Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 25648 del 19/04/2013


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 25648 Anno 2013
Presidente: ROMIS VINCENZO
Relatore: DELL’UTRI MARCO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
TASSELLI BRUNO N. IL 10/11/1976
TASSELLI ANDREA N. IL 05/10/1981
avverso la sentenza n. 4924/2008 TRIBUNALE di MILANO, del
18/04/2011
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 19/04/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. MARCO DELL:LITRI
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Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. M
che ha concluso per
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Data Udienza: 19/04/2013

Ritenuto in fatto
1. – Con sentenza resa in data 18.4.2011, il tribunale di Milano
ha condannato Bruno Tasselli e Andrea Tasselli alla pena di sei mesi
di reclusione ciascuno (sostituita ex artt. 53 ss. legge n. 689/81 nella
corrispondente pena pecuniaria), in relazione al reato di omicidio
colposo consumato, in violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, ai danni di Francesco Toppi, ad Eboli il
12.6.2004.
Ai due imputati, era stata contestata la violazione, oltre ai tradizionali parametri della colpa generica, delle norme cautelari specificamente indicate nei capi d’imputazione; in particolare, a Bruno
Tasselli, nella qualità di legale rappresentante della società ECM
s.r.1., di non avere individuato e correttamente valutato, con un piano
operativo di sicurezza (POS) assolutamente carente sul punto, i rischi
connessi all’esecuzione dei lavori di posa dei pali della luce, con particolare riferimento alla movimentazione del carico, all’imbracatura e
al tipo di nodo; di non avere, quindi, provveduto affinché le operazioni di sollevamento venissero correttamente progettate e attuate
con procedure specifiche nonché adeguatamente controllate ed eseguite al fine di tutelare la sicurezza dei lavoratori; di non aver, infine,
provveduto affinché i lavoratori addetti alla posa dei pali venissero
adeguatamente informati sui rischi specifici derivanti dalla movimentazione dei pali della luce e ricevessero un addestramento specifico
sulle condizioni di impiego del mezzo di sollevamento, sul tipo di imbracatura e di nodo da effettuare. Ad Andrea Tasselli, nella qualità di
direttore tecnico del cantiere della stessa società ECM s.r.1., di non
aver provveduto affinché le operazioni di sollevamento dei carichi
(nello specifico dei pali della luce) venissero correttamente attuate
con procedure specifiche (che prevedessero un’imbracatura effettuata
con un nodo che non si potesse sciogliere per il peso del carico) nonché adeguatamente controllati ed eseguiti al fine di tutelare la sicurezza dei lavoratori; di aver omesso il necessario controllo sulle fasi di
lavoro compiute dal lavoratore addetto alla posa dei pali.
Per effetto di tali omissioni, il lavoratore Francesco Toppi, addetto alla posa dei pali della luce in qualità di conducente manovratore della gru automontata all’interno del cantiere per la posa dei pali
dell’illuminazione elettrica lungo via Giuditta Pasta, in Milano, rimasto colpito da un palo della luce rovinosamente caduto dopo essersi
sciolto dal nodo dell’imbracatura erroneamente e inappropriatamente effettuato sulla gru dallo stesso radiocomandata, ebbe a riportare
le gravissime lesioni che lo condussero al decesso.
Con sentenza in data 11.1.2013, la corte d’appello di Milano,
sul presupposto che il giudice di primo grado aveva applicato la pena
originariamente richiesta dagli imputati, ritenendo ingiustificato il
dissenso sul punto espresso dal pubblico ministero, ha dichiarato
inappellabile la sentenza del tribunale di Milano, qualificando l’impugnazione proposta dagli imputati come ricorso per cassazione, con
la conseguente trasmissione degli atti a questa corte per il relativo
esame.

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2.1. – Con il primo motivo, proposto avverso la sentenza di
primo grado, gli imputati censurano la motivazione dettata dal primo
giudice avendo quest’ultimo erroneamente valutato gli elementi
istruttori complessivamente acquisiti, non tenendo conto della circostanza che il lavoratore deceduto disponesse di un patrimonio professionale largamente sperimentato, tale da porlo in condizione di svolgere in piena consapevolezza e capacità le mansioni allo stesso affidate, con la conseguenza che l’evento mortale verificatosi avrebbe dovuto essere ascritto, sul piano causale, esclusivamente al carattere abnorme, imprevedibile e inevitabile della condotta in concreto osservata dallo stesso lavoratore.
2.2. – Con il secondo motivo, anch’esso illustrato in relazione
alla sentenza di primo grado, i ricorrenti censurano la violazione di
legge in cui è incorso il tribunale di prime cure, avendo quest’ultimo
imputato ad Andrea Tasselli la commissione di un reato ‘proprio’
previsto dalla legge come ascrivibile al solo datore di lavoro (art. 35,
comma 2 e 4 ter, lett. a) e c) d.lgs. n. 626/94), a dispetto della qualifica di mero direttore di cantiere rivestita dallo stesso.

2.3. – Con il terzo motivo, i ricorrenti censurano la sentenza
della corte d’appello di Milano per violazione della legge processuale
in relazione all’art. 420 quater c.p.p., avendo la corte d’appello erroneamente dichiarato la contumacia degli imputati senza tener conto
del mancato rispetto del termine per comparire verificatosi per effetto della sospensione dei termini processuali previsti dal decreto-legge
n. 74/2012 convertito con modificazioni dalla legge n.122/2012.

2.4. – Con il quarto motivo, i ricorrenti censurano la sentenza
della corte d’appello per violazione della legge processuale in relazione agli artt. 192, comma 1, e 448 c.P.p., avendo la corte territoriale
erroneamente ritenuto inappellabile la sentenza pronunciata dal giudice di prime cure, per avere quest’ultimo pronunciato una sentenza
non qualificabile come `patteggiamento’ in senso tecnico, atteso che il
ritenuto carattere ingiustificato del dissenso del pubblico ministero
all’applicazione della pena su richiesta delle parti non era valsa a cancellare la circostanza che il processo si fosse svolto con il rito ordinario, con la conseguente applicabilità del comune regime delle impugnazioni, tenuto altresì conto che l’unico riferimento all’art. 448
c.p.p. rinvenibile nella sentenza di primo grado è costituito dalla
enunciazione meramente formale dello stesso articolo, senza alcuna
esplicitazione del calcolo tramite il quale il primo giudice è giunto alla
pena effettivamente irrogata: esplicitazione tanto più necessaria al

Con ricorso depositato in data 8.2.2013, a mezzo del proprio
difensore, gli imputati hanno riqualificato i motivi di appello già illustrati avverso la sentenza di primo grado sotto il profilo della legittimità, proponendo ulteriori motivi d’impugnazione avverso la sentenza della corte d’appello di Milano.

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fine di verificare l’effettiva riduzione del trattamento sanzionatorio
applicato agli imputati per effetto della scelta del rito.

2.6. — All’odierna udienza, le parti civili hanno depositato le
proprie conclusioni scritte, con allegata nota spese.
Considerato in diritto
3.1. — Dev’essere preliminarmente rilevata la manifesta infondatezza dell’istanza avanzata dal difensore degli imputati in relazione
al riconoscimento della pretesa avvenuta maturazione del termine di
prescrizione dei reati oggetto d’esame.
Al riguardo, preso atto della consumazione di detti reati in data 12.6.2004, deve ritenersi sostanzialmente equivalente (sul piano
dell’individuazione della lex mitior ex art. 2 c.p.) la disciplina sopravvenuta con la legge n. 251/2005 rispetto a quella vigente al momento
del fatto, atteso che, per effetto del giudizio di equivalenza tra le circostanze attenuanti generiche e la contestata aggravante, la pena
edittale massima per il reato contestato è rimasta pari a cinque anni,
con la conseguente fissazione a io anni del termine prescrizionale,
aumentato a 15 anni per le interruzioni intervenute, secondo la legge
vigente al momento del fatto e precedente alla legge n. 251/2005.
Applicando, viceversa, la disciplina di cui alla legge n.
251/2005, il termine di prescrizione minimo di sei anni previsto
dall’art. 157 c.p. sarebbe soggetto a raddoppio (trattandosi di reato di
cui all’art. 589 aggravato dalla violazione delle norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro: cfr. art. 157 c.p.), e dunque pari a 12
anni, aumentato a 15 anni per effetto delle interruzioni intervenute,
con la conseguente mancata maturazione in ogni caso del termine
prescrizionale neppure alla data odierna.
3.2. — Con riguardo ai motivi di ricorso proposti dagli imputati
avverso la sentenza d’appello, rileva la corte come gli stessi debbano
ritenersi inammissibili, dovendo qualificarsi la pronuncia della corte
territoriale (a dispetto della forma dalla stessa apparentemente assunta) quale ordinanza non impugnabile, essendosi la corte milanese
correttamente limitata a dichiarare l’inappellabilità della sentenza di
applicazione della pena su richiesta pronunciata in prime cure dal
tribunale di Milano ex art. 448 c.p.p (in coerenza al principio sul punto statuito da Cass., Sez. Un., n. 36084/2005, Rv. 231806), riqualificando l’impugnazione proposta dagli imputati come ricorso per cassazione e disponendo la trasmissione degli atti a questa corte.

2.5. – Con memoria in data 7.3.2013, il difensore degli imputati
ha invocato il riconoscimento dell’intervenuto decorso dell’intero periodo prescrizionale relativo ai reati contestati agli imputati, concludendo per l’annullamento della sentenza impugnata per intervenuta
estinzione dei reati.

3.3. – Parimenti inammissibile deve ritenersi il ricorso proposto dagli imputati nei confronti della sentenza di primo grado (attesa
la relativa carenza d’interesse ad impugnare), trattandosi, con riguardo al provvedimento contestato, di una sentenza di ‘patteggiamento sostanziale’ (ai sensi dell’art. 448, primo comma, c.p.p.),
avendo il tribunale di Milano proceduto all’applicazione della pena in
totale accoglimento delle richieste degli imputati, dopo aver ritenuto
privo di motivazione il rifiuto del pubblico ministero di prestare il
proprio consenso alla corrispondente proposta avanzata dagli imputati.
Quanto all’indulto invocato dagli imputati con l’impugnazione
proposta avverso la sentenza di primo grado, è appena il caso di richiamare il consolidato insegnamento di questa corte di legittimità,
ai sensi del quale il ricorso per cassazione avverso la mancata applicazione dell’indulto è ammissibile solo qualora il giudice di merito
abbia esplicitamente escluso detta applicazione, mentre nel caso in
cui abbia omesso di pronunciarsi (come nella specie) deve essere adito il giudice dell’esecuzione (v. Cass., Sez. 5, n. 43262/2009, Rv.
245106).
4. – Dalla rilevata inammissibilità del ricorso proposto dagli
imputati segue la condanna degli stessi al pagamento delle spese processuali e, non emergendo ragioni di esonero, della somma di euro
1.500,00 in favore della cassa delle ammende, oltre alla condanna al
rimborso delle spese in favore delle parti civili, secondo la liquidazione di cui in dispositivo.

Per questi motivi
La Corte Suprema di Cassazione, dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e
ciascuno a quello della somma di euro 1.500,00 in favore della cassa
delle ammende.
Li condanna altresì a rimborsare alle parti civili Antonio Toppi, aria Toppi, Alessandra Toppi, Sebastiano Toppi, Emanuela Toppi, Maddalena Toppi e Giuseppa Romano, le spese per questo giudizio che si liquidano in complessivi euro 6.000,00 oltre I.V.A. e C.P.A..
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 19.4.2013.

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