Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 25603 del 17/03/2015


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 25603 Anno 2015
Presidente: CAVALLO ALDO
Relatore: CASSANO MARGHERITA

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
PERFETTO RAFFAELE N. IL 26/07/1971
avverso l’ordinanza n. 259/2014 TRIB. SORVEGLIANZA di ROMA,
del 15/05/2014
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. MARGHERITA
CASSANO;

Data Udienza: 17/03/2015

Ritenuto in fatto.

1. Con ordinanza emessa in data 15 marzo 2014 il Tribunale di Sorveglianza di
Roma respingeva il reclamo presentato da Raffaele Perfetto avverso il decreto
ministeriale di proroga del regime differenziato ai sensi dell’art. 41 bis ord pen.
Ad avviso del Tribunale tale regime era giustificato da plurimi elementi:

mafioso; b) la perdurante operatività dell’associazione e il perdurante ruolo attivo
svolto all’interno di essa dal ricorrente grazie anche all’aiuto di familiari,
comprovato, da ultimo, da un’iniziativa di solidarietà in memoria di un appartenente
del sodalizio ucciso nell’ambito di una faida sanguinosa.
In base a tali elementi il Tribunale argomentava che si configuravano tutti gli
elementi per ritenere, in concreto, la sussistenza di collegamenti con la criminalità
organizzata (Corte Cost., sent. n. 417 del 2004).
2. Avverso tale ordinanza ha proposto ricorso per cassazione, tramite il
difensore di fiducia, Perfetto, il quale lamenta violazione ed erronea applicazione di
legge, mancanza e contraddittorietà della motivazione relativamente alla sussistenza
dei presupposti legittimanti l’applicazione del regime penitenziario differenziato.

Osserva in diritto.

Il ricorso è manifestamente infondato.
1. L’art. 41 bis, comma 2 bis, della 1. n. 354 del 1975, sostituito dall’art. 2 della
1. 23 dicembre 2002 n. 279, stabilisce che i provvedimenti applicativi del regime di
detenzione differenziato “sono prorogabili nelle stesse forme per periodi successivi,
ciascuno pari ad un anno, purché non risulti che la capacità del detenuto o
dell’internato di mantenere contatti con associazioni criminali, terroristiche o
eversive sia venuta meno”.
2. L’ambito del sindacato devoluto alla Corte di Cassazione è segnato dal
comma 2 sexies del novellato art. 41 bis, a norma del quale il Procuratore generale
presso la Corte d’appello, l’internato o il difensore possono proporre ricorso per
cassazione avverso l’ordinanza del Tribunale per violazione di legge.
La limitazione dei motivi di ricorso alla sola violazione di legge è da intendere
nel senso che il controllo affidato al giudice di legittimità è esteso, oltre che
all’inosservanza di disposizioni di legge sostanziale e processuale, alla mancanza di

a)l’inserimento del condannato in posizione di rilievo nell’associazione di stampo

motivazione, dovendo in tale vizio essere ricondotti tutti i casi nei quali la
motivazione stessa risulti del tutto priva dei requisiti minimi di coerenza,
completezza e di logicità, al punto da risultare meramente apparente o
assolutamente inidonea a rendere comprensibile il filo logico seguito dal giudice di
merito per ritenere giustificata la proroga, ovvero quando le linee argomentative del
provvedimento siano talmente scoordinate e carenti dei necessari passaggi logici da

maggio 2003, ric. Pellegrino, rv. 224611; Sez. I, 9 novembre 2004, ric. Santapaola,
rv. 230203).
E’, invece, da escludere che la violazione di legge possa ricomprendere il vizio
di illogicità della motivazione, dedotto dal ricorrente che, sotto questo profilo, non
può trovare ingresso in questa sede.
3. Alla luce di questi principi il Collegio osserva che il ricorso, pur
denunciando formalmente anche il vizio di violazione di legge, non individua
singoli aspetti del provvedimento impugnato da sottoporre a censura, ma tende in
realtà a provocare una non consentita nuova valutazione del merito delle circostanze
di fatto, in quanto tali insindacabili in sede di legittimità. L’ordinanza impugnata,
peraltro, ha correttamente valutato gli elementi risultanti agli atti, con motivazione
congrua, adeguata e priva di erronea applicazione della legge penale e processuale.
Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso consegue di diritto la condanna
del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi atti
ad escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al
versamento a favore della cassa delle ammende di una sanzione pecuniaria che pare
congruo determinare in curo mille, ai sensi dell’ art. 616 c.p.p..
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e al versamento della somma di euro mille in favore della cassa
della ammende.
Così deciso, in Roma, il 17 marzo 2015.

far rimanere oscure le ragioni che hanno giustificato la decisione (Sez. Un. 28

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