Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 25609 del 21/05/2013


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 25609 Anno 2013
Presidente: GIORDANO UMBERTO
Relatore: CAPRIOGLIO PIERA MARIA SEVERINA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
MACRI’ GIUSEPPE N. IL 13/02/1968
avverso la sentenza n. 1555/2011 CORTE APPELLO di REGGIO
CALABRIA, del 19/04/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 21/05/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. PIERA MARIA SEVERINA CAPRIOGLIO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per GR A..;

Udito, per la parte civile,
Udit i difensor Avv.

Data Udienza: 21/05/2013

ritenuto in fatto
1. Con sentenza del 19.42012, la Corte d’appello di Reggio Calabria
confermava la sentenza di condanna di MACRI’ Giuseppe alla pena di anni tre di
reclusione ed euro 1200 di multa emessa il 19.10.2011dal Tribunale di Palmi per i
reati di ricettazione e porto e detenzione di arma comune da sparo clandestina.
La Corte ribadiva che non vi erano dubbi sulla riportabilità dell’arma
in corso un pranzo e dove l’Imputato fu colto proprio mentre teneva la pistola nella
mano destra, con colpo in canna e ben otto proiettili nel caricatore.
La Corte rilevava che il fatto era stato correttamente ritenuto di elevata
gravità, non rientrante nell’ipotesi di lieve entità, attesa la clandestinità dell’arma e
la potenzialità della stessa, avendo avuto il colpo in canna ed il caricatore inserito.
La recidiva specifica derivava a detta della Corte dalla intervenuta condanna per reati
contro il patrimonio.
2. Avverso tale pronuncia ha proposto ricorso per cassazione l’interessato pel
tramite del suo difensore, per dedurre in primis il mancato riconoscimento
dell’attenuante di cui all’art. 5 I. 895/1967: seppure la difesa ammetta che in
giurisprudenza è costante l’orientamento secondo cui la diminuente invocata non si
applichi alle armi clandestine, ritiene che nelle ipotesi di concorso formale con il
reato di cui agli artt. 10 e 14 L. 497/1974 debba trovare applicazione, per lo meno
per la porzione di pena relativa al titolo di aumento per tale ipotesi delittuosa. In
secondo luogo, la difesa si lamenta della mancata esclusione della recidiva, la cui
ricorrenza risulta in sentenza priva di motivazione, atteso che l’imputato fu attinto da
condanne risalenti nel tempo, aventi ad oggetto reati di lieve entità che non
potrebbero essere definiti della stessa indole. Infine, secondo la difesa la Corte
avrebbe dovuto riconoscere la diminuente di cui all’art. 648 cpv. cod.pen., trattandosi
di arma di ridotto calibro, di risalente fabbricazione, di modesto valore economico.
Considerato In diritto.
Il ricorso è manifestamente infondato e va dichiarato inammissibile.
E’ pacifico che l’imputato venne colto nella flagrante detenzione di pistola, cal. 6,35
clandestina , per essere stato il numero di matricola limato onde impedire
l’accertamento della provenienza , con colpo in canna e con caricatore completo di
proiettili. L’arma era dunque provento di reato essendo stata da terzi previamente
punzonata e quindi il reato di ricettazione non poteva che essere riconosciuto come
integrato. Tale caratteristica dell’arma era del tutto preclusiva del riconoscimento

all’imputato, arma che venne trovata all’interno della cucina di un casolare dove era

dell’ipotesi lieve di cui all’art. 648 cpv. cod. pen., invocata dalla difesa, atteso che
secondo il consolidato insegnamento di questa Corte (da ultimo Sez. I, 13.3.2012, n.
13600, rv 252286), in tema di ricettazione, il valore del bene è un elemento
concorrente solo in via sussidiaria ai fini della valutazione dell’attenuante speciale in
parola, nel senso che, se esso non è particolarmente lieve, deve sempre escludersi la
tenuità del fatto, risultando superflua ogni ulteriore indagine. Soltanto se è accertata
la lieve consistenza economica del bene ricettato, può procedersi alla verifica della
di configurare la lievità che va comunque esclusa quando emergano elementi negativi,
sia sotto il profilo strettamente obbiettivo, sia sotto il profilo soggettivo (Cass., Sez. 2,
09/07/2010,n.28689). In relazione a pistola con matricola abrasa, va esclusa la
tenuità del fatto in ragione dell’intrinseca pericolosità della condotta e della
potenzialità del danno grave derivante dalla sua circolazione (Cass., Sez. 2,
02/10/2007,n.45200). Nella fattispecie pertanto, vanno ravvisati sia il valore
economico dell’arma, di per sè sufficiente ad escludere la disciplina di minor rigore,
sia le ulteriori specificità, di per sè idonee a rendere grave la condotta ed a porla in
situazione di assoluta incompatibilità logica con l’invocato riconoscimento.
Quanto al mancato riconoscimento della diminuente di cui all’art. 5 I. 895/1967
anche per i reati che la consentirebbero, la Corte di merito ha correttamente seguito
il criterio interpretativo suggerito da questa Corte , valutando i profili soggettivi ed
oggettivi che caratterizzarono la detenzione ed in via successiva la potenzialità de114.
arma in questione, giungendo con incedere argomentativo ineccepibile alla
conclusione che la condotta tenuta era tale da mettere seriamente a rischio
l’incolumità pubblica,avendo avuto l’arma il colpo in canna ed il caricatore completo di
munizioni inserito e non poteva di conseguenza essere valutata in termini di lievità.
Quanto alla ritenuta recidiva, corretto è stato l’operato dei giudici di merito
che in primo grado hanno sottolineato come l’imputato fece registrare sul casellario
ben quattro sentenze di condanna per delitti contro il patrimonio, di cui le ultime tre
hanno portato a contestare la recidiva reiterata, specifica ( rispetto al reato di
ricettazione ) ed infraquinquennale.
Si impone quindi la dichiarazione di inammissibilità del ricorso ; a tale
declaratoria, riconducibile a colpa del ricorrente, consegue la sua condanna al
pagamento delle spese del procedimento e di somma che congruamente si
determina in euro mille a favore della cassa delle ammende , giusto il disposto
dell’art. 616 cpp, così come deve essere interpretato alla luce della sentenza della
Corte Costituzionale n. 186/2000.

2

3

sussistenza degli ulteriori elementi, desumibili dall’art. 133 cod. pen., che consentono

p.q.m.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali ed al versamento della somma di euro mille alla cassa delle
ammende.

Così deciso in Roma, addì 21 Maggio 2013.

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