Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 25632 del 07/05/2013
Penale Sent. Sez. 1 Num. 25632 Anno 2013
Presidente: GIORDANO UMBERTO
Relatore: BONITO FRANCESCO MARIA SILVIO
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
JADRESKO BRUNO N. IL 27/03/1945
avverso l’ordinanza n. 3416/2012 TRIB. SORVEGLIANZA di
TORINO, del 05/09/2012
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. FRANCESCO MARIA
SILVIO BONITO;
.
lette/sentite le conclusioni del PG Dott. -4 ( 2-4-2-e-4-4-A-, -‘ lÌ) / 4 t_< ci,Gerg2-.- -Lo- c94.21z.A., <21-_,;c3L4,_:_o_.,.s2„,,. „Q. Uditi difensor Avv.; e \A„ ,.....—».1t, Data Udienza: 07/05/2013 e t- La Corte osserva in fatto ed in diritto:
1. Con ordinanza del 5 settembre 2012 il Tribunale di sorveglianza
di Torino rigettava l'istanza proposta da Jadresko Bruno volta alla
sospensione della esecuzione della pena ai sensi dell'art. 147 c.p. ed
all'applicazione della detenzione domiciliare ai sensi dell'art. 47 ter
co. 1 0.P., sul rilievo che gli accertamenti medici peritali avevano
escluso l'incompatibilità delle patologie denunciate dall'istante,
essenzialmente di natura cardiaca, con il regime di detenzione
carceraria e che esse patologie non implicavano, con la detenzione
dell'interessato, sofferenze contrarie al senso di umanità.
Richiamava da ultimo il tribunale la pericolosità sociale del
detenuto, in esecuzione pena di anni 26 e mesi otto per gravi fatti
delittuosi.
Propone ricorso per cassazione il predetto Jadresko Bruno, assistito
dal difensore di fiducia, chiedendo l'annullamento della impugnata
ordinanza perché viziata, secondo prospettazione difensiva, da
violazione di legge e difetto di motivazione.
Deduce, in particolare, la difesa ricorrente che le conclusioni della
relazione sanitaria del 10.7.2012 risulterebbero contraddette dalla
relazione di sintesi degli educatori, dalla quale ultima si
evincerebbe la gravità delle patologie affliggenti il detenuto e la
necessità di una applicazione in suo favore della disciplina di cui
all'art. 147 c.p.p.; insiste inoltre la difesa istante sulla valutazione di
gravità della cardiopatia, del diabete, del lipoma al braccio, in
ordine alla incidenza di esse sulla percezione delle finalità
detentive, sui ritardi registrati in carcere sia per l'effettuazione degli
accertamenti sanitari richiesti dalla gravità delle malattie
diagnosticate, sia sul programmato intervento di rivascolarizzazione
chirurgica.
2. Il P.G. in sede, con requisitoria scritta, insisteva per la
inammissibilità dell'impugnazione.
3. Il ricorso è infondato.
L'ordinanza impugnata si appalesa infatti motivata in termini
giuridicamente corretti e logicamente coerenti.
Va preliminarmente chiarito che il differimento della pena, secondo
la disciplina portata dagli artt. 146 e 147 c.p., può essere
provvedimento necessitato ovvero facoltativo e ciò, evidentemente,
sulla base della ricorrenza o meno di determinati requisiti. - Nel caso in esame il giudice a quo ha rigettato l'istanza del
ricorrente sulla semplice considerazione che le risultanze
diagnostiche peritali erano nel senso della compatibilità delle
condizioni di salute dell'interessato con lo stato di detenzione.
Siffatta affermazione, peraltro, è stata poi supportata dalla
descrizione delle patologie riscontrate, e dalla motivazione a
sostegno delle conclusioni riportate, per le quali si esclude che nel
caso di specie ricorra sia l'ipotesi di differimento obbligatorio
disciplinato dall'art. 146 n. 3 c.p., peraltro non richiesto
dall'interessato, sia quella del differimento facoltativo di cui al
successivo art. 147 n. 2 c.p., posto che è proprio il requisito della
incompatibilità detentiva con lo stato di salute dell'istante quello
distintivo tra la prima e la seconda ipotesi, in cui il codificatore ha
contemplato la fattispecie secondo la quale, pur potendosi
astrattamente ritenere la compatibilità tra patologie accertate e stato
di detenzione, purtuttavia la presenza di una "grave infermità fisica"
può consentire il differimento di quest'ultima.
Ne consegue che la questione di diritto posta dalla disciplina
relativa al differimento facoltativo è quella di definire i confini della
riconosciuta discrezionalità ("L'esecuzione della pena può essere
differita" recita la norma di riferimento).
Orbene, sul punto non è mancata l'adeguata elaborazione
giurisprudenziale di questa Corte, la quale ha ripetutamente
affermato il principio che il giudice investito della delibazione della
domanda per l'applicazione dell'art. 147 c.p. deve tener conto,
indipendentemente dalla compatibilità o meno dell'infermità colle
possibilità di assistenza e cura offerte dal sistema carcerario, anche
dell'esigenza di non ledere comunque il fondamentale diritto alla
salute e il divieto di trattamenti contrari al senso di umanità, previsti
dagli artt. 32 e 27 Cost., circostanza questa che ricorre, ad esempio,
allorché, nonostante la fruibilità di adeguate cure anche in stato di
detenzione, le condizioni di salute accertate diano luogo ad una
sofferenza aggiuntiva, derivante proprio dalla privazione dello stato
di libertà in sè e per' sè considerata, in conseguenza della quale
l'esecuzione della pena risulti incompatibile coi richiamati principi
costituzionali (cfr. Cass., Sez. P`, 28/09/2005, n.36856; Sez. l",
28.10.1999, Ira). E ciò considerando, inoltre, che detta sofferenza
aggiuntiva è comunque inevitabile ogni qual volta la pena debba
essere eseguita nei confronti di soggetto in non perfette condizioni
di salute, di tal che essa può assumere rilievo solo quando si 2 4. Il ricorso deve pertanto essere rigettato, con la conseguente
condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento
ai sensi dell'art. 616 c.p.p..
P. Q. M.
la Corte, rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento
delle spese processuali.
In Roma, addì 7 maggio 2013 appalesi, presumibilmente, di entità tale — in rapporto appunto alla
particolare gravità di dette condizioni — da superare i limiti della
umana tollerabilità (Cass.,Sez.1^, 20.05.2003, n. 26026;
10.12.2008, n. 48203).
Ed invero, il giudice a quo ha indicato correttamente le ragioni del
diniego impugnato e sul punto la motivazione non è censurabile
dappoichè corretta giuridicamente e logica nel suo dipanarsi
argomentativo come dimostrato dalla sintesi innanzi riportata, dalla
quale emerge che, sulla base di un giudizio medico di ufficio
(relazione sanitaria penitenziaria) deve escludersi quella sofferenza
aggiuntiva oltre i limiti di sopportabilità giustificativa
dell'applicazione della invocata disciplina di favore.
Di più, il Tribunale ha altresì evidenziato la pericolosità sociale del
detenuto, dedotta dalla gravità dei reati in espiazione e dalla entità
notevole della condanna inflitta, situazione questa non considerata
nell'impugnazione in esame ed ostativa di per sé all'adozione
dell'invocato provvedimento.
A tanto la difesa ricorrente oppone, peraltro al di fuori di
valutazioni medico-legali di fonte scientifica, una discussione in
ordine alla gravità delle patologie accertate.