Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 25606 del 07/05/2013


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 25606 Anno 2013
Presidente: GIORDANO UMBERTO
Relatore: BONITO FRANCESCO MARIA SILVIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
ZHUO TIBING N. IL 08/02/1978
avverso la sentenza n. 1707/2009 TRIBUNALE di COSENZA, del
22/02/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 07/05/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. FRANCESCO MARIA SILVIO BICZNITO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. -„,,,( 4,
che ha concluso per t p
(1-.

Udito, per la parte civile, l’Avv
Uditi difensor Avv.

Data Udienza: 07/05/2013

La Corte, ritenuto in fatto e considerato in diritto

1. Con sentenza del 22 febbraio 2012 il Tribunale di Cosenza, in
composizione monocratica, condannava Zhuo Tibing, cittadino
cinese, alla pena di euro 100,00 di ammenda perché ritenuto
colpevole del reato di cui all’art. 650 c.p. per non aver osservato
provvedimenti legalmente dettati dall’Autorità per ragioni di
giustizia, in particolare per non aver ottemperato all’invito a
presentarsi presso l’ufficio immigrazioni della Questura di Cosenza
per accertamenti in merito alla sua presenza sul territorio dello Stato;
in Cosenza, il 19 settembre 2008.
Avverso detta sentenza propone ricorso per cassazione l’imputato,
assistito dal difensore di fiducia, sviluppando due motivi di
impugnazione.
Col primo di essi denuncia la difesa ricorrente violazione delle
norme processuali di cui agli artt. 157, 309 co. 8, nonché degli artt. 3
e 24 Cost., sul rilievo che l’invito a presentarsi era stato notificato
all’imputato nella sola lingua italiana sconosciuta all’interessato.
Con il secondo motivo di impugnazione denuncia invece la difesa
ricorrente violazione dell’art. 143 c.p.p. e dell’art. 6 della CEDU, sul
rilievo che il processo a carico dell’imputato si è svolto in modo
incomprensibile per l’imputato, perché al medesimo incomprensibile
la lingua italiana.
2. Il ricorso
per le ragioni, diverse da quelle — ‘
difensivamente illustrate, che si passa ad esporre.
Con riferimento alla contestazione di cui all’art. 650 c.p. in esame
rammenta il Collegio che ha di recente affermato questa sezione
della Corte di legittimità che non risponde del reato previsto
dall’art. 650 cod pen. lo straniero che non ottemperi all’invito a
presentarsi presso un ufficio di P.S. ai fini dell’espulsione dal
territorio nazionale, in quanto l’ordine di allontanamento del
Questore e la relativa sequenza procedimentale stabilita dall’art. 14
del D.Lgs. n. 286 del 1998 non possono essere validamente
surrogati da altri atti(Cass., Sez. I, 01/04/2009, n. 19154).
A sostegno del richiamato principio di diritto la Corte ha
rammentato che l’art. 650 c.p. è una norma penale in bianco a
carattere sussidiario, applicabile solo quando il fatto non sia previsto
come reato da una specifica disposizione ovvero allorchè il
provvedimento dell’autorità rimasto inosservato sia munito di un
proprio, specifico meccanismo di tutela (cfr. Sez. 1, 14.2.2000, sent.

1

n. 01711, imp. Di Maggio, riv. 215341; Sez. 1, 3.3.2000, sent. n.
02653, imp. Parla, riv. 215373).
Giova pertanto osservare che, ai fini della configurabilità del reato di
cui all’art. 650 c.p., è necessario:
a) che l’inosservanza riguardi un ordine specifico impartito ad un
soggetto determinato, in occasione di eventi o circostanze tali da far
ritenere necessario che proprio quel soggetto ponga in essere una
certa condotta; e ciò per ragioni di sicurezza o di ordine pubblico, o
di igiene o di giustizia;
b) che l’inosservanza attenga ad un provvedimento adottato in
relazione a situazioni non prefigurate da alcuna previsione normativa
che comporti una specifica ed autonoma sanzione;
c) che il provvedimento emesso per ragioni di giustizia, di sicurezza,
di ordine pubblico, di igiene sia adottato nell’interesse della
collettività e non di privati individui.
Per provvedimento dato per “ragione di giustizia” deve poi
intendersi qualunque provvedimento od ordine, autorizzato da una
norma giuridica per la pronta attuazione del diritto obiettivo e diretto
a rendere possibile o più agevole l’attività del giudice, del pubblico
ministero, degli ufficiali di polizia giudiziaria, mentre per “ragioni di
sicurezza pubblica” devono intendersi tutti i provvedimenti ovvero
gli ordini amministrativi autorizzati da una norma giuridica a tutela
della sicurezza collettiva, intesa come preventiva eliminazione di
situazioni pericolose per i consociati.
La ragione di giustizia si esaurisce con la emanazione del
provvedimento di uno degli organi in precedenza indicati e non
comprende gli atti che altri soggetti sono tenuti eventualmente ad
adottare in esecuzione del provvedimento dato per questi fini (v.
Sez. 1, 7.5.1999, sent. n. 05755, imp. Di Giovanni ed altri,
rv.213241; Sez. 6, 21.1.1999, n. 00784, rv. 213904; Sez. 1, 2.4.2001,
n. 12924, rv. 218297), mentre la ragione securitaria, per la sua
incidenza sui diritti di libertà ed autodeterminazione individuale
soggiace ad un rigido principio di tipizzazione.
Alla luce di questi principi la sentenza impugnata non può essere
condivisa, in quanto l’invito a presentarsi presso l’ufficio di Polizia in
vista di possibili esiti negativi per l’interessato, quale, ad esempio,
l’espulsione, non può validamente surrogare l’ordine di
allontanamento, tipizzato dall’ordinamento giuridico, di competenza
del Questore, attuativo del decreto prefettizio di espulsione, e la
precisa sequenza procedimentale stabilita dalla legge a tal fine.

2

P. T. M.
la Corte annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché in fatto
non sussiste.
In Roma, addì 7 maggio 2013

Invero il D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 14 regola l’esecuzione
dell’espulsione amministrativa, stabilendo che: 1) in via prioritaria, il
decreto del Prefetto deve essere eseguito con immediatezza mediante
accompagnamento alla frontiera; 2) qualora ciò non sia possibile,
perchè occorre procedere ad accertamenti supplementari in ordine
alla identità o nazionalità ovvero all’acquisizione di documenti per il
viaggio, ovvero per l’indisponibilità di vettore o di altro mezzo di
trasporto idoneo, il Questore dispone che lo straniero sia trattenuto
per il tempo strettamente necessario presso un centro di permanenza
temporaneo e assistenza (comma 1); 3) quando non sia possibile
neppure il trattenimento presso un centro ovvero siano trascorsi i
termini di permanenza, il Questore ordina alla straniero di lasciare il
territorio dello Stato entro il termine di cinque giorni (comma 5 bis).
La normativa prefigura, dunque, una precisa sequenza di forme di
esecuzione dell’espulsione, ciascuna delle quali è subordinata
all’impossibilità di porre in essere quelle che, gradatamente, la
precedono: ditalchè, poichè l’ordine di allontanamento presuppone
l’impossibilità sia di accompagnamento immediato alla frontiera sia
il trattenimento presso un centro di permanenza, deve
conseguentemente ritenersi che il Questore debba dare conto nella
motivazione del provvedimento delle condizioni fissate dalla legge
per l’esercizio del potere di assegnare allo straniero il termine di
cinque giorni per lasciare il territorio italiano.
Pertanto, in vista dell’espulsione dell’imputato, la competente
Autorità di pubblica sicurezza avrebbe dovuto procedere
esclusivamente nei modi e nelle forme espressamente previste a tal
fine e nel rispetto della sequenza procedimentale stabilita dal testo
unico in materia di immigrazione.
Non ignora certo il Collegio il diverso orientamento espresso in
passato dalla sezione prima della Corte sulla questione giuridica qui
delibata (Cass., 21.9.2005, n. 36054; 23.9.2004, n. 41101) ma
trattasi di tradizione interpretativa da ritenersi allo stato
motivatamente superata da indirizzo ermeneutico di contrario segno.
S’impone, pertanto, l’annullamento, senza rinvio, della sentenza
impugnata perché in fatto non costituisce reato.

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