Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 2558 del 17/12/2015


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 2558 Anno 2016
Presidente: ROMIS VINCENZO
Relatore: GIANNITI PASQUALE

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Ghezzi Antonio, nato il 05/09/1970

avverso la sentenza del 01/04/2015 della Corte di appello di Trento

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Pasquale Gianniti;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Sante
Spinaci, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.

Data Udienza: 17/12/2015

RITENUTO IN FATTO

1.II Tribunale dlì Trento in composizione monocratica, con sentenza
19/7/2013, dichiarava Ghezzi Antonio colpevole della contravvenzione di cui
all’articolo 3 comma 12 bis in riferimento all’articolo 21 decreto legislativo
81/2008 (capo 1) e del reato di omicidio colposo (capo 2) per violazione della
normativa antinfortunistica, commessi in Daone (TN) 2.1.2011 ai danni di
Corradi Dario e, per questo, veniva condannato, concesse le attenuanti

aggravante, alla pena di mesi 2, giorni 20 di reclusione per il delitto e di euro
750 di ammenda per la contravvenzione, con i doppi benefici di legge.
Precisamente Ghezzi Antonio, volontario del Comitato Pareti di Cristallo
veniva ritenuto responsabile:
1) del reato p. e p. dall’art 3 comma 12 bis in rif. all’art. 21 D.L.vo 81/2008,
perché nella suddetta qualità assimilabile a lavoratore autonomo, non rispettava
le regole di prudenza circa l’uso dell’attrezzatura da lavoro, operando con la pala
meccanica Fai 595 B a distanza ravvicinata da Demo Corradi, che veniva
investito;
2) del delitto p e p. dall’art. 114 e 589 c.p.. perché, in cooperazione colposa
con Ghezzi Romolo, presidente del Comitato Pareti di Cristallo con funzioni di
coordinatore delle operazioni di innevamento ed organizzazione della
manifestazione, cagionava per colpa la morte di Corradi Dario, pure volontario
del “Comitato Pareti di. Cristallo”.
In punto di fatto, il Corradi il giorno dell’infortunio mortale stava
partecipando alle operazioni di innevamento della struttura di arrampicata
sportiva, affidate al predetto comitato di volontari ed eseguite con l’ausilio di un
vecchio trinciaforaggi di marca “New Holland” (mosso da trattore agricolo
riadattato in funzione di “cannone Sparaneve’) e di una pala gommata di marca
FAI mod. 595 di proprietà del sig. Ghezzi Candido, che serviva a prelevare la
neve da un cumulo prodotto artificialmente e nelle vicinanze della struttura per
trasportarla sulla base della struttura. In particolare, verso le ore 16,00, il
medesimo si trovava a ridosso del montante di sud-est per la sistemazione su di
esso della neve ghiacciata. Contemporaneamente il sig Ghezzi Antonio si trovava
alla guida della pala meccanica succitata a brevissima distanza dal primo, per
supportare le operazioni svolte dal sig. Corradi. Durante le manovre del mezzo, il
sig. Corradi veniva schiacciato dalla benna della pala gommata nell’esiguo spazio
esistente tra il tagliente della benna e la parete della struttura. Dopo essere
stato colpito all’addome il Corradi riusciva a divincolarsi, cadendo poi a olo in

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generiche e quella di cui all’articolo 114 c.p. prevalenti sulla contestata

prossimità del mezzo. Decedeva in conseguenza delle lesioni riportate alle ore
23,05 dello stesso giorno.
Colpa consistita per Ghezzi Antonio, volontario del “Comitato Pareti di
Cristallo”, in negligenza, imprudenza ed imperizia nonché nella specifica
violazione dell’art. 21 d. Igs. N. 81/2008, come richiamato dall’art. 3 comma 12
bis del medesimo decreto, perché non rispettava le regole di ordinaria prudenza
circa il corretto uso dell’attrezzatura di lavoro, operando con la pala meccanica a
distanza ravvicinata dal sig. Dario Corradi, che si trovava appunto nell’area di

2.La Corte di appello di Trento, con sentenza 1 aprile 2015, confermava la
impugnata sentenza e condannava l’appellante al pagamento delle spese
processuali.

3.Avverso la suddetta sentenza proponeva ricorso per cassazione l’imputato
a mezzo del proprio difensore di fiducia denunciando il vizio di motivazione sia in
relazione alla valutazione delle risultanze probatorie e degli elementi in fatto che
erano stati addotti dalla difesa, sia in punto di contrasto tra il dispositivo e la
parte motiva della sentenza.
Sotto il primo profilo, il ricorrente lamentava che le risultanze emergenti
dall’istruzione dibattimentale svolta in primo grado non costituivano prova
idonea a dimostrare in modo certo ed univoco, e quindi al di là di ogni
ragionevole dubbio, la reale dinamica dell’occorso e, in particolare, il ruolo
assunto dalla vittima nella determinazione dell’evento. Al riguardo richiamava le
testimonianze rese non soltanto dal (già coimputato) Ghezzi Romolo ma anche
dall’unico teste oculare, Corradi Daniele, dalle quali sarebbe risultato che egli
aveva intimato a Corradi Dino di tenersi a distanza, ma che questi era sbucato
d’improvviso ed in modo repentino, per cui lui aveva posto in essere l’unica
manovra possibile per evitare l’impatto. Inoltre la Corte: a) non aveva valutato il
fatto che Corradi Dario aveva verosimilmente trovato delle difficoltà
nell’attraversare davanti al mezzo, proprio a causa degli accumuli di neve molle,
nella quale sarebbe sprofondato, attardandosi quindi nella pericolosa manovra;
b) aveva ricostruito l’evento dannoso soprattutto sulla base della relazione
redatta dal personale di Pg intervenuto il giorno seguente al sinistro senza tener
conto delle circostanze riferite sia da Corradi Daniele in sede di sommarie
informazioni 20/2/2012 che da Ghezzi Romolo in sede di interrogatorio
19/3/2012; c) non aveva sottoposto a vaglio critico le valutazioni del consulente
Ing. Fabio Boscolo circa la ricostruzione della dinamica del sinistro, in relazione

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azione della macchina, praticamente davanti alla brenna.

al funzionamento della macchina e all’individuazione della velocità a cui stava
procedendo l’imputato.
In definitiva, sulla base della perizia tecnica e delle deposizioni dei testi, ad
avviso del ricorrente, risultava che egli aveva adottato tutte le cautele e
attenzioni necessarie per far fronte alla situazione occorsa: a fronte della
imprevedibile condotta incauta di Corradi Dario, che si era allontanato dal campo
di azione del veicolo e vi era improvvisamente comparso, l’incidente non avrebbe
potuto essere evitato, stante la conformazione del terreno, lo spazio di frenata a

Sotto il secondo profilo, il ricorrente rilevava che la Corte, dopo averlo
ritenuto responsabile dei reati contestati, gli aveva significativamente concesso
le attenuanti generiche e l’attenuante di cui all’art. 114 c.p., concessioni queste
indicative del fatto che la Corte aveva ritenuto la sua condotta “di minima
importanza” nella preparazione e nella esecuzione del reato, circostanza questa
di cui si sarebbe dovuto tener presente non soltanto nella determinazione del
trattamento sanzionatorio ma anche nell’affermazione della penale
responsabilità; tale circostanza comporterebbe la contraddittorietà della
motivazione, contraddittorietà che disarticolerebbe l’intero ragionamento
sviluppato dalla Corte.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso non è fondato e, pertanto, non può essere accolto.

2. Giova rilevare che, secondo il consolidato orientamento della Suprema
Corte, il vizio logico della motivazione deducibile in sede di legittimità deve
risultare dal testo della decisione impugnata e deve essere riscontrato tra le
varie proposizioni inserite nella motivazione, senza alcuna possibilità di ricorrere
al controllo delle risultanze processuali; con la conseguenza che il sindacato di
legittimità “deve essere limitato soltanto a riscontrare l’esistenza di un logico
apparato argomentativo, senza spingersi a verificare l’adeguatezza delle
argomentazioni, utilizzate dal giudice del merito per sostanziare il suo
convincimento, o la loro rispondenza alle acquisizioni processuali” (in tal senso,
tra le tante, Sez. 3, sent. n. 4115 del 27.11.1995, 1996, Beyzaku, Rv. 203272).
Sotto altro profilo è stato precisato che la Corte di cassazione, nel momento
del controllo di legittimità, non deve stabilire se la decisione di merito proponga
effettivamente la migliore possibile ricostruzione dei fatti, né deve condividerne
la giustificazione, dovendo limitarsi a verificare se questa giustificazione sia
compatibile con il senso comune e con “i limiti di una plausibile opinabilità di
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disposizione, i tempi di reazione ed il funzionamento dell’automezzo.

apprezzamento”, secondo una formula giurisprudenziale ricorrente (Sez. 5, sent.
n. 1004 del 30/11/1999, 2000, Moro, Rv. 215745).
Si deve infine ribadire, per condivise ragioni, l’insegnamento espresso dalla
giurisprudenza di legittimità, in base al quale nessuna prova, in realtà, ha un
significato isolato, slegato dal contesto in cui è inserita; occorre necessariamente
procedere ad una valutazione complessiva di tutto il materiale probatorio
disponibile; ed il significato delle prove lo deve stabilire il giudice del merito,
non potendosi il giudice di legittimità sostituirsi ad esso (Sez. 5, Sent. n. 16959

3. Precisato nei termini che precedono l’orizzonte dello scrutinio di
legittimità, occorre rilevare che la congiunta lettura di entrambe le sentenze di
merito – che, concordando nell’analisi e nella valutazione degli elementi di prova
posti a fondamento delle rispettive decisioni, valgono a saldarsi in un unico
complesso corpo argomentativo (cfr. Cass., Sez. 1, n. 8868/2000, Sangiorgi, Rv.
216906) – evidenzia che i giudici di merito hanno sviluppato un conferente
percorso argomentativo, relativo all’apprezzamento del compendio probatorio,
che risulta immune da censure rilevabili da questa Corte regolatrice; e che il
ricorrente invoca, in realtà, una inammissibile riconsiderazione alternativa del
compendio probatorio, proprio con riguardo alle inferenze che i giudici di merito
hanno tratto dagli accertati elementi di fatto, ai fini della affermazione della
penale responsabilità.
Invero, il Giudice di merito di primo grado (con motivazione che la Corte
territoriale ha inglobato nella propria), ad esito dell’espletata istruzione
dibattimentale, ha ricostruito l’episodio nei seguenti termini.
In data 2/1/2011, in Daone, erano in corso, ad opera dei volontari del
“Comitato pareti di cristallo” i lavori di innevamento e ghiacciatura di una
struttura di arrampicata sportiva: allo scopo venivano usati un cannone spara
neve, un soffiatore e una pala gommata marca FAI 595.
Nel pomeriggio, la pala gommata veniva utilizzata per portare la neve dal
luogo in cui cannone l’aveva accumulata in prossimità della struttura, dove i
volontari la raccoglievano e ve la premevano contro verticalmente.
L’odierno imputato, che verso le ore 15:30 aveva assunto la guida del
mezzo, doveva rifinire il lavoro e segnatamente liberare la base dagli eventuali
accumuli di neve formatisi nelle operazioni di innevamento.
Secondo l’ipotesi accusatoria, ritenuta in quella sentenza, l’imputato, pur
procedendo a velocità relativamente modesta, non rispettava le regole di
ordinaria prudenza circa il corretto uso della relativa attrezzatura di lavoro: in
particolare, operava con la pala a distanza ravvicinata dal Corradi che si era
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del 12/04/2006, dep. 17/05/2006, Rv. 233464).

venuto a trovare, seppur per un suo comportamento incauto, nell’area di azione
della benna e ciò nonostante egli avesse piena contezza che nel luogo si
muovevano altri soggetti, tanto che aveva già intimato alla vittima di allontanarsi
(deposizione Corradi Daniele) e così lo schiacciava contro la parete della
struttura con gli esiti letali intervenuti nella serata dello stesso giorno. Ghezzi,
come anche evidenziato dal perito Bevilacqua, non aveva, inoltre, rispettato le
prescrizioni contenute nel manuale di uso e manutenzione della pala che
prescrivevano al conducente di “arrestare immediatamente la macchina qualora

in movimento, “di tenere la benna a circa 4 m da terra in modo da avere la
massima visibilità e contemporaneamente la massima stabilità della macchina”,
mentre, come accertato in sede di sopralluogo degli ispettori del lavoro Beber e
Puccini, all’atto dell’incidente, procedeva con la benna posizionata ad un’altezza
di 113 cm.
Al contrario, la tesi difensiva (secondo la quale la vittima si era allontanata
insieme a Ghezzi Romolo per visionare dietro la struttura il nuovo pannello
quadro elettrico donato dal Comune e sarebbe sbucata in modo del tutto
imprevisto e repentino) veniva disattesa dal Giudice di primo grado, che la
riteneva non conciliabile con l’impronta lasciata sul manufatto dal corpo della
vittima stessa, unitamente al rinvenimento in situ del badile, circostanze queste
che, secondo il Giudicante, consentivano di affermare con ragionevole certezza
che Corradi si trovava in posizione frontale rispetto alla pala meccanica e che il
prevenuto, forse per la velocità eccessiva rispetto allo stato dei luoghi ovvero per
la erronea percezione dell’effettiva distanza fra la benna e la struttura in
questione, pur accortosi dell’imminente pericolo, non era riuscito ad evitare
l’impatto.
Il Giudice di secondo grado – dopo aver ripercorso i motivi di appello ed
esaminata la versione difensiva – ha confermato il giudizio di responsabilità
dell’imputato, osservando che Antonio Ghezzi: a) procedeva con la benna a 113
cm da terra, quando il manuale di istruzioni prevedeva che non superasse
l’altezza di 40 cm, e ciò ha avuto conseguenze in punto di restringimento della
visuale e di parti vitali del corpo della vittima attinte; b) non avrebbe comunque
dovuto avvicinarsi alla parete in allestimento, come invece ha in concreto fatto; il
che depone per una manovra imprudente o imperita; c) avrebbe dovuto porre
una particolarissima attenzione al fine di salvaguardare l’incolumità delle persone
che ancora si muovevano nell’area, in conformità a quanto indicato nel manuale
di uso e manutenzione della pala, tenuto conto del fatto che il lavoro di
impattamento della neve alla parete non era ancora concluso (come era dato
desumere dal fatto che la vittima tenesse in mano il badile); e) avendo poco
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le persone, malgrado il suo invito, non lascino la zona di pericolo” e, a macchina

prima invitato Corradi Dario ad allontanarsi, avrebbe dovuto accertarsi che lo
stesso aveva raccolto il suo invito.
Secondo la Corte territoriale, il fatto che gli ispettori del lavoro abbiano
assunto le loro conclusioni senza tener conto delle sommarie informazioni rese il
20 febbraio 2012 da Corradi Daniele e dell’interrogatorio reso il 19 marzo 2012
da Romolo Ghezzi (che nulla aveva riferito nell’immediatezza del fatto, pur
essendo stato sentito il 5 gennaio 2011) è da ritenersi irrilevante, in quanto, in
sede dibattimentale, agli ispettori Beber e Puccini erano state lette dette

alla luce degli accertamenti effettuati (e, peraltro, la tesi difensiva appariva
difficilmente sostenibile financo sulla scorta delle conclusioni dell’Ing. Boscolo).
In ogni caso, quand’anche la vittima fosse uscita imprevedibilmente da dietro la
struttura, a carico dell’imputato si dovrebbero comunque ravvisare inequivoci
profili di colpa, generica e specifica, in quanto, anche nell’ambito della
ricostruzione offerta da Corradi Daniele e da Ghezzi Romolo, l’imputato sarebbe
stato in grado, prestando la dovuta prudenza di guida ed attenzione allo stato
dei luoghi ed in particolare assicurandosi preventivamente che nessuno dei
volontari transitasse davanti alla pala, di avvedersi del sopraggiungere dal retro
della struttura di Corradi Dario e di adottare quindi per tempo le cautele
necessarie e/o le manovre di frenata ed evitamento.
In definitiva, la Corte di merito ha chiarito le ragioni per le quali ha ritenuto
di confermare la valutazione espressa dal primo giudice, sviluppando un percorso
argomentativo che non presenta aporie di ordine logico e che risulta perciò
immune da censure rilevabili in questa sede di legittimità.

3. Il motivo di ricorso laddove prospetta una apparente contraddittorietà tra
motivazione e dispositivo è inammissibile e comunque infondato: inammissibile,
in quanto non risulta che tale aspetto abbia fornito oggetto di doglianza nei
motivi di appello (analiticamente indicati dalla Corte di appello nella sentenza
impugnata: pp. 5-7); infondata, in quanto, nella sentenza di primo grado
(confermata dalla Corte territoriale) non si ravvisa alcuna contraddizione tra
parte motiva e dispositivo per il fatto che, da un lato, è stata affermata la penale
responsabilità, e, dall’altro, in punto di trattamento sanzionatorio, sono state
concesse le attenuanti generiche e ritenuta la diminuente di cui all’art. 114 c.p.

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dichiarazioni e gli stessi ne avevano concordemente affermato l’inverosimiglianza

4. Ne consegue che il ricorso deve essere respinto ed il ricorrente deve
essere condannato al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
a, il 17 dicembre 2015

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