Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 25615 del 23/05/2013


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 25615 Anno 2013
Presidente: GIORDANO UMBERTO
Relatore: SANTALUCIA GIUSEPPE

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE D’APPELLO DI
FIRENZE
nei confronti di:
CAI XIANHUI N. IL 17/06/1979
avverso la sentenza n. 36/2010 GIUDICE DI PACE di PRATO, del
10/02/2011
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 23/05/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. GIUSEPPE SANTALUCIA
Udito il Procuratore Geklerale in erson d Dott. $.
che ha concluso per \\,

Udito, per la parte civile, l’Avv
Udit i difensor Avv.

Data Udienza: 23/05/2013

RITENUTO IN FATTO

Il Giudice di pace di Prato ha dichiarato Xianhui Cai del reato di cui all’art. 10 bis d. Igs. n. 286

del 1998 in quanto, quale cittadino extracomunitario, aveva fatto ingresso o comunque si era
trattenuto sul territorio dello Stato italiano in violazione delle norme in materia di
immigrazione, alla data del 17 settembre 2009.
Ha quindi condannato il predetto alla pena di C 3500,00 di ammenda.
Avverso la sentenza ha proposto ricorso il procuratore generale presso la Corte di
violazione di legge. La norma incriminatrice si pone in contrasto con la disciplina
della direttiva 2008/115/CE. Il ricorrente ha concluso con la richiesta di
disapplicazione della norma incriminatrice e in subordine con la richiesta di
sospensione del processo e rinvio degli atti alla Corte di giustizia dell’Unione europea
ai sensi dell’art. 267 TFUE, per l’esatta interpretazione dei contenuti prescrittivi della
direttiva; in via ulteriormente subordinata per l’annullamento con rinvio.
CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso è infondato per le ragioni di seguito esposte.
La norma che incrimina le condotte di ingresso e permanenza illegale nel territorio dello
Stato – art. 10 bis d.lgs. n. 286 del 1998 – ha di recente superato il vaglio di compatibilità

costituzionale: il Giudice delle leggi, con sentenza n. 250 del 2010, ha precisato che la norma
non punisce una «condizione personale e sociale» – quella, cioè, di straniero «clandestino» (o,
più propriamente, «irregolare») – e non criminalizza un «modo di essere» della persona.
Essa, invece, punisce uno specifico comportamento, costituito dal «fare ingresso» e dal
«trattenersi» nel territorio dello Stato, in violazione delle disposizioni di legge.
Si è quindi di fronte, rispettivamente, ad una condotta attiva istantanea (il varcare
illegalmente i confini nazionali) e una a carattere permanente di natura omissiva, consistente
nel non lasciare il territorio nazionale.
La condizione di “clandestinità” è, in questi termini, la conseguenza della condotta
penalmente illecita e non già un dato preesistente ed estraneo al fatto, e la rilevanza penale di
correla alla lesione del bene giuridico individuabile nell’interesse dello Stato al controllo e alla
gestione dei flussi migratori, secondo un determinato assetto normativo: si tratta di un bene
“strumentale”, per mezzo della cui tutela si accorda protezione a beni pubblici “finali” di sicuro
rilievo costituzionale. Per queste ragioni non è stata una scelta arbitraria la predisposizione di
una tutela penale di siffatto interesse, che si atteggia a bene giuridico di “categoria”, capace di
accomunare buona parte delle norme incriminatrici presenti nel testo unico del 1998.
Sulla base di questo nucleo argomentativo la Corte costituzionale ha decretato la
compatibilità della norma di cui all’art. 10 bis d. Igs. n. 286 del 1998 con alcuni principi della

Carta fondamentale, specificamente e principalmente con quelli desumibili dagli artt. 2 e 3.
Per quel che poi attiene alla compatibilità con la normativa sovranazionale, in particolare
con la direttiva CE n. 115 del 2008, si è di recente registrato l’intervento risolutivo della Corte
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appello di Firenze, deducendo:

di giustizia con la decisione del 6 dicembre 2012 sulla domanda di pronuncia pregiudiziale
proposta, ai sensi dell’art. 267 TFUE, dal Tribunale di Rovigo nel procedimento penale a carico
di Md Sagor. La Corte di giustizia, con tale pronunci g ha escluso che le disposizioni della
direttiva precludano di sanzionare il soggiorno irregolare con una pena pecuniaria sostituibile
con la pena dell’espulsione. A tal proposito è appena il caso di ricordare che già questa Corte
aveva statuito che «la fattispecie contravvenzionale prevista dall’art. 10 bis d.lgs n. 286 del

1998, che punisce l’ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato, non viola la c.d.
comportando alcun intralcio alla finalità primaria perseguita dalla direttiva predetta di
agevolare ed assecondare l’uscita dal territorio nazionale degli stranieri extracomunitari privi di
valido titolo di permanenza e non è In contrasto con l’art. 7, par. 1 della medesima, che, nel
porre un termine compreso tra i 7 e 30 giorni per la partenza volontaria del cittadino di paese
terzo, non per questo trasforma da irregolare a regolare la permanenza dello straniero nel
territorio dello Stato» -Sez. 1, n. 951 del 22/11/2011 (dep. 13/1/2012), Gueye, Rv. 251671-.
Così ricostruito il quadro delle compatibilità con la normativa costituzionale e con quella
sovranazionale, il ricorso deve essere rigettato.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Così deciso, il 23 maggio 2013.

direttiva europea sui rimpatri (direttiva Commissione CEE 16 dicembre 2008, n. 115), non

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