativo
genericamente della finalità di non essere comunque coinvolti in un vicenda foriera di rischi di

responsabilità anche solo amministrativa (articolo 75 del dpr n. 309 del 1990).

E peraltro tale passaggio non vulnera la tenuta della decisione.

Correttamente è stato affermato il concorso nella detenzione e non il favoreggiamento.

Il concorso di persone, infatti, secondo i principi generali, è da ritenere in presenza di un
contributo partecipativo, morale o materiale, alla condotta criminosa altrui, caratterizzato,
sotto il profilo psicologico, dall’elemento psichico del reato che si commette e dalla coscienza
e volontà di arrecare un contributo concorsuale alla realizzazione dell’illecito.

Qui, indubitabile è la ravvisabilità del reato ove si consideri a tacer d’altro l’acquisita
disponibilità della droga da parte del CASELLA, sia pure momentanea, fino al momento
dell’intervento della polizia giudiziaria.

Il delitto di detenzione illecita di sostanze stupefacenti si perfeziona allorquando il soggetto
acquisisce la disponibilità della sostanza stupefacente.
Si tratta di un reato di natura permanente, la cui consumazione inizia nel momento in cui il
soggetto acquisisce tale disponibilità e cessa, con la cessazione della permanenza, nel
momento in cui il detentore perde la disponibilità della sostanza (ad esempio, con il sequestro
della stessa da parte della polizia giudiziaria ovvero con la cessione a terzi) .
Per la configurabilità del reato è irrilevante la durata temporale della detenzione, purché
questa sia cosciente e volontaria e sia corredata, sul piano oggettivo, dalla concreta e
materiale disponibilità della sostanza: in questi termini, anche un lasso temporale
estremamente contenuto è idoneo ad integrare la fattispecie incriminatrice (per riferimenti,
Sezione IV, 17 marzo 2000, Catalano ed altri; nonché, Sezione IV, 7 aprile 2005, Volpi,
secondo la quale per la configurabilità del reato di detenzione illecita di sostanza stupefacente
è irrilevante la durata temporale della detenzione, purché questa sia cosciente e volontaria e
sia corredata, sul piano oggettivo, dalla concreta e materiale disponibilità della sostanza: in
questi termini, anche un lasso temporale estremamente contenuto è idoneo ad integrare la
fattispecie incriminatrice).

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Correttamente quindi – va aggiunto solo ad abundantiam – non poteva ravvisarsi la connivenza
non punibile, perché questa presuppone un comportamento “meramente passivo”, privo di
qualsivoglia efficacia causale in ordine alla realizzazione della condotta criminosa altrui,
ovverosia in presenza della semplice consapevolezza della condotta criminosa altrui, non
caratterizzata da alcun contributo, morale o materiale, volto a favorirla (per riferimenti, ex
pluribus, Sezione IV, 15 aprile 2009- 24 aprile 2009 n. 17642, Lahsoumi ed altro).

Sul punto, vale innanzitutto il rilievo che, come emerge dalla motivazione della sentenza
impugnata, la questione non è stata oggetto dei motivi di appello. Il motivo non può quindi
essere valutato ex art. 606, comma 3, c.p.p.
Del resto, come è noto, la condotta di favoreggiamento personale o reale (articoli 378 e 379
c.p.) si distingue dalla connivenza perché non si limita ad un atteggiamento “passivo”, privo di
rilevanza efficiente, ma si sostanzia in un aiuto arrecato al responsabile del reato.

Più complesso è, in effetti,

distinguere il favoreggiamento dal concorso nei reati permanenti

ancora in corso di esecuzione (qui, la detenzione di droga), giacche in entrambi i casi il
soggetto fornisce un contributo di ausilio.

La soluzione va trovata considerando che il favoreggiamento costituisce una fattispecie
accessoria e conseguente ad un reato “già consumato”, volta ad agevolare colui che lo ha
commesso rispetto alle ricerche e/o alle investigazioni dell’autorità (favoreggiamento

personale) o ad assicurargli il prodotto, il profitto o il prezzo del reato (favoreggiamento reale)
Il favoreggiamento, in altri termini, per essere concettualmente realizzabile presuppone
l’avvenuta consumazione del reato principale (cfr., del resto, l’articolo 378 c.p..: “dopo che fu
commesso un delitto”), derivandone che, in costanza di permanenza del reato, qualsivoglia
aiuto fornito all’autore materiale sarà punibile a titolo di concorso, se ed in quanto finalizzato a
tradursi in un sostegno per la protrazione della condotta criminosa .

Ne consegue che, in presenza di un reato tipicamente permanente (come nella ipotesi di
interesse), qualsivoglia ausilio fornito quando ancora il “titolare” delle res eserciti il proprio
potere (anche solo come disponibilità di fatto) sulla stessa, si risolve, inevitabilmente, in un
vero e proprio concorso, quantomeno morale.

Ne consegue, inoltre, che, a maggior ragione, dovrà ritenersi il concorso nel reato di
detenzione, e non il favoreggiamento, quando l’aiuto prestato abbia addirittura importato
l’acquisizione da parte del soggetto della “disponibilità materiale”, anche solo momentanea,

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Correttamente inoltre non è stato ravvisato il mero favoreggiamento.

della droga (ciò che qui è è stato ampiamente spiegato attraverso la disamina degli atti di
indagine).

L’insussistenza dei presupposti del favoreggiamento porta con sé la non invocabilità dei principi
espressi dalle Sezioni unite, 22 febbraio 2007- 5 giugno 2007 n. 21832, Morea.

Per l’effetto, la decisione non merita censure.

giugno 2000, n. 186), consegue la condanna dei ricorrenti medesimi al pagamento delle spese
processuali e, ciascuno, di una somma, che congruamente si determina in mille euro, in
favore della cassa delle ammende.
P. Q. M.
dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e
ciascuno a quello della somma di 1000 euro in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 29 maggio 2013

Il Consigliere estensore

Il Pre dente

Alla inammissibilità dei ricorsi, riconducibile a colpa dei ricorrenti(Corte Cost., sent. 7-13

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