Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 25635 del 07/05/2013


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 25635 Anno 2013
Presidente: GIORDANO UMBERTO
Relatore: BONITO FRANCESCO MARIA SILVIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
COLAFIGLI MARCELLO N. IL 12/11/1953
avverso l’ordinanza n. 15/2012 CORTE ASSISE APPELLO di ROMA,
del 15/10/2012
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. FRANCESCO MARIA
SILVIO BONITO;
lette/sgatite le conclusioni del PG Dott. 0)cia ,-,etc)J232-c /La_ cl-eCunjto t:Q•

Uditi difensor Avv.;

4r–(34

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Data Udienza: 07/05/2013

La Corte, ritenuto in fatto e considerato in diritto

1. La Corte di assise di appello di Roma, in funzione di giudice
dell’esecuzione, con ordinanza del 21 ottobre 2008, applicava a
Colafigli Marcello, ai sensi del secondo comma dell’art. 73 co. 2
c.p., la pena dell’ergastolo, tenuto conto che il predetto risultava
condannato con due sentenze irrevocabili della medesima corte,
dapprima, alla pena di anni 26 di reclusione e, successivamente, alla
pena di anni 27 e giorni 15 di reclusione per due omicidi. Detta
ordinanza, impugnata nelle forme di legge, veniva confermata dal
giudice di legittimità, il quale rigettava il relativo ricorso.
In data 9 settembre 2012 i difensori del Colafigli proponevano
incidente di esecuzione chiedendo la revoca della condanna
all’ergastolo come innanzi determinata sul rilievo che le condanna
prese in considerazione non fossero “non inferiori a 24 anni”
ciascuna, ma che il G.E. l’avesse determinata prendendo in
considerazione due diversi cumuli di pene solo per questo superiori
ad anni ventiquattro.
L’incidente veniva risolto dalla Corte di assise di appello di Roma
con ordinanza del 15 ottobre 2012, oggetto del presente scrutinio di
legittimità, col rigetto della domanda, sul rilievo che le sentenze
prese in considerazione risultavano nella entità sanzionatoria oltre i
limiti di cui all’art. 73 co. 2 c.p. e che, nella fattispecie, non trovava
applicazione la disciplina dell’art. 78 c.p. afferente ipotesi astratta
diversa, riferita comunque al primo comma dell’art. 73 c.p..
2. Ricorre per cassazione avverso detto provvedimento il Colafigli
con ricorsi affidati ai due difensori di fiducia.
2.1.1 Col primo di essi, a cura dell’avv. G. Pammolli, si denuncia la
inosservanza di norme di legge in riferimento agli artt. 73 co. 2 e 78
c.p., giacchè la determinazione della pena dell’ergastolo ai sensi
della prima delle norme appena evocate è avvenuta senza
considerare il presofferto (superiore, per il difensore, ad anni 47
nella fattispecie concreta) del condannato, conteggiando il quale
non si supera affatto il limite di anni ventiquattro di cui alla norma
in esame. Sul punto, si duole la difesa, nulla ha replicato
l’ordinanza impugnata.
Né ha tenuto conto il giudice territoriale, lamenta ancora la difesa
ricorrente, che l’art. 73 c.p., co. 2, non trova affatto esecuzione in
fase esecutiva, ma soltanto nella fase della cognizione, come
evidenziato dalla circostanza che in esso si parla di delitti e non di
pene o di cumuli e condanne definitive.
1

3.1 ricorsi si appalesano manifestamente infondati.
Il primo luogo deve rilevarsi che nel caso in esame ricorre una
classica ipotesi di giudicato esecutivo.
La regola dettata dal comma 2 dell’art. 666 c.p.p. impone infatti di
dichiarare inammissibile la richiesta formulata al giudice
dell’esecuzione che costituisca mera riproposizione di altra istanza
già in precedenza avanzata sui medesimi motivi; tale principio
normativo è espressione del divieto processuale del bis in idem, e si
caratterizza come preclusione processuale rispetto ad un
provvedimento decisorio, peraltro revocabile perché comunque
assunto rebus sic stanti bus (Cass., Sez. Unite, 21/01/2010, n.
18288).
Nel caso in esame il G.E., delibando la questione dedotta nel
presente giudizio, in applicazione della disciplina di cui all’art. 73
c.p. co. 2 ed in costanza di due distinte condanna per il reato di
omicidio a pene sempre superiori ad anni 24 di reclusione, ha

Quanto poi al rapporto tra la doglianza in esame e la precedente
ordinanza in executivis del 21 ottobre 2008 che ebbe per l’appunto a
fissare l’esecuzione della pena dell’ergastolo ai sensi dell’art. 73
C.. co. 2, osserva il difensore che la maturazione continua di un
presofferto modifica in continuazione il titolo esecutivo, di guisa
che non si pone per questo alcuna questione riferibile al principio
del ne bis in idem.
2.1.2 Col secondo motivo di ricorso denuncia l’avv. Piromalli, ai
sensi dell’art. 606 lett. d) c.p.p., violazione dell’art. 78 c.p., in
relazione agli artt. 6 e 7 CEDU, giacchè aggravata nel concreto la
posizione detentiva del ricorrente, con ciò violandosi i principi
affermai in tema di lex mitior, ne bis in idem e nulla poena sine
lege. La pronuncia impugnata, ad avviso della difesa, contrasta con
precedenti di questa Corte di legittimità (vengono per questo
richiamate: sez. I, 24.4.2011, P.G. c/o De Marco; id. 22.4.2008 n.
16740).
2.1.3 L’avv. Pammolla ha altresì depositato memoria difensiva con
motivi aggiunti, ulteriormente ribadendo censure ed argomentazioni
dei motivi principali.
2.2.1 Sempre nell’interesse del Carofigli ha proposto un distinto
ricorso per Cassazione l’avv. P. Pomanti denunciando violazione
dell’art. 73 c.p. co. 2 sul rilievo che, nella fattispecie, sarebbero
state considerate in executivis non già due singole condanne
superiori ad anni 24 di reclusione, bensì due cumuli comprendenti
condanne singolarmente mai superiori ad anni 24.
2.2.2 Con motivo aggiunto il medesimo avv. Pomanti ulteriormente
illustrava la sua tesi.

4. Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile ed alla declaratoria

applicato in sede esecutiva la pena dell’ergastolo, decisione questa
invano impugnata per cassazione dal Carofigli.
Rispetto a detta decisione, con l’incidente di esecuzione
successivamente proposto dall’interessato in data 9 settembre 2012,
nulla di nuovo risulta dedotto, posto che gli argomenti difensivi
vertono, per un verso, sulla mancata considerazione, ai fini
dell’applicazione dell’art. 73 co. 2 c.p., del presofferto di anni 47 di
reclusione (dato questo peraltro clamorosamente errato) e, per altro
verso, su un preteso errore nella identificazione delle condanna
“non inferiori ad anni 24 di reclusione”, giacché per tale termine
presi in considerazione due cumuli e non già singole condanne.
Ebbene, in entrambi i casi, comunque espressivi di tesi giuridiche
prive di ogni consistenza giuridica, vertesi in ipotesi non già di fatti
nuovi, ma di pretesi errores in procedendo ed in judicando che
soltanto l’impugnazione per cassazione, peraltro esperita ancorchè
per motivi diversi, avrebbe potuto emendare se effettivi.
A parte ciò ritiene comunque il Collegio di osservare la manifesta
infondatezza delle tesi difensive qui proposte.
Il periodo eventualmente presofferto in carcere da parte del
condannato che debba espiare pena ormai definitiva non incide
sulla applicazione della disciplina di cui all’art. 73 c.p. co. 2,
legittimamente applicata dal G.E., giacchè detta norma attiene alla
determinazione del limite cumulabile delle pene da eseguire in
ipotesi di condanne non superiori ad anni 24 di reclusione, mentre il
presofferto riguarda la concreta esecuzione della pena e di esso
deve farsi concreta valutazione all’esito dell’operazione di cumulo e
non già contestualmente ad esso.
Le pene inoltre prese in considerazione nel caso in esame ai fini
dell’applicazione dell’art. 73 c.p.p., co. 2, norma speciale
quest’ultima rispetto a quella generale dell’art. 78 c.p., non sono
state affatto quelle risultante da due cumuli, bensì quelle inflitte con
due distinte sentenze, l’una del 4.3.1998 e l’altra del 6.10.2000,
relative a condanne per omicidio, entrambe ben superiori ad anni
24 di reclusione.
Ogni altra censura, quale quella affidata al secondo motivo di
ricorso dell’avv. Pammolli, si appalesa del tutto generico sia nei
presupposti che nelle conclusioni del sillogismo giuridico proposto,
giacchè dei richiamati riferimenti normativi (in primis quelli alla
CEDU) non viene per nulla dimostrata l’attinenza alla fattispecie in
esame.

di inammissibilità consegue sia la condanna al pagamento delle
spese del procedimento, sia quella al pagamento di una somma in
favore della Cassa delle ammende, somma che si stima equo
determinare in euro 1000.

la Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna fiericorrente al
pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1000,00
in favore della Cassa delle ammende.
Roma, addì 7 maggio 2013

P. Q. M.

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